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Per incominciare
Friedrich Ludwig Gottlob Frege

di Loris Basini
Ho letto da qualche parte, ma non ricordo dove, che Frege fu «il primo filosofo della matematica a tempo pieno». Il secondo avrebbe potuto essere Bertrand Russell se non si fosse fatto distrarre da troppi interessi e dalla filosofia stessa, che non è matematica. L'affermazione è paradossale perché trascura e rischia di oscurare Platone, Galileo, Newton e Descartes. E nemmeno rende un buon servizio a Frege, considerato che egli fu anche un filosofo del linguaggio. Tuttavia, è certo che da Frege prese le mosse quella che oggi si chiama filosofia della matematica. Resta inoltre vero che sempre da Frege prese avvio la filosofia del linguaggio e quindi l'insieme della filosofia analitica come oggi la conosciamo.

L'importanza di Gottlob Frege nella storia del pensiero filosofico è associabile alla valorizzazione del nesso tra logica e matematica ed un ritorno all'obiettività del pensiero il quale non costruisce ma, riflette un mondo di idee già pronte, ed è attivo in quanto le scopre, e non in quanto se le inventa creativamente con atti psicologici. L'idea centrale di Frege è che alla base della matematica vi sia la logica e che alla base della logica vi sia la precisione matematica.. Essa vien meno nel momento in cui il linguaggio sfugge di mano, perdendo l'esattezza dei numeri per guadagnare espressività e potenza di suggestione. Ciò nonostante, come vedremo, il linguaggio non perde, secondo Frege, la caratteristica essenziale di avere una forza particolare.
Il confronto con le idee di Kant sulla matematica è inevitabile. Per l'illustre padre della filosofia contemporanea, infatti, la matematica si fondava anche sull'intuizione, per questo i giudizi matematici erano sintetici a priori. Kant pensava, inoltre, che la geometria si fondasse sull'intuizione dello spazio e l'aritmetica su quella del tempo. Frege, pur mantenendo la validità della differenza tra giudizi sintetici e analitici, ritenne che le verità matematiche fossero analitiche perché, per dimostrarle, noi si ricorre a qualche "definizione precisa" e alle leggi logiche generali. La formula del tipo 2+3 = 5 non si basa sull'intuizione, come sostiene Kant, ma sulla definizione di 5 come successore del successore di tre. Se a 3 aggiungo due successori ottengo 5. Tuttavia, Frege concordava con Kant sulla fondazione della geometria: era un'intuizione sintetica dello spazio. Quindi, a rigor di termini, non si potrebbe parlare di una filosofia della matematica di Frege, visto che ne aveva due. Però è anche vero che al termine della sua esistenza, visto che il suo tentativo di fondare la matematica sulla logica poteva dirsi fallito, egli si aggrappò alla geometria, ed affermò che la matematica si fonda sulla geometria. Forse, fosse uscito una volta di più all'aria aperta ed avesse guardato all'uso sociale della matematica, avrebbe compreso che la sua legittimità non ha una sola fonte, ma è plurima e si sostiene sull'intreccio di logica e società, intuizione sintetica e attività umane.

Un bersaglio polemico di Frege fu l'empirismo matematico di John Stuart Mill, che definì con rovente sarcasmo come «l'aritmetica del pane allo zenzero e dei sassolini.» Frege non era solo contro l'intuizionismo, ma avversava il naturalismo empiristico e lo «psicologismo» da esso derivabile. Psicologismo che Frege trovava attorno a sé in studiosi matematici come Rudolf Lipschitz e Oskar Schlömilch.
Frege avviò un programma logicista fondato sulla necessità di catene di dimostrazioni senza soluzione di continuità, quindi sostenne che a tal fine il linguaggio ordinario era troppo ambiguo, o, per meglio dire, difettoso. Nell'Ideografia del 1879 costruì un potente linguaggio simbolico articolato in ferree regole logiche in cui era possibile riscrivere senza le ambiguità del linguaggio ordinario tutta la logica e la matematica.
«Credo - scrisse Frege - di poter rendere nel modo più chiaro il rapporto della mia ideografia con la lingua di tutti i giorni, paragonandolo al rapporto esistente tra il microscopio e l'occhio. Quest'ultimo, per l'estensione della sua applicabilità, per la rapidità con la quale sa adattarsi alle più disparate circostanze, ha una grande superiorità nei confronti del microscopio. Considerato però come apparecchio ottico, esso rivela certamente parecchie imperfezioni che di solito passano inosservate solo in conseguenza del suo intimo collegamento con la vita spirituale.» (1)

