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Paul K. Feyerabend
Galileo! Galileo!
di Silvana Poggi
«Galileo identifica le interpretazioni naturali che sono in contraddizione con Copernico e le sostituisce con altre.»
«Rimane da spiegare perché la pietra cada ai piedi della torre e non rimanga indietro. Allo scopo di salvare la concezione copernicana si deve spiegare non soltanto perché un moto che preserva la relazione fra oggetti visibili non viene percepito, ma anche perché un moto comune di vari oggetti non incida sul loro rapporto reciproco.»
Sarebbe solo una questione di proporzioni. La pietra lasciata cadere dalla torre sta alla superficie della terra come la terra stessa sta a... quanto sta? Se non ci poniamo una simile domanda, i nostri sensi possono risultare ingannati non già dalle "apparenze" ma, da una realtà inoppugnabile. La pietra cade in perpendicolo - e noi la vediamo -, non resta indietro anche se la terra ruota. Ignorando la questione delle proporzioni, ci lanciamo in speculazioni attorno a problemi mal posti. La prima impressione che provai, quando lessi alcuni capitoli di Contro il metodo fu drasticamente negativa: Feyerabend stava barando sapendo di barare. Col tempo, non ho mutato opinione completamente ma, mi sono sorpresa a riconoscere che dovremmo ridare qualche merito anche a Feyerabend, personaggio in grado di evidenziare problemi scomodi e fastidiosi se non altro per le mentalità scientiste. Resta che, riaprendo il capitolo sulle controversie tra Galileo e i suoi oppositori, Feyerabend trascurò molti fatti storici, ed anche qualche evidenza scientifica. Costruì un ragionamento ad arte, interamente votato alla sua tesi, omettendo una serie impressionante di prove a favore dell'onestà e della razionalitàdel percorso scientifico seguito da Galileo. Asserì che Galileo aveva fatto ricorso alla propaganda anzichè ad un corretto ragionare ma, fummo in molti a credere che proprio Feyerabend avesse fatto della propaganda. O meglio, dell'abile e sicuramente intelligente retorica, piegando alcuni fatti storici alla sua tesi. Una propaganda che a posteriori si rivela tuttavia di qualche utilità.
Prendiamo un esempio concreto, storicamente appurato. Grazie all'uso del cannocchiale, Galileo fu in grado di osservare le fasi di Venere, e quindi di scorgere l'errore del sistema tolemaico, il quale affermava che Terra, Sole e il centro dell'epiciclo di Venere erano sempre allineati. Per i tolemaici, un osservatore terrestre non avrebbe mai potuto vedere Venere piena, bensì solo falci di Venere. Dopo le osservazioni di Galileo, fu chiaro, a chi aveva occhi per vedere (nel cannocchiale), che Venere piena era visibile. In una lettera scritta il 25 febbraio 1611, egli confutava le obiezioni di Osiander al sistema copernicano. «Tenendo pur ferma l'opinione - scriveva Galileo - che i pianeti tutti, per sé stessi, fussero corpi oscuri et opachi, come già si era certo della luna, e più stimando il sole esser centro di tutte le rivoluzioni d'essi pianeti, mi messi, 5 mesi or sono, ad osservare col mio cannocchiale la stella di Venere, la quale si vedeva vespertina; e la veddi di figura rotonda e assai piccola, quale ero certo che doveva apparirci in quel tempo. Continuando poi di osservarla, andando ella verso la massima lontananza dal sole, cominciò a diminuire dalla perfetta figura circolare, mancando dalla parte verso oriente; e continuando il diminuire del cerchio perfetto, in pochi giorni si ridusse alla forma semicircolare appunto, e tale, senza alterare la forma, si mantenne circa un mese, mentre fu intorno alla massima digressione dal sole. Cominciando poi a ritirarsi et avvicinarsi verso il sole, cominciò anco a diminuire dal mezzo cerchio e farsi falcata; et ha continuato sino ad ora ad assottigliarsi in guisa, che ora è come una sottilissima falce. Deve però S. V. sapere, che dal principio che la cominciai ad osservare, quando appariva rotonda, sino ad ora, è sempre notabilmente andato crescendo il suo globo, in guisa tale, che da quello che appariva ne i primi giorni, a quello che si mostrava quando era mezza, et a quello che apparisce di presente, ch'è falcata, ci è la medesima differenza tra le tre figure poste qui appresso
