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Einstein: la relatività generale (parte I)
di Eric Amich

Descartes aveva configurato il mondo come composto di estensione e movimento. Newton produsse una visione alternativa e certamente più aderente alla realtà. Il mondo è fatto di tre elementi:
1) La materia, infinite particelle separate e distinte l'una dall'altra, impenetrabili e immodificabili, non identiche.
2) Il movimento, uno stato relativo che non modifica le particelle nel loro esistere, ma le trasporta per lo spazio infinito ed omogeneo.
3) Lo spazio, ovvero un "vuoto" infinito ed omogeneo nel quale la materia aggregata o non aggregata si sposta.
Cosa tiene assieme tutto ciò?
Una quarta componente, l'attrazione. Ma l'attrazione, per Newton, non è un elemento costitutivo. Nel definirla, cioè non definendola, Newton si trovò ad un bivio. O è un potere sovrannaturale - cioè un'azione divina - oppure si tratta "solo" di una legge matematica rigorosa che stabilisce le regole. Il che, tutto sommato, potrebbe anche farci concludere che è sia l'una che l'altra: ovvero un potere sovrannaturale che agisce secondo una legge matematica.

Disegnato lo scenario, anche se manca una spiegazione dell'attrazione, tutto diventa comunque più facile, e Newton, infatti, non trovò grandissime difficoltà nel formulare la legge di gravitazione universale. In essa la, forza di attrazione tra due corpi dipende dalla distanza che li separa. La forza diminuisce quando la distanza aumenta.
Questa storia fu raccontata anche da Einstein, e non è per vezzo citazionistico che la riportiamo tale e quale. Essa ci aiuta a capire il punto di vista di Einstein su tutta la questione. Da qui partì per rivoluzionare il concetto di gravità, pur mantenedolo come concetto base.
«Quanto abbiamo appreso sin qui sulla forza di gravitazione - scrive Einstein - non basta ancora per descrivere il moto dei pianeti. Abbiamo già visto che vettori rappresentanti la forza e la variazione di velocità per un breve intervallo di tempo hanno la stessa direzione. Dobbiamo ora seguire Newton e fare un altro passo avanti supponendo che esiste una relazione semplice tra le lunghezze dei vettori stessi. Ammesso che tutte le altre condizioni siano eguali, considerando cioè il medesimo corpo in moto e le medesime variazioni, durante intervallidi tempo eguali, la variazione di velocità, è, secondo Newton, proporzionale alla forza.
Vediamo così che due congetture supplementari sono necessarie per giungere a conclusioni quantitative circa il moto dei pianeti. Una di esse è d'indole generale e stabilisce una relazione tra la forza e la variazione di velocità. L'altra è di carattere particolare e stabilisce una precisa dipendenza fra una forza di data specie e la distanza tra due corpi. La prima è la legge del movimento di Newton, la seconda la sua legge di gravitazione. Insieme esse determinano il moto.» (1)

Tornando ad un ambiente forse più familiare agli studenti, o a chi è stato studente, vediamo la questione secondo la media dei manuali di fisica. Normalmente viene ricordato che Newton lavorò sulle tre leggi scoperte da Keplero e sulle orbite paraboliche dei proiettili di Galileo.
Vediamo innanzi tutto le tre leggi di Keplero:
1) Le orbite dei pianeti sono ellittiche e il Sole occupa uno solo dei fuochi.
2) Le aree descritte dal vettore posizione del pianeta rispetto al Sole sono di direttamente proporzionali ai tempi impiegati a percorrerle.
3) Il rapporto tra il cubo del raggio maggiore dell'orbita e il quadrato del periodo di rivoluzione è costante e quindi lo stesso per tutti i pianeti.
Lavorando su queste premesse, nonché sulle orbite paraboliche dei proiettili di Galileo, Newton seppe dare un carattere generale e quantitativo all'analisi di Galileo, che si era limitato ad alcuni moti semplici. Questo gli riuscì perché seppe spostare l'attenzione dai moti orbitali nel loro insieme allo studio di proprietà "locali". In fondo, è questo il segreto di tutta la fisica prima di Einstein, e forse anche dopo: dividi et impera, cioè suddividi un problema generale, che spesso è mal posto e sembra irrisolvibile, in tanti problemi più semplici. Era una lezione che veniva da Descartes.
La scomposizione newtoniana portò ad analizzare il comportamento dei pianeti da punto a punto. Attraverso l'introduzione del calcolo differenziale, Newton arrivò ad una definizione ad una precisa dei fattori di variazione della distanza lungo un'orbita quando gli intervalli di di lunghezza divengono arbitrariamente piccoli. Riuscì quindi a stabilire la velocità di rivoluzione in qualsiasi punto dell'orbita. E, trovata la velocità, potè stabilire anche il fattore di variazione, ossia l'accelerazione. Essa subisce l'azione di qualsiasi forza agisca su un oggetto in orbita.
Mettendo in relazione la forza e l'accelerazione, otteniamo un'equazione che descrive il moto rispetto a una porzione infinitesima dell'orbita:

F = ma

Tralasciando le formule, che sono ben note ai bravi studenti, e che dicono nulla a chi è a digiuno da troppo tempo, si ha che:
La forza attrattiva esercitata dal Sole sul pianeta, o dalla Terra sulla Luna, è direttamente proporzionale alla massa del pianeta e inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
Nelle equazioni newtoniane entra in gioco una costante K che è quella ricavata dalla terza legge di Keplero (vedi sopra):

R3/ T2 = K

Tale costante non è universale, ma secondo la legge di Keplero aveva lo stesso valore per tutti i pianeti che ruotano attorno al Sole, indipendentemente dalla loro massa, dalla loro distanza dal Sole e dal loro periodo di rivoluzione.

