Charles Darwin: storia e contesto della teoria
della selezione naturale
di Eric Amich
Lo sanno tutti, ma è bene ribadirlo:
teorie dell'evoluzione erano già presenti
nella storia della scienza prima di Darwin.
Una di queste, la più importante,
era quella risalente al francese Lamarck.
Un'altra si poteva attribuire al nonno di
Charles, Erasmus Darwin. Eppure, quella che
oggi consideriamo come la classica teoria
dell'evoluzione, un vero pilastro per le
scienze contemporanee, fu elaborata da Charles
Darwin. Sarebbe meglio chiamarla teoria della
selezione naturale perchè essa considera come fattore
primario dei cambiamenti la sopravvivenza
di organismi modificati naturalmente e non
parla affatto di un progresso tendente a
qualcosa di superiore. Questa del progresso
è una storiella successiva, un'interpretazione
un po' forzosa, anche se poggiata su fatti
che paiono indubitabili, coniata in ambienti
filosofici e portata avanti soprattutto da
Herbert Spencer. In sostanza, è corretto
pensare che il risultato della selezione
naturale sia stata l'evoluzione, ma solo
perché in ogni competizione, di norma,
vince il migliore. Non è vero, al
contrario, che sia la spinta evolutiva interna
agli organismi viventi, a produrre la selezione
naturale. Le affermazioni dello stesso Darwin, in proposito,
sono inequivocabili. All'inizio della sua ricerca, egli sembrò
riconoscere valida una teoria definibile
come "senescenza delle specie"
avanzata dal geologo Brocchi (1772-1826),
ripresa e criticata da Charles Lyell ne I principi di geologia. Secondo questa teoria le specie si estinguono
quando scocca l'ora e non per cause fisiche
esterne. Darwin credette di poter spiegare
così l'estinzione dei grandi mammiferi nordamericani
verificatasi improvvisamente, in un periodo
di relativa calma geologica. In genere, viene
anche fatto notare che il "primo Darwin"
si spinse molto in là con la speculazione
credendo che tutti i grandi gruppi di organismi
avessero avuto origine da una "molecola
organica" o "monade" originaria,
sorta per generazione spontanea. Inoltre,
avrebbe anche pensato che ogni gruppo di
organismi fosse destinato ad estinguersi
quando i discendenti di tale gruppo avessero
esaurito tutte le capacità vitali.
M queste speculazioni ebbero vita breve e
circolarono solo sui suoi taccuini privati.
Una descrizione dettagliata dello sviluppo
del pensiero del grande naturalista lo si
può comunque ricostruire in base alle sue
stesse pagine autobiografiche. Vale la pena
di leggerne alcuni estratti.
«Dal settembre del 1854 in poi dedicai
tutto il mio tempo all'argomento della trasformazione
delle specie riordinando un'enorme quantità
di note, osservando e sperimentando. Durante
il viaggio sul Beagle mi aveva molto colpito
la scoperta nella formazione pampeana di
grandi animali fossili ricoperti di armature
simili a quelle degli armadilli viventi,
ed ero rimasto impressionato dal modo in
cui animali molto affini si sostituivano
l'un l'altro procedendo verso sud nel continente,e
infine del fatto che la maggior parte delle
specie dell'arcipelago delle Galapagos hanno
caratteri nettamente sudamericani e soprattutto
che in ogni isola del gruppo essi si presentano
con piccole differenze caratteristiche, benché
nessuna di queste isole appaia geologicamente
molto antica.
Evidentemente fatti come questi, e molti
altri, si potevano spiegare supponendo che
le specie si modifichino gradualmente, e
questo pensiero mi ossessionava. Ma era ugualmente
evidente che né l'azione delle condizioni
ambientali, né la volontà degli organismi
(specialmente nel caso delle piante) potevano
servire a spiegare tutti quegli innumerevoli
casi di organismi d'ogni tipo mirabilmente
adattati alle condizioni di vita, come ad
esempio il picchio e la raganella adatti
ad arrampicarsi sugli alberi, i semi a essere
disseminati per la presenza di uncini e piume.