o D )» (XI, 53)
Non credo siano possibili vie di mezzo. O accettiamo l'onestà di questo resoconto, e allora ci rendiamo conto dell'importanza di questa corroborazione, basata sull'osservazione prolungata e sistematica, a favore della teoria copernicana, oppure asseriamo che non è vero che Galileo vide quelle cose, che si inventò tutto, e lo fece perché aveva già inizialmente deciso per Copernico e contro Tolomeo. E questo "perché" è sicuramente vero, ma non è vero come "perché" nel ragionamento di Feyerabend, il quale immagina troppo spesso che quelli che sono convinti di una certa idea possano ricorrere a qualunque mezzo per provarne la validità. Ciò che infine risulta inaccettabile nella retorica di Feyerabend è l'insinuazione di disonestà intellettuale nei confronti di Galileo. Ma questa versione degenere potrebbe essere difesa oggi? E perché mai? Perché Galileo avrebbe dovuto "barare", correndo il rischio di trovarsi smentito da osservazioni effettuate da cannocchiali uguali al suo, o persino più potenti? Certo, ci fu chi rifiutò di usare aprioristicamente il cannocchiale, ci fu chi lo usò in modo preventivamente distorto ma, le osservazioni successive diedero ragione a Galileo. Anche se egli aveva già deciso per Copernico, andò in cerca di prove empiriche, e lo fece senza pregiudizi. Una certa idea della falsificazione era già nell'aria, cioè nello spirito di Galileo, anche se la parola non era ancora utilizzata. Meglio sarebbe parlare di verifica empirica.
Ovviamente, alla luce della tesi Duhem-Quine, la scoperta delle fasi di Venere sarebbe considerato argomento del tutto insufficiente a mettere in crisi l'intero edificio tolemaico. Un particolare, per quanto anomalo e disarmonico, non può arrogarsi il diritto di prevalere sul "tutto" e persino di "rovesciarlo".
Ma insistere su questo argomento non sarebbe una specie di dogmatismo? Proprio quel dogmatismo che Quine avrebbe voluto espungere da ogni prospettiva empirista?
Credo basti questo esempio per avere conferma sostanziosa della razionalità galileiana, unità ad una altrettanto sostanziosa onestà delle argomentazioni. Egli scelse Copernico a ragion veduta e non per adesione mistica ad un'alternativa, intuita ed accettata in qualche oscura regione dell'inconscio.
Eppure, Feyerabend si impegna molto seriamente per mostrare e dimostrare una tesi assai diversa. Ma quale sia, infine, questa tesi, non lo voglio anticipare del tutto. Seguiamo Feyerabend con la massima obiettività possibile.
Per prima cosa, Feyerabend dice che Galileo disinnescò, ma non confutò, un importante argomento contro il moto della terra. Rispetto alla pietra che cade in perpendicolo, Galileo «ammette subito l'esattezza del contenuto sensibile dell'osservazione fatta, ossia che i gravi, "cadendo da alto a basso, vengono a perpendicolo sopra la superficie della Terra"(citazione tratta dal Dialogo sopra i due massimi sistemi). » Come si oppone Galileo alla realtà empirica? Con il famoso argomento della luna che, in guisa di gatta, sembra seguirci passo dopo passo mentre camminiamo nella notte. Ciò è solo apparenza. Per Galileo, tra la percezione sensibile, l'apparenza, e una realtà oggettiva che, solo se "il discorso s'interpone", può essere raggiunta. Galileo intende "il discorso" come l'uso della ragione. Feyerabend osserva che si tratta di un argomento di grande suggestione, ma che non confuta affatto. Galileo oppone altre asserzioni di osservazione. Esse, dice Feyerabend, svolgono nuovi ruoli nel processo della conoscenza.