Frege fu deluso dal mancato successo del suo lavoro. Anche perché fu ignorato tanto dai matematici, per i quali era filosofico, tanto dai filosofi, per i quali era matematico. Inoltre, il simbolismo scelto da Frege era sovraccarico e "indisponente". Oggi si ricorre sostanzialmente a quello elaborato da Peano (2) e Russell. A giudizio di Piergiorgio Odifreddi, è tuttora «insuperata l'estensione che Frege fece della logica proposizionale e sillogistica, dai cui ambiti neppure Boole era uscito.» (3) Il sistema di assiomi sviluppato da Frege regola infatti la logica predicativa, tocca i cosidetti predicati arbitrari, ovvero quei predicati non limitati alla sola struttura «soggetto-predicato» sviluppata da Aristotele. Già Leibniz ci aveva provato, ma aveva incontrato diverse difficoltà, limitandosi ad un predicato a due soggetti quale «Tizio è maggiore di Caio» oppure alla congiunzione di due soggetti e di due predicati opposti della stessa specie, la grandezza, o quantità di statura, quale «Tizio è grande e Caio è piccolo».
I tempi, nota Odifreddi, erano ormai maturi per avere finalmente una teoria dei predicati a soggetti multipli. Vari contributi erano arrivati da De Morgan, Peirce e Schröder, ma nessuno era pervenuto ad un vero salto di qualità. Il contributo più rilevante di Frege si collocò sostanzialmente rispetto a due direzioni conseguenti l'una all'altra: ricostruire la teoria degl insiemi di Cantor in maniera logica, e poi fondare l'aritmetica in maniera insiemistica. In effetti, Frege si limitò a considerare gl insiemi come «estensioni» di predicati «intensionali». Dove dovrebbe essere evidente che estendere significa tirar fuori e intendere vuol dire tirar dentro. Secondo Frege, gli insiemi evidenziano in modo esplicito, ciò che i predicati asseriscono in modo implicito. Per dare regole logiche ai rapporti tra insiemi e predicati, Frege optò per elevare a due massimi principi, l'identità degli indiscernibili e la sinossi o comprensione, secondo la quale ogni predicato definisce un insieme, ad esempio: i comunisti. L'insieme dei comunisti comprende Marx, Lenin, ... Fracasso e Cornarino. Quando i libri di storia presentano una tavola sinottica degli avvenimenti, vuol dire che gli autori dei libri intendono raggruppare gli avvenimenti stessi in una visione d'insieme. In questo senso, si potrebbe dire, ad esempio, seguendo Aristotele, che la successione dei pontefici di Mamma Chiesa, dei re di Francia e dei re d'Inghilterra in un quadro sinottico, pur essendo una somma di specificità, possiede un'unità.

Il crollo del programma logicista
I logicisti, di cui Frege fu l'esemplare più convinto, si illudevano di poter dimostrare che il concetto di "classe" è incrollabile. Ma di fronte al concetto di classe infinita l'edificio comincia a traballare. Frege considerava una "classe" di oggetti come l'equivalente di "avere una proprietà in comune". E ad ogni insieme corrisponde una proprietà, quella di appartenere ad un dato insieme. Nel 1902, mentre stava per pubblicare il secondo volume dei Principi dell'artmetica esposti ideograficamente, ricevette la famosa lettera di Bertrand Russell:
Caro collega,
da un anno e mezzo sono a conoscenza dei suoi
Grundgesetze, ma solo ora ho potuto trovare il tempo per lo studio dettagliato che intendevo fare del suo lavoro. Mi trovo completamente d'accordo con lei su tutto l'essenziale. C'è solo un punto sul quale ho incontrato una difficoltà. Sia w il predicato: essere un predicato che non può essere predicato di se stesso. Può w essere predicato di se stesso? Da ciascuna risposta segue il suo contrario. Dobbiamo dunque concludere che w non è un predicato. Analogamente, non c'è un insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi. Ne concludo che, in certe circostanze, una collezione definibile non forma un insieme.
L'insieme delle tazzine da tè non è una tazzina da tè. Dunque sta in w. Ma l'insieme di tutte le cose che non sono tazzine da tè non è una tazzina da tè. Pertanto non sta in w. L'insieme w, allora, contiene qualcosa, ma non tutto quello che dovrebbe contenere.
L'osservazione di Russell fu una catastrofe per Frege perché mostrava che l'"estensione" di una proprietà portava ad una contraddizione logica. Tutto ciò dimostrava che la via logica era molto più rischiosa della matematica classica. Frege, e con lui Russell, provò a riformulare la teoria degli insiemi in modo da scongiurare l'effetto nefasto del paradosso di Russell. Ma, in termini di fondazionalismo fu un fallimento.

