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Destra e sinistra nei secoli dei secoli
di Renzo Grassano (con contributi alla discussione ed allo stesso arricchimento del testo di Carlo Fracasso e Guido Marenco)
In Grecia ci furono democratici ed aristocratici, a Roma si cominciò con patrizi e plebei; persino nella Palestina ai tempi di Gesù si ebbero farisei e sadducei, e forse altre correnti ancora. Tutte queste divisioni sono riconducibili a scontri di classe da un lato ed a scontri di idee dall'altro.
In termini marxiani la politica e la cultura sono sovrastrutture funzionali alla struttura economica. Quindi anche le divisioni dovute alle idee, alle fedi religiose e così via trovano una quasi automatica corrispondenza nella classe sociale di appartenenza. Io non sono marxista e sono quindi portato a contestare questa semplicistica visione del mondo. C'è dell'altro oltra alla lotta di classe, e la storia vera è certamente più complicata perché nel gioco subentrano ambizioni individuali ed interessi di fazioni che portano ad incroci molto complessi.
Giulio Cesare, ad esempio, era di destra o di sinistra? Certo, veniva dalla sinistra dei tribuni della plebe, ma era di famiglia aristocratica e tutta la sua carriera politica si giocò su questa ambiguità di fondo: apparentemente lavorava per fare gli interessi del popolo, in realtà coltivava l'ambizione di resuscitare l'istituto monarchico ed io non credo che questa possa essere considerata un'idea di sinistra, perché rappresenta la negazione di ciò in cui i veri democratici hanno sempre creduto.
Cesare era dunque un "populista", un demagogo, un opportunista che approfittava della situazione generale per volgere le cose al suo vantaggio. Poi, può essere che egli credesse fermamente nel fatto che un impero non si governa con istituzioni paralizzanti come un senato composto solo di rappresentanti di famiglie patrizie, ed incarichi consolari troppo brevi; credeva ci volesse, insomma, una sovranità forte e stabile per mettere fine alla litigiosità politica ed alla guerra per bande. E fu anche per questo che si ritenne "un uomo del destino" (oggi si direbbe un "unto"). In altre parole, credeva in quello che faceva non solo per sé, ma per il presunto bene di Roma e dei Romani.
La storia è nota, si sa come finì. Ma a noi interessa comprendere un concetto: destra e sinistra rischiano oggi di essere dei contenitori vuoti, delle divise che chiunque potrebbe indossare, come accadde ai tempi di Cesare. Il suo era un partito di sinistra, egli era il capo indiscusso di questa fazione. Indiscutibilmente fece molto per le plebi romane, "per farle star meglio e partecipare alla grande abbuffata della divisione delle terre strappate ai nemici".
Ma questa politica coloniale potrebbe definirisi di sinistra? Certo che no, però leggendo la vicenda in chiave moderna, dopo che nei secoli è venuto a chiarimento che i poveri, i senza terra, gli operai, i diseredati e gli emarginati, in fondo, non hanno nazionalità e quindi non hanno patria. Il loro interesse è di unirsi sotto un'unica bandiera.
In questa luce, quindi, non può essere considerata di sinistra una politica che miri ad avvantaggiare i poveri di casa propria a danno dei ricchi e dei poveri di un'altra parte del mondo. Ai tempi di Cesare ciò era ancora possibile per un altro fatto: Roma stava unificando il mondo antico, mettendo ordine nel disordine e portando la legge ed il diritto laddove non esistevano che parvenze. Oggi, in Occidente si ha la pretesa di esportare la democrazia. Allora, si coltivava la pretesa di esportare il diritto e l'ordine di Roma,oltre che la sua civiltà di opere pubbliche, di strade e di acquedotti.
Siamo, come si vede, alle prese con una strana mistura di analogie e differenze, di continuità e rotture, ed io vedo solo che non si può risolvere il quesito su che sono oggi destra e sinistra senza raccontare, anche se a larghi tratti, e quindi in modo necessariamente sommario, la storia delle idee e degli uomini che le hanno sostenute e chiarite, dando quindi largo spazio alla storia della filosofia politica.

