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Paul K. Feyerabend
Anarchia del metodo

di Silvana Poggi
«L'unico principio che non inibisce il progresso è: qualsiasi cosa può andar bene.» (1)

Checché se ne possa dire, un'asserzione di tal fatta impegna quantomeno nei confronti del progresso. E se si riconosce un progresso, e lo si intende come crescita della conoscenza, si rimane senz'altro in una prospettiva assimilabile alla filosofia della scienza nel suo significato più genuino. Una delle tesi di P. K. Feyerabend è che il confronto tra ricerca storica e le idee circolanti sulla scienza dovrebbe portare a risultati imbarazzanti per chi ritiene che la scienza proceda con metodo, secondo principi fermi, immutabili e assolutamente vincolanti. «Troviamo infatti che non c'è una singola norma, per quanto plausibile e per quanto saldamente radicata nell'epistemologia, che non sia stata violata in qualche circostanza.» Tali eventi non sono accidentali, o frutto di errore e disattenzione. Tali violazioni sono necessarie per il progresso.
«Questa libertà di azione, lo ripeto, non è solo un fatto della storia della scienza. Esso è sia ragionevole sia assolutamente necessario per la crescita del sapere. Più specificamente, si può dimostrare quanto segue: data una norma qualsiasi, per quanto "fondamentale" o "necessaria essa sia per la scienza, ci sono sempre circostanze nelle quali è opportuno non solo ignorare la norma, ma adottare il suo opposto. Per esempio, ci sono circostanze nelle quali è consigliabile introdurre, elaborare e difendere ipotesi ad hoc, o ipotesi che contraddicano risultati sperimentali ben stabiliti e universalmente accettati, o ipotesi il cui contenuto sia minore rispetto a quello delle ipotesi alternative esistenti e adeguate empiricamente, oppure ancora ipotesi autocontraddittorie ecc.»

«Per esempio, possiamo servirci di ipotesi che contraddicano teorie ben confermate e/o risultati sperimentali ben stabiliti. Possiamo far progredire la scienza procedendo in modo controinduttivo.»
Per vedere come sia possibile rovesciare il comune modo di pensare degli scienziati, «consideriamo la norma secondo cui è l'"esperienza", ovvero sono i "fatti" o i "risultati sperimentali", a misurare il successo delle nostre teorie; secondo tale norma l'accordo fra una teoria e i dati è un elemento a favore della teoria (o lascia immutata la situazione) mentre il disaccordo va a danno della teoria... E' questa l'essenza dell'empirismo. La "contronorma" corrispondente ci consiglia di introdurre ed elaborare tesi che siano in contraddizione con teorie ben stabilite e/o fatti bene accertati. Essa ci consiglia di procedere controinduttivamente.»
Un'affermazione di questo tipo deve essere spiegata, andando palesemente contro qualsiasi logica precedente la visita di Feyerabend sul pianeta terra.
Il suo ragionamento si sviluppa così in due fasi; nella prima tenta di spiegare come si possano sviluppare ipotesi teoriche con teorie accertate. «... emerge che i materiali sperimentali che potrebbero condurre alla confutazione di una teoria possono essere spesso portati alla luce solo con l'aiuto di un'alternativa incompatibile: il consiglio (che risale a Newton e che ancora molto popolare oggi) di usare alternative solo quando la teoria ortodossa sia già stata screditata dalle confutazioni mette il carro davanti ai buoi. Alcune fra le proprietà più importanti di una teoria, inoltre, vengono trovate per contrasto, e non per analisi. Uno scienziato che desideri massimizzare il contenuto empirico delle sue opinioni e che voglia comprenderle nel modo più chiaro possibile deve perciò introdurre altre opinioni; egli deve adottare cioè una metodologia pluralistica.» Quindi confrontare idee con altre idee invece che con l'esperienza.