«Per cominciare - scrive Feyerabend - dobbiamo chiarirci la natura del fenomeno totale: apparenza più asserzione. Non ci sono due atti distinti - l'osservazione di un fenomeno, e la sua espressione con l'aiuto di una formulazione verbale appropriata - ma soltanto uno, consistente nel dire ad esempio, in una certa situazione d'osservazione: "la Luna mi segue", oppure "la pietra cade in perpendicolo". E' ovvio che possiamo suddividere astrattamente questo processo in due parti, e possiamo anche cercare di creare una situazione in cui espressione verbale e fenomeno sembrano essere psicologicamente distinti e in attesa di essere messi in rapporto fra loro. (Questo è un compito piuttosto difficile da realizzare e forse del tutto impossibile.) In circostanze normali, però, una tale divisione non esiste; la descrizione di una situazione familiare è, per chi parla, un evento in cui espressione verbale e fenomeno sono saldati assieme.» (1)
Per Feyerabend, questa situazione psicologica è frutto di un addestramento su basi comportamentistiche. Possiamo ora distinguere fra le sensazioni e "quelle operazioni della mente che conseguono dal senso".Chiama queste operazioni interpretazioni naturali. Dette interpretazioni, nella storia della scienza, sono state considerate in due modi: come presupposti a priori, o come pregiudizi da rimuovere. «Galileo - dice Feyerabend - è tra quei rari pensatori che non desiderano nè conservare per sempre le interpretazioni naturali, né eliminarle completamente. Giudizi radicali di questo genere sono del tutto estranei al suo modo di pensare. Egli insiste su una discussione critica per decidere quali interpretazioni naturali possano essere conservate e quali debbano essere sostituite. Ciò non risulta peraltro sempre chiaro dai suoi scritti; al contrario. I metodi della reminiscenza, ai quali egli si appella così liberamente, tendono a creare l'impressione che nulla sia mutato e che noi continuiamo a esprimere le nostre osservazioni in modi vecchi e familiari. Eppure il suo atteggiamento è abbastanza facile da accertare: le interpretazioni naturali sono necessarie. I sensi da soli, senza l'aiuto della ragione, sono incapaci di darci una vera immagine della natura.» (2)
La difficoltà, secondo Feyerabend, non sta nell'informazione testimoniata dai sensi o dall'apparenza, ma dal connotare nuovi termini di osservazione. Dove stia il problema è facile intuirlo per noi che sappiamo, ma dobbiamo calarci in una situazione di conoscenze e dibattito piuttosto confuse. Per Copernico, il moto di un sasso in caduta libera dovrebbe essere "misto di retto e circolare". Galileo si appella a fatti familiari che invece testimoniano una caduta verticale. E lo aggira, cioè lo disinnesca, stabilendo una connessione chiara e priva di ambiguità, tra la sensazione e il linguaggio. «E' questo il modo in cui viene fatta parlare la sensazione.» (3)
Feyerabend sottolinea così che Galileo muove dal senso comune e scientifico del tempo, il quale suppone "il carattere operativo" di ogni moto. E' il realismo ingenuo dei peripatetici scolastici. Ora, in quest'ottica il copernicanesimo uscirebbe confutato, giacché noi non percepiamo nella pietra in caduta alcun "misto di retto e circolare". E se ci affidassimo ad un metodo baconiano, non arriveremmo mai a sbrogliare la matassa. Ma, anche rinnegando tutte le interpretazioni naturali, e ripartendo da zero (lo fece, per inciso Cartesio), saremmo condannati all'insuccesso. Inoltre, secondo Feyerabend, non sarebbe possibile risolvere il problema neppure in parte, perché anche prendendo tutte le asserzioni di osservazione una dopo l'altra, e analizzandone il contenuto, non troveremmo "concetti nascosti" in quelle asserzioni. Il contenuto di un concetto è determinato anche dal modo in cui è connesso con la percezione. «Ma come - si chiede Feyerabend - è possibile trovare questo modo [ cioè il procedimento di andar oltre le percezioni senza rinnegarle] evitando la circolarità? Le percezioni devono essere identificate, e il meccanismo di identificazione conterrà alcuni degli stessi elementi che governano l'uso del concetto che dev'essere investigato. Non riusciremo mai a capire completamente