Da quel che s'è detto finora, appare chiaro che per trovare una prima divaricazione politica significativa tra i membri di una stessa società non serve ancora una definizione topografica di tipo orizzontale; basta guardare alla divisione politica secondo un alto ed un basso, secondo un'ottica che consenta di individuare governanti (dominanti) e governati (dominati). Ciò potrebbe dare ragione all'interpretazione marxista della storia (come mi ha suggerito ad esempio Carlo Fracasso insistendo sull'istanza della divisione sociale del lavoro ), se non fosse che all'interno dei governanti ed all'interno dei governati non si fossero prodotte, da subito, diverse risposte e diverse tattiche ai problemi che via via andavano ponendosi.
La verità potrebbe essere, insomma, (tesi di Guido Marenco) che sia all'interno dell'alto che all'interno del di sotto cominciarono a germinare posizioni diverse circa la migliore tattica da seguire per procurarsi vantaggi. E non si parla di strategia a ragion veduta perché dal lato del basso non si trattava ancora di prevedere una rivoluzione da prepararsi secondo fasi o tappe, ma semplicemente di ottenere vittorie parziali in base a rivendicazioni minimali, oppure abbattere tout court tirannie insopportabili perché giudicate irriformabili.
Allo stesso tempo, dal punto di vista dell'alto, si trattava semplicemente di scegliere: se impartire punizioni esemplari, appendere i capi della protesta a qualche croce e sterminare i rivoltosi più decisi, oppure di introdurre qualche riforma, accogliere qualche richiesta compatibile con la continuazione del sistema, e poi studiare soluzioni in grado di sfruttare al meglio la nuova situazione.
Su questa base, insisteva Marenco, non si potrà parlare di destra e sinistra basandoci su canoni attuali, ma certamente si potrebbe cominciare a parlare di propensione alla ragionevolezza ed alla moderazione da un lato e propensione ad una condotta estremistica dall'altro. Divisioni, dunque, che comincerebbero a tagliare in diversi pezzi la semplicistica e primitiva opposizione tra governanti ricchi e governati poveri.
Ma attenzione - diceva Marenco - le categorie estremismo e moderazione non hanno nulla a che vedere sia con i concetti di alto e basso sia con quelli di destra e sinistra. Definiscono atteggiamento, comportamento ed intenzione possibili sia in campo che nell'altro. Hanno a che fare con la saggezza, l'astuzia, il calcolo politico, ma non determinano l'appartenenza ad una posizione preconcetta; semmai, in misura diversa a seconda delle situazioni, possono concorrere a vincere ed a perdere. "Non è scritto da nessuna parte che per vincere bisogna essere moderati, e che estremizzare porta a sconfitta sicura. Nemmeno in democrazia. Forse, soprattutto in democrazia. Gli esempi storici, purtroppo, non solo non lo escludono, ma a volte lo confermano. I dittatori che sono andati al potere con il consenso popolare sono innumerevoli. L'opzione per il moderatismo è di tipo etico-morale. Una persona saggia preferisce sempre limitare i danni e quindi il numero di morti e feriti, anche in campo avverso. Una persona veramente saggia non ama la rissa e la calunnia, preferisce un clima di confronto amichevole pur sapendo che esso può favorire l'ipocrisia, la menzogna, l'inganno o l'illusione. Una persona saggia, infatti, sa che menzogna, inganno ed illusione prevalogono più facilmente in un clima di rissa isterica."

E allora, come trovare il filo di una genesi dei nostri concetti di destra e sinistra? Secondo Marenco, essi sono antagonismi della politica che vengono pienamente alla luce solo in epoca moderna, dopo la Rivoluzione francese. Ma prima non è che non esistano, hanno solo altri nomi, oppure non ne hanno nemmeno uno. Sono afferrati e portati misticamente alla luce da qualche eletto, o coltivati più razionalemnte da qualche intellettuale aristotelico poco ortodosso come Teofrasto, che condannava la schiavitù.
Il profetismo di Amos, ad esempio, è un profetismo di sinistra, indiscutibilmente. Non è teologia della liberazione, ovviamente, ma comincia a suonare la tromba del dissenso e della critica ai potenti, agli sfruttatori, agli accaparratori, agli speculatori dell'edilizia.