Questi adattamenti mi avevano sempre vivamente
colpito e mi sembrava che finché essi non
fossero spiegati sarebbe stato inutile cercare
di dimostrare con prove indirette che le
specie si sono modificate.»
Darwin era tornato in Inghilterra dalla famosa
crociera sul Beagle fin dal 1836. Mentre
lavorava sulla sua collezione di uccelli,
ma soprattutto grazie alle sue discussioni
con l'ornitologo John Gould, egli maturò
un punto di vista evoluzionista, all'incirca
a partire dal marzo 1837. Come annota Ernst
Mayr, "sicuramente nel luglio 1837 egli
accettò in via definitiva l'evoluzione da
un'origine comune." Mayr definiva questa
conversione come la prima rivoluzione darwiniana. Essa si caratterizzava per il fatto che non
si limitava a sostituire l'immagine teorica
di un mondo vivente statico nell'immutabilità
delle specie, ma nella "destituzione
dell'uomo dalla sua posizione unica nell'universo,
per collocarlo al primo posto nell'evoluzione
animale." Pare, insomma, che da questa
data Darwin non avrebbe avuto più dubbi,
anche se poi attese più di vent'anni per
esternare e pubblicare le sue convinzioni.
Leggiamo ancora:
«Nel luglio 1837 cominciai il mio primo
libro di appunti. Lavorai secondo i principi
baconiani e, senza seguire alcuna teoria,
raccolsi quanti più fatti mi fu possibile,
specialmente quelli relativi alle forme domestiche,
mandando formulari stampati, conversando
con i più abili giardinieri e allevatori
di animali, e documentandomi con ampie letture.
Quando rivedo la lista dei libri di ogni
genere che ho letto e riassunto, ivi comprese
serie complete di periodici e atti accademici,
mi stupisco della mia attuività. Non tardai
a rendermi conto che la selezione era la
chiave con cui l'uomo era riuscito ad ottenere
razze utili di animali e piante. Ma per qualche
tempo mi rimase incomprensibile come la selezione
si potesse applicare a organismi viventi
in natura.
Nell'ottobre del 1838, cioè quindici mesi
dopo l'inizio della mia ricerca sistematica,
lessi per intero il libro di Malthus sulla
Popolazione [Essay on the Principles of Population] e poiché, date le mie lunghe osservazioni
sulle abitudini degli animali e delle piante,
mi trovavo nella buona disposizione mentale
per valutare la lotta per l'esistenza cui
ogni essere è sottoposto, fui subito colpito
dall'idea che, in tali condizioni, le variazioni
vantaggiose tendessero a essere conservate,
e quelli sfavorevoli ad essere distrutte.
Il risultato poteva essere la formazione
di specie nuove. Avevo dunque ormai una teoria
su cui lavorare, ma ero così preoccupato
di evitare ogni pregiudizio, che decisi di
non scrivere, per qualche tempo, neanche
una brevissima nota. Nel giugno del 1842,
mi concessi la soddisfazione di fare della
mia teoria un brevissimo riassunto di trentacinque
pagine scritte a matita; questo fu poi ampliato
nell'estate del 1844 in uno scritto di duecentotrenta
pagine che poi feci ricopiare accuratamente
e che ancora posseggo.
In quel tempo però non afferrai un problema
molto importante. Non riesco a capire come
abbia potuto non vederlo e non trovarne la
soluzione: era l'uovo di Colombo. Mi riferisco
alla tendenza degli organismi discendenti
da uno stesso ceppo a divergere nei loro
caratteri, quando si modificano. Che essi
si siano molto differenziati è provato dal
fatto che le specie di tutti i tipi possono
essere riunite in generi, i generi in famiglie,
le famiglie in sottordini e così via. Sono
in grado di ricordare il luogo esatto della
strada, che percorrevo in carrozza, quando
mi venne in mente la soluzione del problema,
con mia grande gioia: ciò accadde molto tempo
dopo che ci eravamo trasferiti a Down. La
soluzione, secondo me, consiste nel fatto
che la discendenza modificata delle forme
dominanti e in via di sviluppo tende ad adattarsi
a parecchi luoghi che hanno caratteristiche
molto diverse nell'economia della natura.
