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Charles Darwin: storia e contesto della teoria della selezione naturale
di Eric Amich
Lo sanno tutti, ma è bene ribadirlo: teorie dell'evoluzione erano già presenti nella storia della scienza prima di Darwin. Una di queste, la più importante, era quella risalente al francese Lamarck. Un'altra si poteva attribuire al nonno di Charles, Erasmus Darwin. Eppure, quella che oggi consideriamo come la classica teoria dell'evoluzione, un vero pilastro per le scienze contemporanee, fu elaborata da Charles Darwin. Sarebbe meglio chiamarla teoria della selezione naturale perchè essa considera come fattore primario dei cambiamenti la sopravvivenza di organismi modificati naturalmente e non parla affatto di un progresso tendente a qualcosa di superiore. Questa del progresso è una storiella successiva, un'interpretazione un po' forzosa, anche se poggiata su fatti che paiono indubitabili, coniata in ambienti filosofici e portata avanti soprattutto da Herbert Spencer. In sostanza, è corretto pensare che il risultato della selezione naturale sia stata l'evoluzione, ma solo perché in ogni competizione, di norma, vince il migliore. Non è vero, al contrario, che sia la spinta evolutiva interna agli organismi viventi, a produrre la selezione naturale.
Le affermazioni dello stesso Darwin, in proposito, sono inequivocabili. All'inizio della sua ricerca, egli sembrò riconoscere valida una teoria definibile come "senescenza delle specie" avanzata dal geologo Brocchi (1772-1826), ripresa e criticata da Charles Lyell ne I principi di geologia. Secondo questa teoria le specie si estinguono quando scocca l'ora e non per cause fisiche esterne. Darwin credette di poter spiegare così l'estinzione dei grandi mammiferi nordamericani verificatasi improvvisamente, in un periodo di relativa calma geologica. In genere, viene anche fatto notare che il "primo Darwin" si spinse molto in là con la speculazione credendo che tutti i grandi gruppi di organismi avessero avuto origine da una "molecola organica" o "monade" originaria, sorta per generazione spontanea. Inoltre, avrebbe anche pensato che ogni gruppo di organismi fosse destinato ad estinguersi quando i discendenti di tale gruppo avessero esaurito tutte le capacità vitali.
M queste speculazioni ebbero vita breve e circolarono solo sui suoi taccuini privati.
Una descrizione dettagliata dello sviluppo del pensiero del grande naturalista lo si può comunque ricostruire in base alle sue stesse pagine autobiografiche. Vale la pena di leggerne alcuni estratti.
«Dal settembre del 1854 in poi dedicai tutto il mio tempo all'argomento della trasformazione delle specie riordinando un'enorme quantità di note, osservando e sperimentando. Durante il viaggio sul Beagle mi aveva molto colpito la scoperta nella formazione pampeana di grandi animali fossili ricoperti di armature simili a quelle degli armadilli viventi, ed ero rimasto impressionato dal modo in cui animali molto affini si sostituivano l'un l'altro procedendo verso sud nel continente,e infine del fatto che la maggior parte delle specie dell'arcipelago delle Galapagos hanno caratteri nettamente sudamericani e soprattutto che in ogni isola del gruppo essi si presentano con piccole differenze caratteristiche, benché nessuna di queste isole appaia geologicamente molto antica.
Evidentemente fatti come questi, e molti altri, si potevano spiegare supponendo che le specie si modifichino gradualmente, e questo pensiero mi ossessionava. Ma era ugualmente evidente che né l'azione delle condizioni ambientali, né la volontà degli organismi (specialmente nel caso delle piante) potevano servire a spiegare tutti quegli innumerevoli casi di organismi d'ogni tipo mirabilmente adattati alle condizioni di vita, come ad esempio il picchio e la raganella adatti ad arrampicarsi sugli alberi, i semi a essere disseminati per la presenza di uncini e piume. Questi adattamenti mi avevano sempre vivamente colpito e mi sembrava che finché essi non fossero spiegati sarebbe stato inutile cercare di dimostrare con prove indirette che le specie si sono modificate.»