La contrapposizione tra civitas dei e città dell'uomo, in Agostino, è forse troppo netta ed immatura per avere un che di pregnante sia ai suoi tempi, e tanto più ai nostri; tuttavia mostra una tensione alla giustizia sociale che non può che essere leggibile in termini di sinistra.
Ma, probabilmente è solo con l'illuminismo che viene in chiaro che il famoso appello del poeta Dante Alighieri - fatti non foste a viver come bruti... - non era rivolto ai rampolli dei ricchi ma all'intero genere umano. Era un appello ai poveri perché essi stessi si emancipassero lottando per coltivare virtute e conoscenza.
Con Kant, insomma, è chiaro che siamo tutti uguali e che dobbiamo uscire dallo stato di minorità usando la ragione. Ma che è la ragione senza una cultura ed un'struzione? Può Bertoldo, scarpe grosse e cervello fino, averla vinta sugli Azzeccagarbugli con quattro lauree appese al muro dello studio?
La vera sinistra, dunque, si propone certamente un superamento delle diseguaglianze più clamorose, quelle economiche, ma soprattutto si propone di eliminare l'ingiustizia in campo educativo, la discriminazione di casta nell'ambito della formazione culturale e professionale. Discriminazione che non si può abbattere solo con proclami astratti e la retorica dei meritevoli, ma con una scuola concreta, una scuola che porti tutti sullo stesso piano di partenza. Utopia. Dunque, la conclusione di Marenco era: Comenio e Don Milani. Questa è la sinistra vera. Non può non essere un poco utopica. Lo faremo sapere a Nanni Moretti: ecco che abbiamo detto qualcosa di sinistra, qualcosa che è la quintessenza eterea della sinistra, altrimenti non è.

Che sono dunque destra e sinistra ancor oggi?
Prima di dare per scontato che esistono ancora, e che una simile divisione possa essere ancora feconda sia per lo studioso, sia per chi cerca solo di informarsi, bisognerebbe però anche chiedersi se ci si possa accontentare di una separazione così netta. Personalmente, ad esempio, pur ritenendomi di sinistra, non solo non sono un marxista, ma capisco anche che molte mie idee non sono affatto di sinistra, vengono dalla tradizione cattolica e da quella liberale, o persino dalla destra vera e propria.
Perché, allora, non parlare anche di un "centro", da considerarsi non come un momento di mediazione e di moderazione, ma come un polo ideale e politico ancora in grado di produrre idee e proposte utili al miglioramento della società e della convivenza?

Provo a rispondere asserendo che in realtà un centro non esiste, e forse non è mai esistito, se non come forma di attenuazione di idee o di destra o di sinistra. Esistono gli eclettici, se vogliamo anche gli opportunisti, esagerando persino dei traditori (di un'idea, s'intende) e degli annacquatori, ma idee di centro in quanto tale, secondo me non esistono. Il centro, in sostanza, è nient'altro che la neutralizzazione stessa del conflitto politico fino ad un improbabile azzeramento delle differenze. Quindi, io credo piuttosto esistano diverse destre e diverse sinistre e che indubbiamente, esistano anche movimenti politici e culturali trasversali, come i verdi e gli ecologisti, che si differenziano dalle tradizioni politiche consolidate perché antepongono un certo valore (la difesa dell'ambiente) a tutti gli altri, ma che essi siano poi misurabili di volta in volta per le posizioni concrete che prendono e per le prospettive che assumono.
Ecco perché, in definitiva, non mi è parso utile ai fini di una storia problematica e critica della filosofia politica introdurre un criterio ulteriore.
Piuttosto, sarei incline a considerare con molta serietà la categoria storica del camaleonte, cioè quel tipo di animale politico in grado di cambiare pelle ad ogni volgere di situazione. Ecco, se c'è qualcosa che ha veramente a che fare con "un"centro, potrei dire che è questo tipo di politico. Se ha avuto l'abilità di non esporsi troppo, se nel tempo ha sempre saputo usare toni di moderazione e di ipocrisia, il suo oscillare tra destra e sinistra non potrebbe essere tacciato o tacciabile di incoerenza.
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RG 22 marzo 2004