»
Tra Cuvier e Lyell
La teoria darwiniana nacque dunque dapprima
attraverso le osservazioni eseguite durante
il viaggio e la semplice constatazione che
le specie si modificano poco alla volta.
L'idea fu suggerita da osservazioni paleontologiche,
dalla distribuzione geografica e dal fatto
che in zone ravvicinate, contigue o persino
separate, come le diverse isole Galapagos,
esistono specie assai simili, ma sempre diverse
in qualcosa. In un secondo momento, Darwin
si appoggiò alla teoria geologica di Charles
Lyell, che si contrapponeva al catastrofismo
di Georges Cuvier. Cuvier, in pratica era
stato il fondatore della paleontologia. Ma
siccome la paleontologia non può fare a meno
della geologia, egli aveva chiesto aiuto
ad un bravo geologo, Alexandre Brongniart.
Essi cercarono insieme, scavarono alla ricerca
di fossili e studiarono le rocce in cui erano
nascosti. Lavorando in profondità trovarono
le tracce di una successione regolare di
giacimenti aventi caratteri profondamente
diversi che si potevano riportare ad ambienti
altrettanto diversi: dal mare all'acqua dolce,
dalla terraferma a sedimenti forestali. In
breve le pubblicazioni del Cuvier ottennero
un grande favore anche tra la nascente opinione
pubblica. Dal 1798 al 1825 si erano avute
ben tre edizioni delle Ricerche sulla ossa fossili. Ma Cuvier interpretava i risultati della
sua fatica in senso decisamente antievoluzionistico. Accertato che in epoche passate erano vissute
specie diverse, ormai scomparse, non restavano,
secondo Cuvier, che due spiegazioni possibili:
o ammettere che le specie viventi al suo
tempo fossero variate per evoluzione, oppure ipotizzare che le specie viventi
in tempi remoti si fossero estinte, regione
per regione, e che in seguito, le stesse
regioni venissero ripopolate da nuove specie.
E Cuvier sposò questa seconda ipotesi decisamente,
asserendo che tutti mutamenti erano dovuti
a "catastrofi". Ed egli aveva molti
buoni argomenti per sostenere il suo punto
di vista. D'altra parte, l'evoluzionismo
lamarckiano sembrava troppo fantasioso, in
un certo senso "metafisico", per
apparire accettabile dalla scienza. Cuvier
si appoggiava a dati, come la scomparsa delle
Ammoniti, che non trovavano alcuna spiegazione
nel gradualismo lamarckiano.
Sull'altro fronte stava, per così dire, Charles
Lyell. Nato nel 1797, lo scozzese era animato
dalla grande ambizione di interpretare tutte
le conoscenze geologiche del proprio tempo
e "stabilire il principio stesso del
ragionamento in geologia", principio
che egli così enunciava: "dai tempi
più remoti ai quali può spingersi il nostro
sguardo fino al presente hanno agito solo,
e senza eccezione, le cause tuttora operanti,
e mai con gradi di energia diversa da quelli
attuali". Oggi si pensa che Lyell interpretò
i dati di cui disponeva con una certa parzialità,
assumendo talvolta toni da crociata. Ciò
non toglie granché al peso specifico di questa
figura, visto che giocò un ruolo non indifferente
nel lento formarsi della teoria darwiniana.
Lyell era sostanzialmente contrario al catastrofismo.