Darwin era tornato in Inghilterra dalla famosa crociera sul Beagle fin dal 1836. Mentre lavorava sulla sua collezione di uccelli, ma soprattutto grazie alle sue discussioni con l'ornitologo John Gould, egli maturò un punto di vista evoluzionista, all'incirca a partire dal marzo 1837. Come annota Ernst Mayr, "sicuramente nel luglio 1837 egli accettò in via definitiva l'evoluzione da un'origine comune." Mayr definiva questa conversione come la prima rivoluzione darwiniana. Essa si caratterizzava per il fatto che non si limitava a sostituire l'immagine teorica di un mondo vivente statico nell'immutabilità delle specie, ma nella "destituzione dell'uomo dalla sua posizione unica nell'universo, per collocarlo al primo posto nell'evoluzione animale." Pare, insomma, che da questa data Darwin non avrebbe avuto più dubbi, anche se poi attese più di vent'anni per esternare e pubblicare le sue convinzioni. Leggiamo ancora:
«Nel luglio 1837 cominciai il mio primo libro di appunti. Lavorai secondo i principi baconiani e, senza seguire alcuna teoria, raccolsi quanti più fatti mi fu possibile, specialmente quelli relativi alle forme domestiche, mandando formulari stampati, conversando con i più abili giardinieri e allevatori di animali, e documentandomi con ampie letture. Quando rivedo la lista dei libri di ogni genere che ho letto e riassunto, ivi comprese serie complete di periodici e atti accademici, mi stupisco della mia attuività. Non tardai a rendermi conto che la selezione era la chiave con cui l'uomo era riuscito ad ottenere razze utili di animali e piante. Ma per qualche tempo mi rimase incomprensibile come la selezione si potesse applicare a organismi viventi in natura.
Nell'ottobre del 1838, cioè quindici mesi dopo l'inizio della mia ricerca sistematica, lessi per intero il libro di Malthus sulla Popolazione [Essay on the Principles of Population] e poiché, date le mie lunghe osservazioni sulle abitudini degli animali e delle piante, mi trovavo nella buona disposizione mentale per valutare la lotta per l'esistenza cui ogni essere è sottoposto, fui subito colpito dall'idea che, in tali condizioni, le variazioni vantaggiose tendessero a essere conservate, e quelli sfavorevoli ad essere distrutte. Il risultato poteva essere la formazione di specie nuove. Avevo dunque ormai una teoria su cui lavorare, ma ero così preoccupato di evitare ogni pregiudizio, che decisi di non scrivere, per qualche tempo, neanche una brevissima nota. Nel giugno del 1842, mi concessi la soddisfazione di fare della mia teoria un brevissimo riassunto di trentacinque pagine scritte a matita; questo fu poi ampliato nell'estate del 1844 in uno scritto di duecentotrenta pagine che poi feci ricopiare accuratamente e che ancora posseggo.
In quel tempo però non afferrai un problema molto importante. Non riesco a capire come abbia potuto non vederlo e non trovarne la soluzione: era l'uovo di Colombo. Mi riferisco alla tendenza degli organismi discendenti da uno stesso ceppo a divergere nei loro caratteri, quando si modificano. Che essi si siano molto differenziati è provato dal fatto che le specie di tutti i tipi possono essere riunite in generi, i generi in famiglie, le famiglie in sottordini e così via. Sono in grado di ricordare il luogo esatto della strada, che percorrevo in carrozza, quando mi venne in mente la soluzione del problema, con mia grande gioia: ciò accadde molto tempo dopo che ci eravamo trasferiti a Down. La soluzione, secondo me, consiste nel fatto che la discendenza modificata delle forme dominanti e in via di sviluppo tende ad adattarsi a parecchi luoghi che hanno caratteristiche molto diverse nell'economia della natura. »
Tra Cuvier e Lyell
