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Einstein e il moto browniano
di Eric Amich
C'erano ancora agli inizi del 1900 fisici e non solo, ma anche biologi, luminari del bisturi e filosofi (tra i quali Ernst Mach), che non credevano all'esistenza degli atomi. La cosa può sembrare incredibile e comunque sorprendente, ma se guardiamo più da vicino alle credenze filosofiche di Mach e del suo discepolo Ostwald - che il giovane Einstein stimava in grande misura - lo stupore cessa per lasciare il posto a qualche considerazione più generale. Mach era prima di tutto un sensista, come tutti i positivisti doc non poteva concedere l'esistenza di qualcosa che i sensi non toccano e non possono vedere. Poteva, tutt'al più, concedere un uso strumentale della teoria atomica, nella misura della sua convenienza. Essa poteva tornare utile nei calcoli, nell'affrontare determinati problemi.
Come sanno i più bravi, solo nel 1955 fu possibile vedere gli atomi grazie al microscopio ionico ad emissione di campo ideato da Erwin W. Mueller dell'università di Pennsylvania. Tuttavia, va chiarito che chi credeva all'esistenza degli atomi non viveva una sorta di fede religiosa. Si limitava, più semplicemente, a seguire teorie plausibili, in grado di offrire spiegazioni più soddisfacenti. Qui si tratta di intendere che la spiegazione del moto browniano offerta da Einstein nel 1905, tra le altre cose, diede un importante contributo alla dimostrazione dell'esistenza degli atomi. Ora è bene, come sempre, un po' di storia.

Nel remoto 1827, il botanico scozzese Robert Brown aveva compiuto alcune straordinarie osservazioni servendosi di un comune microscopio riguardo al comportamento dei granelli di polline immersi in acqua. Scoprì che essi muovevano in modo costante, casuale e turbolento e, soprattutto, senza alcuna relazione con correnti presenti nell'acqua.
Brown ipotizzò che le particelle rappresentavano una nuova specie di stato della materia. Definì questo stato "molecola attiva" e giunse a pensare che le "molecole attive" fossero animate. Per vederci più chiaro, Brown estese i suoi esperimenti gettando in acqua anche sostanze non vegetali: catrame, manganese, nichel, arsenico ecc... Rilevò "molecole attive" in gran quantità. Il nostro bravo scozzese aveva dunque di fronte un quadro del tipo seguente: le particelle di qualsiasi sostanza in sospensione nell'acqua eseguono movimenti costanti, casuali e turbolenti.
Brown non riuscì ad indurre altro. Egli era un botanico e non un fisico, e forse mancava di qual particolare talento per il quale avviene da qualche parte del nostro cervello lo svelarsi di una possibile ipotesi teorica riguardo ai fenomeni osservati. Ma il fenomeno del moto browniano non passò nel dimenticatoio. Fu studiato da molti altri per tutto il corso dell'Ottocento. Finalmente, nel 1863, fu ipotizzato che il moto descritto da Brown fosse dovuto al bombardamento irregolare delle particelle da parte delle molecole d'acqua circostanti. Oggetti di domensione più grande non ne risentirebbero. Noi stessi, immersi nel liquido, non avvertiamo altro che la pressione dell'acqua, certo non avvertiamo alcun bombardamento molecolare. Ma le particelle di materia sì. Per i fisici del tempo, il moto casuale, turbolento e costante era dunque una dimostrazione del fatto che l'acqua e la materia in generale hanno una struttura granulare. Il che non significa ancora atomo, intendiamoci.