Lo definiva sprezzantemente "geologia
mosaica", lo assimilò al "diluvialismo"
dei teologi e attaccò l'idea che vi sia una
"direzione" di sviluppo nella storia
della vita sulla terra. (1)
Alla teoria del "graduale raffreddamento"
del globo terracqueo contrappose la sua teoria
del clima, sostenendo che esso è determinato
sia dalla latitudine che dalla distribuzione
delle terre e dei mari, dai venti e dalle
correnti. Ma poiché terre e acque hanno costantemente
variato la loro reciproca distrubuzione,
per Lyell, ogni zona esprime valori medi
di temperatura e di clima in perenne oscillazione.
Anche il preteso progresso delle forme di
vita verso "forme superiori" era
del tutto aleatorio. Analizzando i diversi
strati del terreno, si era formato la convinzione
che non esistono rocce primarie, o secondarie,
o terziarie caratteristiche di un dato periodo.
Il granito, ad esempio, non è la roccia più
antica, essendosi prodotto più volte. Lyell
poteva contare sul fatto che la sequenza
di strati presenta frequenti interruzioni
e ciò comporta una continua mutazione della
flora e della fauna tipica. Non vi sono fossili
tipici di singoli strati. Nei reperti paleontologici
Lyell non scorge le prove di una successione
irreversibile di forme via via superiori,
ma solo "un grande anno biologico",
che dà l'apparenza della successione, invece
è parte di un ciclo continuo, una sorta di
"eterno ritorno dell'uguale", come
direbbero i mie amici filosofi. Il che sta,
paradossalmente a significare, che anche
i grandi rettili estinti un giorno ritorneranno,
e non solo nella fiction. Per Lyell i reperti fossili erano, al suo
tempo, così frammentari e incompleti da non
consentire alcuna conclusione seria sulla
storia della vita. Un tipico argomento di
Lyell era che non tutti i fossili si conservano
allo stesso modo, e che non si trovano i
resti di grandi mammiferi negli strati più
antichi, non perché questi apparvero per
ultimi sulla scena della vita, ma perché
essendo questi animali terrestri, era semplicemente
impossibile trovare i loro resti in sedimenti
di origine marina. In poche parole, Lyell,
oltre che ad avvertire della necessità di
stare molto attenti ad imbastire balzane
teorie su dati incerti e variamente interpretabili,
insisteva sempre sul tasto che è pur sempre
possibile scoprire effetti sconosciuti di
cause note e che viceversa possono darsi
cause molto remote, persino insospettabili,
per fenomeni attuali. Su questa linea, Lyell
impiegò molto tempo ed energia per sottoporre
ad una critica serrata la teoria lamarckiana
dell'evoluzione. Non troppo diversamente
da Cuvier, per la verità.
Per Lyell, le specie "vengono all'essere"
(o persino sono "create",anche
se la religione non viene mai portata in
primo piano) in un punto ed in un momento
preciso, già pronte per sopravvivere nell'ambiente.
Da questi punti le varie specie si diffondono
o si disperdono, soprattutto quando l'equilibrio
ambientale è alterato. "Migrare o scomparire":
questo l'aut-aut. Si verifica quindi una
stretta interazione tra ambiente fisico e
ambiente biologico. Questi cambiamenti continui
non sono catastrofi nel senso teorizzato
da Cuvier, ma fluttuano senza fine attorno
a valori medi che tendono alla stabilità.
Di qui il nome della teoria lyelliana: uniformismo, che pare sia stato coniato dal filosofo
William Whewell, e che vuole significare
soprattutto che l'intensità dei cambiamenti
non varia in misura eccezionale, ma segue
una regola di moderazione controllabile e
verificabile, soprattutto vuole significare
che le cause son sempre le stesse.
Certo: a ben guardare l'elemento decisivo
della lotta instancabile di Lyell al lamarckismo
stava nel rifiuto di ammettere l'origine
scimmiesca, quindi animale, della specie
umana. Nonostante questo, Darwin ebbe un
giorno a scrivere che i suoi libri erano
"usciti per metà dal cervello di Lyell",
riconoscimento che non dovrebbe suonare eccessivo
in un uomo prudente e moderato come Darwin.