questo concetto, in quanto ne usiamo sempre una parte nel tentativo di trovarne i componenti. C'è un solo modo per uscire da questo circolo e consiste nell'usare un criterio di confronto esterno, compresi nuovi modi di mettere in relazione fra loro concetti e oggetti di percezioni. Rimosso dal campo del discorso naturale e da tutti quei principi, abitudini e atteggiamenti che costutuiscono la sua forma di vita, un tale criterio esterno apparirà in effetti strano. Questo non è però un argomento contro il suo uso. Al contrario, una tale impressione di stranezza rivela che le interpretazioni naturali sono all'opera e questo è un primo passo verso la loro scoperta.» (4)
Ed a questo punto che Feyerabend comincia ad enfatizzare quello che sarebbe il procedimento controinduttivo di Galileo, il quale avrebbe formulato una teoria in disaccordo con i fatti. Ciò dovrebbe indurre a guardare tutte le nuove teorie, anche le più lontane dalla realtà dei fatti, in modo aperto e non rifiutandole aprioristicamente. Il problema posto da queste osservazioni di Feyerabend, però, e che egli sembra ignorare il ruolo che proprio un certo tipo di fatti osservati giocò un ruolo determinante. In un discorso scientificamente circoscritto, proporzionato agli eventi che si intendevano spiegare, le fasi di Venere avevano certamente più importanza della caduta in perpendicolo di una pietra. In ogni caso, ciò che interessa è il principio nuovo che Galileo introdusse nella scienza fisica e nella filosofia naturale: il principio della relatività di tutti i moti. E' notevole notare come, per Feyerabend, questo principio nuovo e altamente astratto sia stato introdotto tacitamente, così che non si rilevi il mutamento che ha avuto luogo.
«Galileo sostituisce un'interpretazione naturale con un'interpretazione molto diversa e fino ad allora (1630) almeno in parte innaturale. In che modo procede? In che modo riesce a introdurre asserzioni assurde e contronduttive, come l'asserzione che la Terra si muove, procurando nondimeno loro un ascolto giusto e attento? Ci si immagina immediatamente che le argomentazioni da sole non bastino - ecco qui una limitazione interessante e molto importante del razionalismo - e i discorsi di Galileo sono in effetti argomentazioni solo in apparenza. Galileo si serve in effetti dei mezzi della propaganda. Oltre a tutte le ragioni intellettuali che può offrire egli fa ricorso anche a trucchi psicologici. Questi trucchi hanno molto successo e lo conducono alla vittoria. Essi oscurano però il nuovo atteggiamento nei confronti dell'esperienza in divenire e procrastinano per secoli la possibilità di una filosofia ragionevole. Essi oscurano il fatto che l'esperienza su cui Galileo vuol fondare la concezione copernicana non è altro che il risultato della sua fertile immaginazione, che è un'esperienza inventata. Essi oscurano questo fatto insinuando che i nuovi risultati che emergono sono noti a tutti concessi da tutti e che abbiamo bisogno solo di richiamare su di sé la nostra attenzione per apparirci come l'espressione più ovvia della verità.» (5)
Chiunque abbia una conoscenza diretta delle pagine scritte da Galileo, in particolare il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, dovrebbe sentirsi sconcertato da simili affermazioni. Come le sostiene Feyerabend? Insistendo sugli elementi persuasivi addotti da Galileo, il quale opererebbe per suggestione e non per dimostrazione. «Cedendo a questa forza di persuasione, noi ora cominciamo in modo del tutto automatico a confondere le condizioni dei due casi e a diventare relativisti. E' questa l'essenza dell'artificio di Galileo! Ne consegue che il conflitto fra Copernico e le "condizioni che agiscono su di noi e quelle nell'aria sopra di noi" si dissolve e noi ci rendiamo finalmente conto che "tutti gli accidenti terreni, per i quali comunemente si tiene la stabilità della Terra e mobilità del Sole e del firmamento, devono apparire a noi farsi sotto le medesime sembianze posta la mobilità della Terra e la fermezza di quelli.» (6)