Invece di sopprimere la Bibbia, afferma provocatoriamente Feyerabend, potremmo così usarla come opposto delle idee evolutive. Lo scienziato potrebbe così avvedersi «che la teoria dell'evoluzione non è così buona ... La conoscenza così concepita non è una serie di teorie in sé coerenti che convergono verso una concezione ideale, non è un approccio ideale, non è un approccio graduale alla verità. E' piuttosto un oceano, sempre crescente, di alternative reciprocamente incompatibili (e forse anche incommensurabili): ogni singola teoria, ogni favola, ogni mito che fanno parte di questa collezione costringono le altre ad una maggiore articolazione, e tutte contribuiscono, attraverso questo processo di competizione, allo sviluppo della nostra coscienza. ... Plutarco o Diogene Laerzio, non Dirac o von Neumann, sono i modelli per la presentazione di una conoscenza di questo genere... Il compito dello scienziato non è più, però, quello di "ricercare la verità", o di "lodare Dio", o di "sistematizzare le osservazioni" o di "migliorare le predizioni"... sono solo effetti collaterali... » L'attività dello scienziato è infatti rivolta a "trasformare in causa più forte la causa più debole", come dicevano i sofisti, in tal modo di sostenere il moto del tutto
Quando si passa dal Feyerabend raccontato nei manuali di storia della filosofia a quello "reale" dei suoi testi, si prova spesso uno shock anafilattico.!

Vediamo ora la seconda fase. Cioè vediamo come, in sostanza, le teorie confutano i fatti, e non viceversa. Intanto, dice Feyerabend, prendiamo atto che non esiste alcuna teoria in accordo con tutti i fatti noti nel suo dominio. Il problema non è quello di vedere se si possa o no legalizzare la prassi di usare teorie controinduttive. Si tratta solo di vedere se le discrepanze tra teorie e fatti possano essere incrementate. «Per rispondere a questa domanda è sufficiente ricordare che rapporti su dati di osservazione, risultati sperimentali, asserzioni "fattuali" o contengono assunti teorici o li asseriscono attraverso il modo in cui sono usati. ... Così la nostra abitudine di dire "la tavola è marrone" quando la osserviamo in circostanze normali con i nostri sensi in buona efficienza, ma "la tavola sembra marrone" quando le condizioni di luce sono scarse o quando non siamo sicuri della nostra capacità di osservazione, esprime la convinzione che esistano circostanze familiari nelle quali i nostri sensi sono in grado di vedere il "mondo com'è in realtà" e altre circostanze, altrettanto familiari, in cui i nostri sensi sono soggetti a ingannarsi.»
Feyerabend vuol dire, insomma, che quando ci imbattiamo in una cosmologia diversa, ad esempio quella copernicana, che contrasta con le percezioni ordinarie, i nostri "pregiudizi" vengono riconosciuti e identificati non per analisi della situazione, ma per "contrasto". Ma anche lo scienziato non sfugge a tale condizione. Tutte le sue teorie sono strutturate allo stesso modo. E potrebbe così succedere che il disaccordo tra i dati e la teoria non dipenda dalla scorrettezza della teoria ma dati contaminati. Nasce sotto tale luce più di un problema, che non si può risolvere, e nemmeno formulare in modo chiaro, se rimaniamo all'interno del modo usuale di pensare e maneggiare i dati empirici. Dobbiamo costruire un intero mondo alternativo.
«Il primo passo nella nostra critica di concetti e procedimenti familiari, il primo passo nella nostra critica dei "fatti", dev'essere perciò un tentativo di spezzare il circolo.» Quindi, anche la controinduzione è legittima e può dispiegare la sua validità. Il consumatore della teoria feyerabendiana è comunque avvisato. Feyerabend non vuole sostituire l'induzione o l'assiomatica con una metodologia alternatva. «Il mio intento... convincere il lettore del fatto che tutte le metodologie, anche quelle più ovvie, hanno i loro limiti.» Con quanta efficacia il il procedimento controinduttivo può essere sostenuto dal ragionamento?
A risentirci... (continua)
(1) P. K. Feyerabend - Contro il metodo - Feltrinelli 1979 (Against Method / Outline of an Anarchistic Theory of Knowledge 1975) Salvo dove diversamente indicato, tutte le citazioni sono tratte da questo testo.

SP - ottobre 2006