Del resto, leggendo gli appunti autobiografici,
non sfuggono le seguenti righe a proposito
della crociera del Beagle:
«Debbo dire ... che l'osservazione
diretta della geologia di tutti i luoghi
che visitammo fu per me l'esperienza più
importante, perché entrava in gioco il ragionamento.
A prima vista, quando si osserva una zona
nuova, il caos delle rocce sembra escludere
ogni possibile interpretazione, ma se si
considerano la stratificazione e la natura
delle rocce e dei fossili provenienti da
diversi punti, sempre ragionando e cercando
di prevedere quali potrebbero essere le condizioni
di un altro punto, ben prestola situazione
si chiarisce e la struttura di tutta la zona
diventa più o meno comprensibile. Avevo portato
con me il primo volume dei Principi di zoologia di Lyell, che studiai con cura e che mi fu
utilissimo per molte ragioni. Fin dal primo
sopraluogo ch feci, a Santiago nelle isole
del Capo Verde, mi resi conto della meravigliosa
superiorità con cui Lyell trattava gli argomenti
di geologia, rispetto ad altre opere che
avevo portato con me e quelle che ho letto
in seguito.»
Come la selezione sessuale agisce in natura
Dunque, uno dei coefficienti fondamentali
della nascita della teoria darwiniana fu
la comprensione che i fenomeni geologici
ed ambientali continuano a svolgersi sotto i nostri occhi, sebbene con estrema lentezza. E questo
concorre alla variazione biologica. Di qui
il tentativo di individuare su un piano ancora
pù preciso le cause delle modificazioni.
Studiando la selezione operata dagli allevatori,
egli venne a comprendere come si formavano
razze, ma non comprendeva ancora come tale
principio potesse valere nella natura in
generale. Solo leggendo il libro di Malthus,
Darwin venne a comprendere che l'equilibrio
naturale è perennemente turbato da una lotta
per l'esistenza in cui moltissimi individui
soccombono, e in questo fatto riconobbe un
principio generale. Esso, infatti vale per
tutti gli organismi naturali e vegetali ed
è causa della selezione naturale. Col tempo
può dar vita a nuove specie. Ma questa non
è ancora la spiegazione finale, perché non
è ancora chiaro il motivo per il quale le
specie si diversificano. Quando, finalmente,
la domanda ottiene una risposta, Darwin sa
che gli organismi viventi tendono ad adattarsi ad ogni luogo differente
in cui sono costretti a vivere. Tant'è vero, che nel primo taccuino sulle
specie egli scrisse: "la causa finale
della generazione (= riproduzione) è l'adattamento
ad un mondo che cambia". Se l'ambiente
fisico è in costante mutamento, dev'essere
vero che questi inducono variazioni sull'organismo,
soprattutto nell'apparato riproduttivo. La
riproduzione sessuale produce nella prole
modificazioni che sono adatte alle nuove
circostanze. L'adattamento diviene così la
risposta automatica degli organismi alle
mutazioni ambientali. Altrimenti si verificano
estinzioni. Le imperfezioni e le stravaganze
di tanti organismi viventi sono solo i residui
ereditari di adattamenti un tempo riusciti.
Dunque, la riproduzione sessuale produce
sia uniformità che differenze. Accumula variazioni
all'interno della stessa specie, ma nel corso
di incroci successivi, cancella tutte le
variazioni non-adattive. Gli incroci non
arrestano la trasformazione ma la rafforzano.
L'isolamento geografico abbassa il potenziale
di incroci, ma anche i fattori devianti,
quindi indirizza la variabilità prodotta
dalla riproduzione sessuale verso caratterizzazioni
tipiche. Quanto più piccola è la "popolazione",
tanto più difficilmente le caratteristiche
di un individuo che ha subito modificazioni
essenziali rischiano di perdersi, a meno
che queste caratteristiche siano non-adattive.