D'accordo, Galileo si vedeva spesso contestato da obiezioni puerili come quella che "la terra, come gravissima, non può montare su sopra il Sole e poi a rompicollo calare a basso". E liquida la questione considerando che il numero degli idioti è infinito e non bisogna tenerne conto... forse perchè non esisteva la democrazia. Tuttavia, anche per questo, bollare gli argomenti galileiani come propaganda pare eccessivo. Ciò che appare evidente dai libri di storia è solo che l'idea assoluta del moto era molto radicata. Su questo Feyerabend aveva ragione: Galileo volva diffondere la relatività in tutti i casi, sia parlando di moto sulla terra, sia parlando di moti celesti. Bisognava estirpare il realismo ingenuo per far vincere Copernico. Se teniamo presente come agisce il realismo ingenuo, dice Feyerabend, «risulta chiaro che la proposta di Galileo equivale a una revisione parziale del nostro linguaggio d'osservazione o della nostra esperienza. Un'esperienza che contraddice in parte l'idea del moto della Terra viene trasformata in un'esperienza che la conferma, almeno per quanto riguarda gli "accidenti terreni". Ciò è quanto in realtà accade. Ma Galileo vuol persuaderci del fatto che nessun mutamento ha avuto luogo, che il secondo sistema concettuale è già universalmente noto, anche se non è universalmente usato. » (7) Dove starebbe il "noto"? Nel fatto che Galileo usa il metodo platonico dell'anamnesi, cioè del sapere inconscio che viene portato alla luce grazie ad un pilota. E' questo che non piace a Feyerabend, che giudica l'anamnesi galileiana come «abile mossa tattica.» Ma questa mossa compromette il significato rivoluzionario della scoperta. «La resistenza contro l'assunto che un moto comune non opera viene considerata tutt'uno con la resistenza che le idee dimenticate oppongono al tentativo di richiamarle alla memoria. Accettiamo pure questa interpretazione della resistenza, ma non dimentichiamo che la resistenza esiste. Dobbiamo ammettere allora che questa resistenza restringe l'uso di idee relativistiche, limitandole a una parte della nostra esperienza quotidiana. All'esterno di questa parte, ossia nello spazio interplanetario, esse sono "dimenticate" e perciò non sono attive. Ma all'esterno di un tale ambito non c'è un caos completo. Altri concetti vengono usati, e fra questi ci sono quei medesimi concetti assolutistici che derivano dal primo paradigma. Non soltanto li usiamo, ma dobbiamo anche ammettere che sono del tutto adeguati.» (8)
A questo punto Feyerabend, non ha difficoltà a mostrare che quello di Galileo è un "desiderio metafisico". Egli avrebbe voluto vedere "il tutto con mirabil facilità corrisponder con le sue parti". Esso corrisponde al "bisogno tipicamente metafisico" dell'unità di comprensione. E' in questa prospettiva che Galileo difende a spada tratta la realtà del moto terrestre. «L'idea dell'anamnesi svolge qui la funzione di un sostegno psicologico, di una leva destinata a facilitare questo processo di sussunzione [della relatività dei moti] occultandone l'esistenza. Di conseguenza, siamo pronti ora ad applicare le nozioni relativistiche non soltanto a navi, carrozze, uccelli, ma anche alla Terra nel suo complesso. E abbiamo l'impressione di essere stati sempre pronti a compiere questa estensione, anche se ci è costato un po' di fatica rendercene conto. Quest'impressione è però certissimamente erronea: essa è infatti solo il risultato delle macchinazioni propagandistiche di Galileo. Faremmo meglio a descrivere invece la situazione in un modo diverso, ossia come un mutamento del nostro sistema concettuale.» (9)
Gli argomenti "relativistici" di Galileo sono noti: se, osservando il moto di piccoli animaletti nella sua cabina su una nave in navigazione, un uomo immobile può non rendersi conto di essere in movimento, e con lui anche gli animaletti, come ci si potrebbe, a maggior ragione, render conto del moto terrestre? Ora, è vero che questo argomento serve solo ad alimentare il dubbio sulle vecchie concezioni, e non dimostra alcunchè circa il moto della Terra, ma esso offre appunto il destro per una riflessione che si aggiunge alle altre, ben più cospicue e "perspicue" circa la logica copernicana. Eppure, Feyerabend trascura il potere euristico di un dubbio simile, un dubbio capace di imporre l'apertura ad altri ragionamenti.