Prescindendo da Brown e i suoi esperimenti, anche perchè si tratta di eventi precedenti il 1827, un reale contributo allo studio della composizione della materia era venuto dal chimico J. L. Gay-Lussac, che aveva scoperto che i gas reagiscono l'uno con l'altro secondo proporzioni definite per volume. Su questa base, il nostro Amedeo Avogadro, aveva poi trovato che in condizioni di temperatura e pressione normale tutti i gas contengono uno stesso numero di particelle, ovviamente in un certo volume. Fu però solo nel 1858, quando Stanislao Cannizzaro pubblicò il Sunto di un corso di filosofia chimica che questa idea di Avogadro venne giustamente conosciuta e riconosciuta come valida. Nello stesso periodo Maxwell e Boltzmann ipotizzarono, in modo indipendente anche l'uno dall'altro, che il comportamento dei gas a livello macroscopico potesse venire dedotto dal fatto che a livello molecolare si verificano eventi casuali. Sia Boltzmann che Maxwell concepirono i gas come composti da molecole in collisione. Il moto di ogni singola particella, se la si potesse seguire, si rivelerebbe governato dalle leggi della meccanica newtoniana. Purtroppo non si può. Per questo inventarono dei metodi statistici per determinare almeno il comportamento medio.
Nel 1865, Joseph Lodschmidt stimò il diametro delle molecole di gas e riuscì anche a calcolare il numero di molecole in un dato volume di gas in condizioni normali.
Tuttavia, all'inizio del '900, il giovane Einstein si trovava davanti un quadro contraddittorio: le teorie di Maxwell e Boltzmann erano controverse; molti fisici non le avevano accettate e, forse, nemmeno capite. Cercheremo di riassumerle: il modello di materia da loro descritto presenta caratteristiche che noi oggi diamo sovente come ovvie, ma che allora non lo erano.
1) ogni corpo è costituito da molecole; esse non sono ferme, ma oscillano continuamente.
2) la velocità media delle molecole dipende dalla temperatura del corpo; se un corpo viene riscaldato assume energia e aumenta la velocità delle sue molecole. Se un corpo viene raffreddato, cede energia all'ambiente e il moto molecolare rallenta.
3) nei solidi e nei liquidi le molecole sono pù legate tra loro, oscillano minor ampiezza e non si spostano sensibilmente
4) nei gas le molecole sono più libere, possono oscillare su basi più ampie ed anche diffondersi. Quando sentiamo odori e profumi nell'aria, significa che alcune molecole sono arrivate alle nostre narici. Tipico il caso dell'inconfondibile odore dei gas di scarico delle automobili e dei TIR nei centri cittadini.

Quello presentato fin qui è un modello cinetico, esso assume che le molecole si comportino come biglie. Se gettiamo in un contenitore che già contiene delle biglie rosse in movimento altre biglie di colore blu, assisteremo a degli scontri nei quali noteremo che una biglia rossa, meno veloce, scontrandosi con una biglia blu, più veloce, riceverà un po' della velocità di quella blu, mentre quella blu ne perderà un po'. Tendenzialmente, dovrebbe verificarsi poi uno stato di equlibrio, anche se è molto difficile che tutte le biglie si comportino esattamente nello stesso modo. Ecco il perché di una statistica.
Analogamente, se consideriamo che le biglie rosse siano più calde e quelle blu più fredde, arriveremo presto a constatare che le biglie arriveranno presto adassumere la medesima temperatura, come accade quando d'estate apriamo una finestra in un ambiente nel quale funzioni un condizionatore. L'aria fredda della stanza si mescolerà a quella calda proveniente dall'esterno, originando un aumento della temperatura media, effetto che si può misurare con un termometro, ma che noi percepiamo anche senza termometro.

Tra il 1902 e il 1904, Einstein pubblicò tre articoli che esploravano buona parte deel lavoro svolto da Boltzmann e sembravano straordinariamente vicine alle ipotesi che nel frattempo era venuto formulando il fisico americano Josiah Willard Gibbs (1839 - 1903), i cui lavori però Einstein ignorava.
In un articolo del 1904, Einstein arrivava ad affrontare un problema costituito dal contatto tra un sistema dato ed un secondo sistema "avente energia infinitamente (in senso relativo) più grande e temperatura T." La conclusione non era però soddisfacente. Nel tentativo di trovare K*, la costante assoluta, Einstein doveva riconoscere che essa poteva essere determinata sperimentalmente solo qualora fosse conosciuto "il valore medio del quadrato della fluttuazione dell'energia di un sistema. Allo stato attuale delle nostre conoscenze ciò non è possibile." Einstein concludeva che c'è un solo tipo di sistema fisico nel quale, in base all'esperienza, possiamo ipotizzare la presenza di una fluttuazione dell'energia, ovvero lo spazio vuoto occupato da radiazione termica. Ma, la conclusione formulata da Einstein circa la fluttuazione dell'energia nelle radiazioni era ancora basata su nozioni classiche. E ciò impediva di differenziare in modo significativo un gas perfetto da una radiazione sotto il profilo della fluttuazione.
Si tratta, però, di osservare che "quella insoddisfacente conclusione" risulterà decisiva, come vedremo, per determinare la dipendenza del volume delle quantità termodinamiche. Questo sarà un concetto che giocherà un ruolo cruciale nella formulazione dell'ipotesi del quanto di luce.