Lo studio delle razze domestiche, tuttavia,
mostra che la divergenza tra le varietà comporta
la sterilità degli ibridi. Ma queste razze
sono spesso l'effetto di una violenza dell'uomo
sugli animali e sui loro stessi istinti.
Certe razze canine sono mostruosità che non
resisterebbero in natura. Sia gli allevatori
che i contadini e gli orticultori, selezionano
in base ad un capriccio, mentre la natura
seleziona per il bene dell'organismo.
La lotta per l'esistenza Un altro punto importante nella teoria darwiniana
è la lotta per l'esistenza.
Essa non riguarda solo il rapporto, peraltro
già descritto con efficacia da Linneo e Buffon,
tra predatori e prede, ma investe anche i
membri della stessa specie. Milioni di uova
e organismi appena nati sono distrutti prima
di schiudersi o di arrivare all'età adulta.
Non si vince distruggendo il nemico di specie,
o sfuggendo alla sua fame,, ma arrivando
sani ed integri alla riproduzione ed alla
stagione degli amori. Così gli organismi
più adatti alle circostanze sopravvivono
attraverso la discendenza. Ma la minaccia
più grande per una specie può stare proprio
nella prolificazione eccessiva, mentre la
ricchezza della natura ed il successo riescono
solo nella costante minaccia del disordine
e della distruzione.
Il principio di divergenza e lo studio dei
cirripedi Un quadro completo della formazione della
teoria darwiniana richiede di ricordare che
dal 1846 Darwin iniziò lo studio sistematico
dei cirripedi, una sottoclasse di crostacei
che lo impegnò a lungo. Questa impresa sembrava
deviare dalla ricerca principale sulle specie,
ma portò molti frutti. Con gli strumenti
tradizionali degli anatomisti, ricostruì
faticosamente l'archetipo dei cirripedi,
cioè l'animale tipo da cui discendevano tutti
gli altri. Confrontò tutte le strutture di
cui venne in possesso, analizzando tutte
le variazioni. Poi usò le omolgie ricavate
per stabilire un quadro genealogico. Trovò
quello era a suo avviso la forma originaria,
il
Polliceps, dal quale erano discesi tutti i cirripedi.
Sulle orme di Richard Owen, Geoffroy Saint-Hilaire
e Cuvier stabilì uno stretto rapporto tra
il quadro morfologico e quello fisiologico.
Le conclusioni della lunga fatica portarono
Darwin ad enunciare che la forma ermafrodita
era quella originaria e le forme sessili
furono successive o originate comunque da
quella. Troviamo qui, sebbene implicito,
l'idea di
variazione come risultato dell'alterazione dello sviluppo
ontogentico. In essa confluiscono sia il
problema delle cause che quello dell'adattamento.
La selezione di una caratteristica tende
ad influenzare le altre strutture interessate
allo stesso meccanismo di sviluppo. A Darwin
diventa chiaro che accanto a strutture vantaggiose,
possono anche svilpparsi strutture svantaggiose
o inutili alla lotta per sopravvivere. Viene
quindi in chiaro che la variabilità nello
stato di natura presenta caratteristiche
molto ampie ed impensate. Ciò significa che
l'adattamento e il non-adattamento sono conseguenze
di una mutazione dei caratteri, che però
è casuale. La mole di variazioni non è prodotta
dall'ambiente fisico, ma nasce da cause non
ancora precisate all'interno degli organismi
stessi.
Ulteriori sviluppi del principio di divergenza Solo nel settembre del 1854, dopo aver pubblicato
due monografie sui cirripedi, Darwin riprese
lo studio sulle specie a tempo pieno. Il
suo interesse era allora attratto dai problemi
tassonomici. Si domandava perché un genere
comprendente molte specie si evolve in una
famiglia comprendente molti generi. E si
poneva un'ulteriore domanda: perché nelle
unità tassonomiche che comprendono meno sottounità,
queste ultime appaiono molto distanti tra
loro e tendono a rarefarsi?