Per Feyerabend si tratta di un trucco, che consiste «nell'assunto, che chiamerò principio di relatività, che i nostri sensi percepiscono soltanto i moti relativi e sono completamente insensibili a un moto comune. Rimane da spiegare perché la pietra cada ai piedi della torre e non rimanga indietro. Allo scopo di salvare la concezione copernicana si deve spiegare non soltanto perché un moto che preserva la relazione fra oggetti visibili non viene percepito, ma anche perché un moto comune di vari oggetti non incida sul loro rapporto reciproco. Si deve spiegare cioè perché un tale moto non sia un agente causale.» (10)
La spiegazione che fornisce Feyerabend ruota sul fatto che le concezioni precopernicane si fondavano su due spiegazioni naturali. La prima era che il moto assoluto si percepisce sempre. La seconda che il sasso in caduta libera assume un moto naturale che, ovviamente è assoluto. Se si deve asserire e difendere il moto della Terra, occorre integrare la concezione relativistica dei moti con un nuovo principio d'inerzia. «Si vede subito che la legge seguente, il principio dell'inerzia circolare, come la chiamerò, fornisce la soluzione richiesta: un oggetto che si muova con una determinata velocità angolare su una sfera esente da attriti attorno al centro della Terra continuerà a muoversi per sempre con la medesima velocità angolare. Combinando l'apparenza della pietra in caduta libera col principio di relatività, col principio dell'inerzia circolare e con alcuni assunti semplici concernenti la composizione della velocità, otteniamo un'argomentazione che non va più a danno della concezione di Copernico ma che può essere usata per fornirle un parziale sostegno.
Galileo difese il principio di relatività in due modi. Il primo modo consisté nel far vedere come il principio sostenga il copernicanesimo: questa difesa è veramente ad hoc. Il secondo consisté nell'indicarne la funzione nel senso comune e nel generalizzare in modo surretizio tale funzione ... Non fu addotto alcun argomento indipendente a sostegno della sua validità. Il sostegno dato da Galileo al principio dell'inerzia circolare è esattamente dello stesso genere. Egli introduce il principio, anche qui senza alcun riferimento all'esperimento o ad osservazioni indipendenti, ma riferendosi a ciò che si suppone già tutti conoscano.» (11)
Galileo porta tramite il metodo socratico il povero Simplicio ad ammettere che un corpo che si muova senza attrito su una sfera concentrica al centro della Terra, eseguirà un moto "senza termine, cioè perpetuo". Feyerabend sottolinea che ciò che Simplicio accetta non si fonda né sull'esperimento né su una teoria corroborata dall'esperienza. Simplicio accetta una visione che implica un tremendo salto dell'immaginazione. La visione che Galileo impone a Simplicio, tuttavia, nasce da ipotesi ad hoc. Ma, così facendo, Galileo inaugura un nuovo modo di pensare assai più sofisticato e speculativo rispetto ad Aristotele ed al senso comune. «Parlando in modo paradossale, ma non sbagliato, si potrebbe dire che Galileo inventa un'esperienza che contiene ingredienti metafisici. Proprio per mezzo di una tale esperienza si realizza la transizione da una cosmologia geostatica al punto di vista di Copernico e di Keplero.» (12)