Il senso delle proposizioni
Uno dei problemi logici sollevati da Frege è quello del "senso". Il senso è il contenuto concettuale espresso dai nostri enunciati. Lo stesso senso può essere espresso in diverse lingue e in diversi idiomi. Avere un concetto di "senso" è decisivo al fine di avere uno strumento logico per individuare sia l'identico contenuto in due o più espressioni diverse, sia la forma logica comune. Se dico: "Maria va a casa", l'espressione equivale a "Mary is goin' home" ed ha la stessa forma logica.
Attenzione, però: Frege scoprì che lo stesso "senso" di un enunciato può essere impiegato in modi diversi. Per questo egli impiegò un segno apposito per marcare la "forza assertoria", cioè l'uso di un enunciato che esprime il riconoscimento della sua verità. In realtà, però, non sempre un asserto è impiegato con "forza assertoria". Lo stesso senso può essere usato in un contesto in cui lo valutiamo vero, plausibile o poco plausibile. Ciò risulta evidente nelle asserzioni condizionali. Ad esempio, quando dico "se Maria era a casa alle 8 di sera, allora non può esser vero che Maria era in pizzeria alle 8 di sera". In questo caso non viene meno la forza assertoria, ma essa scivola sulla non verità del "trovarsi in pizzeria". In altri casi, la forza assertoria cade sul dubbio. E' evidente che usando un enunciato esprimiamo non solo il suo senso, ma anche altri aspetti del linguaggio e del pensiero quali il tono e la forza. Un tono dubbioso potrebbe essere esemplificato dalla domanda più logica: dove cacchio stava Maria alle 8 di sera?

In uno degli scritti più celebri, Über Sinn und Bedeutung, Frege affrontò il concetto di senso in contraddittorio con quello di "riferimento". La domanda era: come spiegare che asserti di identità del tipo a=a e a=b hanno diverso valore cognitivo? Se a=a enuncia un'identità, ed è quindi una verità analitica a priori, a=b è un enunciato a posteriori. Pertanto esso accresce la nostra conoscenza. Di fronte a ciò è lecito chiedersi in cosa consiste l'identità. Un famoso esempio di Frege è quello del pianeta Venere, che possiamo chiamare "Stella del mattino" e "Stella della sera". In proposito, Frege afferma che, pur essendo vero che entrambi i nomi designano la stessa entità, non è sufficiente osservare che tale identità riguarda l'oggetto stesso. Nemmeno è sufficiente dire che l'identità è un rapporto tra nomi. Per Frege occorre anche considerare il modo in cui lo stesso oggetto si presenta. Frege definisce "senso" questo modo e invita a distinguere tra il nome, il modo di presentazione, e il riferimento, ovvero l'oggetto stesso.
Dopo ciò, Frege definisce "pensiero" il senso di un enunciato e "valore di verità" il suo riferimento. Ora, ciò è importante perché gran parte della filosofia analitica successiva verterà su tali distinzioni e si eserciterà a stabilire sotto quali condizioni un enunciato ha valore di verità. Accolto, il principio di sostituibilità di Leibniz, per il quale si possono usare sinonimi nella composizione di un enunciato, Frege utilizza il principio per collegarlo al principio di composizionalità, il quale afferma che il senso e il riferimento di un enunciato sono funzione del senso e del riferimento delle sue parti. Per questo è ammissibile sostituire una parte dell'enunciato con una coreferenziale.
In tale contesto, Frege discute una serie di situazioni nelle quali i parlanti possono ignorare il significato di alcuni termini. Se io ignoro che la Stella della sera è un pianeta, Venere, e che è lo stesso pianeta designato come Stella del mattino, potrei anche non credere che l'asserto "la Stella della sera è un pianeta" sia vero, credendo che si tratti di una lozione da spalmare sui capelli, oppure di una stella vera e propria, non di un pianeta. In tal caso il principio di sostituibilità smette di funzionare e il sistema di comunicazione entra in allarme. Frege crede di risolvere il problema affermando che senso e riferimento non sono proprietà assolute dell'espressione, ma dipendono dall'uso che se ne fa. Così, se io credo che la Stella vespertina sia una lozione, non dico che è vero, ma dico solo che io credo sia vero. Russell riprenderà la questione in modo più profondo parlando di atteggiamenti proposizionali: credere, pensare, sapere sono situazioni che ci portano ad assumere atteggiamenti che riguardano proposizioni.

Il senso nel contesto: il principio del contesto
L'idea che il senso assuma una declinazione particolare solo in un contesto è un punto cardine della produzione di Frege, ed ha conseguenze rilevanti nella tradizione analitica. Si tratta di comprendere, in sostanza, sia che un enunciato a volte esprime più senso ed a volte meno. Molto dipende anche dalla qualità della ricezione, e se al posto di parole ricevessimo note musicali, la pulizia dei segnali sarebbe decisiva.

Per una trattazione più articolata delle questioni qui appena accennate rinvio ai files che devo ancora scrivere. Su Frege c'è infatti molto da dire e da riflettere.



(1) G. Frege - Ideografia in Logica e aritmetica, citato in (3)
(2) G. Peano - Formulario di matematica,Torino 1895
(3) P. Odifreddi - Le menzogne di Ulisse - Longanesi 2004
LB - 10 aprile 2007