Con l'aiuto di un bravo botanico, l'amico
Joseph Dalton Hooker, Darwin iniziò un duro
ed ingrato lavoro di tabulazione volto a
calcolare il rapporto numerico tra famiglie,
generi e specie in tutti i casi possibili.
Alla fine della ricerca, Darwin fu in grado
di formulare il «principio di divergenza
dei caratteri», secondo le varietà
che più divergono dal tipo parentale tendono
ad essere selezionate in quanto più adatte
ad occupare i posti più diversi. Oggi diremmo,
con C. Elton che coniò il termine nel primo
Novecento, non posto, ma
nicchia ecologica.
E' importante notare che, a quel punto, la
riflessione darwiniana seguì un'ulteriore
svolta. Darwin riconobbe che anche senza
variazioni nell'ambiente fisico e nel clima,
la selezione naturale operava indipendentemente,
attraverso la concorrenza più aspra tra forme
affini. Queste, infatti si contendono le
stesse risorse, come la tigre e la pantera,
la volpe e la faina. L'idea di Darwin era
ora che quanto più sono diversificati gli
organismi, tanto più possono coesistere nella
stessa zona. Quindi vi è una tendenza prevalente
verso la differenziazione e la specializzazione.
I grandi gruppi tendono sempre più grandi,
a diversificarsi ed a convivere.
Ancora per questo, Darwin rivide parzialmente
le sue convinzioni sull'isolamento geografico.
Ormai era persuaso che la selezione naturale
fosse favorita nelle grandi estensioni continentali,
perché qui era più intensa la concorrenza
e quindi più probabile la comparsa di variazioni
utili.
Un animale come l'ornitorinco, ad esempio,
vero
fossile vivente, ha potuto sopravvivere solo perché isolato
e al riparo della lotta per l'esistenza.
A questo punto, nel maggio del 1856, Darwin
cominciò a comporre, con molta calma, il
"suo grande libro sulle specie",
lavoro che non vide mai la luce.
L'origine delle specie, infatti è solo un riassunto. Il progetto
di Darwin fu interrotto bruscamente dall'arrivo
del saggio di Afred Wallace intitolato
On the natural tendency of species to depart
indefinitely from the original type. Il fatto strabiliante è che l'opera di
Wallace conteneva una teoria quasi identica
alla sua. Anche per questo, sotto lo stimolo
di Lyell che non era ancora diventato evoluzionista,
Darwin decise di scrivere in breve tempo
On the origins of species by means of natural
selection, on the preservation of the favoured
races in the struggle for life. Era tardi per arrivare primo, ma non per
dimostrarsi migliore di Wallace.
note:
(1) per la verità, ho trovato una notevole
differenza nella descrizione del pensiero
di Lyell tra quanto ha scritto il grande
biologo Ernst Mayr (Evoluzione e varietà dei viventi- Einaudi 1983) e quanto ha riportato Antonello
La Vergata in Storia della scienza moderna e contemporanea
(TEA 2000). Mi sono prevalentemente attenuto
alla versione di La Vergata in quanto lo
ritengo più attendibile come storico, anche
se Mayr, ovviamente, non ha scritto scempiaggini,
ma ha solo attutito le differenze tra Cuvier
e Lyell, dando più importanza ad altri testi
di Lyell, attraverso la mediazione di storici
come Lovejoy e Wilson. Anche Lyell sarebbe
stato, in sostanza un "microcatastrofista",
nonostante egli fosse "il nemico implacabile
dei 'catastrofisti'". Lyell ricorse
più volte a "miracolose, numerose e
discontinue creazioni speciali", cioè
creazioni parziali dopo le catastrofi. «Tuttavia,
scrive Mayr, ci sono prove che Lyell non
considerava queste creazioni come miracoli,
ma le vide qualche volta come se accadessero
"attraverso l'intervento di cause intermedie"
e come se fossero "un processo naturale,
in contrapposizione a un processo miracoloso".»
(Mayr, 1976)