L'articolo del 1905, intitolato Sul movimento di piccole particelle sospese in un liquido stazionario secondo la teoria cinetica molecolare del calore, dimostrò che Einstein puntava , non già come Gibbs ad ottenere una teoria rigorosa che non richiedesse assunzioni sulle molecole, ma trovare prove sulla loro stessa esistenza. Di qui la prima esigenza: dimostrare che moti di tipo browniano esistevano, in natura, come conseguenze della teoria cinetica e che essi si offrivano come referenti per misurazioni di laboratorio capaci di offrire informazioni fondamentali sulla dimensione degli atomi.
Einstein constatava una divergenza tra la teoria termodinamica classica e la teoria cinematica a proposito della pressione che un certo numero di corpuscoli in sospensione poteva esercitare su una membrana permeabile al flusso del fluido ma non ai corpuscoli. La termodinamca non prevedeva infatti alcuna pressione osmotica nel caso di particelle sospese nel fluido. Visto che "... secondo le usuali concezioni l'energia libera del sistema risulta essere indipendente dalla posizione della membrana e delle particelle sospese." Da un punto di vista cinetico, al contrario, si poteva osservare che "una molecola in soluzione differisce da un corpo in sospensione solo per le sue dimensioni, e non si vede perché un certo numero di particelle in sospensione non dovrebbe produrre la medesima pressione osmotica prodotto da uno stesso numero di molecole."
In sostanza, fu Einstein a trovare finalmente la risposta all'interrogativi che avevano assillato Brown: perché il polline immerso nell'acqua si muove in modo costante, turbolento e casuale? Perché più un corpo è piccolo, tanto è più sensibile alle fluttuazioni del moto molecolare?
Il polline - afferma Einstein - si muove perché incessantemente colpito, in modo casuale ed imprevedibile, dalle molecole d'acqua che lo circondano e che sono in continuo movimento per agitazione termica. Ingenuamente, si potrebbe essere portati a sostenere che una particella sia semplicemente sospinta avanti ed indietro nel liquido, senza mai andare da alcuna parte. Ma ciò è quasi impossibile, visto che una volta che la particella è sospinta via dalla propria posizione, le collisioni successive trovano maggiori probabilità di allontanarla ancora di più. Einstein dimostrò che la distanza media percorsa dalla particella aumentava in ragione della radice quadrata del tempo trascorso, in modo, trascorso un tempo sufficiente, da ritrovarla in un punto molto distante da quello originario. Ma perché Einstein disse "radice quadrata"? Essa rappresenta una caratteristica del tutto peculiare e originale della previsione di Einstein. Infatti essa prevede che in quattro secondi la particella non si sposterà quattro volte più distante di quanto si sposti in un secondo, ma solo due. In particolare, Einstein previde che a temperatura ambiente una particella si sposti a distanza pari ad un decimillesimo di centimetro al secondo.
La singolare esattezza della teoria einsteiniana trovò conferma, tre anni dopo, nel lavor del fisico francese Jean Baptiste Perrin (1870 - 1942). Seguendo le istruzioni di Einstein, collegò una cinepresa ad un microscopio, filmando il moto di particelle di gomma-resina in sospensione. Le particelle avevano un diametro di circa 6 - 10-4 cm e la loro concentrazione, inizialmente uniforme, col passare del tempo, diminuiva alla superficie e aumentava sul fondo. Dopo ancora qualche tempo, veniva raggiunta una situazione di equilibrio tra la caduta per gravità e gli effetti del moto browniano, si che la concentrazione delle particelle alle varie profondità rimaneva costante. Tutto ciò era in perfetto accordo con la teoria di Einstein.

eric amich - 5 maggio 2005