Feyerabend sostiene così che nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo siamo in presenza di due retoriche di tipo metafisico equivalenti, quella di Simplicio e quella di Salviati, cioè lo stesso Galileo. L'abilità di Galileo non starebbe nel ricavare una verità obiettiva dalla sensata esperienza e dal ragionamento, ma nell'inventare un'esperienza mista, comunque intessuta di elementi metafisici. E, conseguentemente, nel condurre maieuticamente Simplicio a conoscere la validità della teoria scoprendo di saperla già. Feyerabend omette però di ricordare che il cedimento di Simplicio alle argomentazioni e alle prove galileane è assolutamente minimo. Ancora in chiusura del Dialogo, Simplicio afferma che il moto dei cieli spiega gli stessi fenomeni trattati da Galileo altrettanto bene che il moto terrestre di rotazione. Che la risposta di Salviati, cioè Galileo stesso, possa apparire debole o metafisicamente equivalente a quella del Simplicio, lo lascerei giudicare al lettore: .«Non si può negare che il vostro discorso non sia ingegnoso - dice Salviati- ed abbia assai del probabile; dico però, probabile in apparenza, ma non già in esistenza e realtà. Egli ha due parti: nella prima rende ragione del moto continuo dell'aura orientale, ed anco di un simil moto nell'acqua; nella seconda vuol anco dal medesimo fonte attigner la causa del flusso e reflusso. La prima parte ha (come ho detto) qualche sembianza di probabilità, ma però sommamente minore di quella che noi prendiamo dal moto terrestro, la seconda è del tutto non solo improbabile, ma assolutamente impossibile e falsa.» (13) E, dopo aver spiegato come anche il discorso "probabile" sia del tutto improbabile, date le mancate spiegazioni di troppi fenomeni, Galileo passa decisamente all'attacco asserendo che il moto dei cieli non può dar assolutamente ragione del flusso e del deflusso delle acque. «... essendo che da una causa una ed uniforme non può seguire altro che un effetto solo ed uniforme, quello che nell'acqua si dovrebbe scorgere, sarebbe un corso continuato ed uniforme da levante verso ponente, ed in quel mare solamente che, ritornando in se stesso, circonda tutto 'l globo; ma ne i mari terminati, come è il Meditarraneo, racchiuso da oriente, non vi potrebbe esser tal moto, perché se l'acqua sua potesse esser cacciata dal corso del cielo verso occidente, son molti secoli che sarebbe restato asciutto: oltre che la nostra acqua non corre solamente verso occidente, ma ritorna indietro verso levante, e con periodi ordinati. E se ben voi dite, con l'esempio dei fiumi, che benché il corso del mare fusse originariamente il solo da oriente in occidente, tuttavia la diversa postura de i lidi può far rigurgitare parte dell'acqua in dietro, ciò vi concedo; ma bisogna, signor Simplicio mio, che voi avvertiate, che dove l'acqua per tal cagione ritorna indietro, vi ritorna perpetuamente, e dove ella corre a dirittura, vi corre sempre nell'istesso modo, ché così vi mostra l'esempio dei fiumi; ma nel caso del flusso e reflusso, bisogna trovare e produr ragione di far che nell'istesso luogo ora corra per un verso ed ora per l'opposito, effetti che, essendo contrarii e difformi, voi non potete mai dedurre da una causa uniforme e costante. E questo con che s'atterra questa posizione del moto contribuito al mare dal movimento diurno del cielo, abbatte ancora quella di chi volesse ammetter il moto solo diurno della Terra, e credesse con quello solo poter rendere ragione del flusso e del reflusso; del quale effetto, perché è difforme, bisogna necessariissimamente che difforme e alterabile sia la cagione.» (14)
(1) P. K. Feyerabend - Contro il metodo - Feltrinelli 1979
(2) idem
(3) idem
(4) idem
(5) idem
(6) idem
(7) idem
(8) idem
(9) idem
(10) idem
(11) idem
(12) idem
(13) Galileo - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
(14) idem
SP - 12 gennaio 2007