Indicando con Ks la costante K che è caratteristica del Sole, si ha che la forza del Sole esercitata sul pianeta è uguale a 4 moltiplicato il quadrato di p greco alla seconda moltiplicato per Ks, ed ancora moltiplicato per la massa del pianeta divisa per R2.
La formula scrivetela voi!

Naturalmente, anche il rapporto Terra-Luna è analogo. Tuttavia il valore di K per la Terra va ricalcolato tenendo conto del periodo di rivoluzione e del raggio di orbita lunare. I valori di K sono direttamente proporzionali alle rispettive masse, e ciò porta ad una conclusione importante: le forme delle orbite di un pianeta o di un satellite e la velocità con cui vengono mediamente percorsi dipende dalla massa del corpo attorno a cui ruotano.

Lo studio della distanza media tra le Terra e la Luna portò Newton a supporre (è meglio non usare il termine "ipotizzare" con Newton!) che la forza attrattiva esercitata dalla Terra sulla Luna fosse direttamente proporzionale non solo alla massa della Luna, ma anche alla massa della Terra. Ciò lo condusse a supporre che anche la forza di attrazione del Sole fosse proporzionale alla sua massa.
Moltiplicando e dividendo la relazione che esprime la forza di attrazione esercitata dal Sole per la massa solare si ottiene:


In essa compare:

che è la costante che Newton battezzò G.
Essa, a differenza della costante K, aveva un valore universale, essendo valida per qualunque stella o pianeta. Newton la estese a tutti i corpi celesti che possono essere considerati puntiformi, posti a distanza r l'uno dall'altro. Nacque la legge di gravitazione universale, la quale si esprime con:

Usando il linguaggio ordinario, essa afferma che: due punti materiali si attraggano con una forza diretta lungo la loro congiunzione, di intensità direttamente proporzionale alle rispettive masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza.

In un famoso articolo pubblicato su "Scientific American" nel 1950, Einstein scrisse a riguardo:« Nella fisica newtoniana il concetto teorico elementare su cui si basa la descrizione dei corpi materiali è il punto materiale o particella. Quindi la materia è considerata discontinua a priori. Questo rende necessario considerare l'azione reciproca dei punti materiali come "azione a distanza". Poichè questo ultimo concetto sembra del tutto contrario all'esperienza di ogni giorno, è naturale che i contemporanei di Newton - e Newton stesso - trovassero difficile accettarlo. A causa, però, del successo quasi miracoloso del sistema newtoniano, le generazioni successive si abituarono all'idea dell'azione a distanza. Ogni dubbio fu sepolto per molto tempo a venire.» (2)
Ma i dubbi cominciarono a risorgere nel corso dell'Ottocento, anche se ci fu chi, come Laplace, portò il sistema newtoniano ad una sorta di sacra edificazione. L'uomo che osò per primo criticare Newton fu il filosofo viennese Ernst Mach, ed Einstein ne subì l'influenza. Ma che il sistema newtoniano presentasse delle crepe, non tanto nella parte matematica, quanto nella parte dei presupposti fisici era già evidente a inizio secolo. Comunque vale la pena di riportare un passo di Mach per capire anche la vis polemica di cui era pervasa La scienza della meccanica, un libro su cui Einstein meditò a lungo, fin dal 1897.
«E' superfluo sottolineare che nelle riflessioni qui presentate Newton ha ancora una volta agito contrariamente al suo proposito esplicito di indagare fatti reali. Nessuno ha la facoltà di predicare alcunché a proposito dello spazio assoluto e del moto assoluto; si tratta di puri oggetti del pensiero, di puri costrutti mentali, che non possono darsi nell'esperienza. Come abbiamo mostrato in dettaglio, tutti i nostri principi di meccanica sono conoscenze sperimentali concernenti le posizioni ed i moti relativi dei corpi. Anche negli ambiti in cui ora se ne riconosce la validità, tali principi non potevano essere e non furono ammessi senza prima essere sottoposti a prove sperimentali. A nessuno è consentito estendere tali principi oltre i confini dell'esperienza. Di fatto tale estensione è priva di senso, poiché nessuno possiede la conoscenza per farne uso.»
Einstein fu tuttavia devoto a Mach solo per un certo tratto. Avanti negli anni, gli riconobbe qualche grande merito come fisico, ma lo definì una "frana" dal punto di vista filosofico. Se ben si guarda, la critica di Mach a Newton poggia su principi inaccettabili dal punto di vista einsteiniano. Egli si spinse oltre i confini dell'esperienza, ben prima (ovviamente!) di qualsiasi esperienza. Chiese solo di verificare le sue ipotesi ottenendo, dopo, una conferma sperimentale.
Eppure, alla base della teoria della relatività generale, vi sta proprio un principio filosofico: lo spazio vuoto assoluto, come entità fisica, non ha senso; "non è una cosa", anche se poi, forse, la è, come vedremo. Per Einstein, come s' è già visto a proposito della relatività ristretta, spazio e tempo acquistano una dignità ontologica solo di fronte a regoli ed orologi che misurano distanze e secondi, secondi rispetto alla distanza e e distanze rispetto ai secondi.

continua


note:
(1) Albert Einstein e Leopold Infeld - L'evoluzione della fisica - Bollati Boringhieri
(2) Albert Einstein - Sulla teoria generalizzata della gravitazione - apparso su Scientific American nel 1950 e poi su Le Scienze n. 129 nel maggio 1979)


ea - 16 aprile 2005