La teoria darwiniana nacque dunque dapprima attraverso le osservazioni eseguite durante il viaggio e la semplice constatazione che le specie si modificano poco alla volta. L'idea fu suggerita da osservazioni paleontologiche, dalla distribuzione geografica e dal fatto che in zone ravvicinate, contigue o persino separate, come le diverse isole Galapagos, esistono specie assai simili, ma sempre diverse in qualcosa. In un secondo momento, Darwin si appoggiò alla teoria geologica di Charles Lyell, che si contrapponeva al catastrofismo di Georges Cuvier. Cuvier, in pratica era stato il fondatore della paleontologia. Ma siccome la paleontologia non può fare a meno della geologia, egli aveva chiesto aiuto ad un bravo geologo, Alexandre Brongniart. Essi cercarono insieme, scavarono alla ricerca di fossili e studiarono le rocce in cui erano nascosti. Lavorando in profondità trovarono le tracce di una successione regolare di giacimenti aventi caratteri profondamente diversi che si potevano riportare ad ambienti altrettanto diversi: dal mare all'acqua dolce, dalla terraferma a sedimenti forestali. In breve le pubblicazioni del Cuvier ottennero un grande favore anche tra la nascente opinione pubblica. Dal 1798 al 1825 si erano avute ben tre edizioni delle Ricerche sulla ossa fossili. Ma Cuvier interpretava i risultati della sua fatica in senso decisamente antievoluzionistico. Accertato che in epoche passate erano vissute specie diverse, ormai scomparse, non restavano, secondo Cuvier, che due spiegazioni possibili: o ammettere che le specie viventi al suo tempo fossero variate per evoluzione, oppure ipotizzare che le specie viventi in tempi remoti si fossero estinte, regione per regione, e che in seguito, le stesse regioni venissero ripopolate da nuove specie. E Cuvier sposò questa seconda ipotesi decisamente, asserendo che tutti mutamenti erano dovuti a "catastrofi". Ed egli aveva molti buoni argomenti per sostenere il suo punto di vista. D'altra parte, l'evoluzionismo lamarckiano sembrava troppo fantasioso, in un certo senso "metafisico", per apparire accettabile dalla scienza. Cuvier si appoggiava a dati, come la scomparsa delle Ammoniti, che non trovavano alcuna spiegazione nel gradualismo lamarckiano.
Sull'altro fronte stava, per così dire, Charles Lyell. Nato nel 1797, lo scozzese era animato dalla grande ambizione di interpretare tutte le conoscenze geologiche del proprio tempo e "stabilire il principio stesso del ragionamento in geologia", principio che egli così enunciava: "dai tempi più remoti ai quali può spingersi il nostro sguardo fino al presente hanno agito solo, e senza eccezione, le cause tuttora operanti, e mai con gradi di energia diversa da quelli attuali". Oggi si pensa che Lyell interpretò i dati di cui disponeva con una certa parzialità, assumendo talvolta toni da crociata. Ciò non toglie granché al peso specifico di questa figura, visto che giocò un ruolo non indifferente nel lento formarsi della teoria darwiniana. Lyell era sostanzialmente contrario al catastrofismo. Lo definiva sprezzantemente "geologia mosaica", lo assimilò al "diluvialismo" dei teologi e attaccò l'idea che vi sia una "direzione" di sviluppo nella storia della vita sulla terra. (1)
Alla teoria del "graduale raffreddamento" del globo terracqueo contrappose la sua teoria del clima, sostenendo che esso è determinato sia dalla latitudine che dalla distribuzione delle terre e dei mari, dai venti e dalle correnti. Ma poiché terre e acque hanno costantemente variato la loro reciproca distrubuzione, per Lyell, ogni zona esprime valori medi di temperatura e di clima in perenne oscillazione. Anche il preteso progresso delle forme di vita verso "forme superiori" era del tutto aleatorio. Analizzando i diversi strati del terreno, si era formato la convinzione che non esistono rocce primarie, o secondarie, o terziarie caratteristiche di un dato periodo. Il granito, ad esempio, non è la roccia più antica, essendosi prodotto più volte. Lyell poteva contare sul fatto che la sequenza di strati presenta frequenti interruzioni e ciò comporta una continua mutazione della flora e della fauna tipica. Non vi sono fossili tipici di singoli strati. Nei reperti paleontologici Lyell non scorge le prove di una successione irreversibile di forme via via superiori, ma solo "un grande anno biologico", che dà l'apparenza della successione, invece è parte di un ciclo continuo, una sorta di "eterno ritorno dell'uguale", come direbbero i mie amici filosofi. Il che sta, paradossalmente a significare, che anche i grandi rettili estinti un giorno ritorneranno, e non solo nella fiction. Per Lyell i reperti fossili erano, al suo tempo, così frammentari e incompleti da non consentire alcuna conclusione seria sulla storia della vita. Un tipico argomento di Lyell era che non tutti i fossili si conservano allo stesso modo, e che non si trovano i resti di grandi mammiferi negli strati più antichi, non perché questi apparvero per ultimi sulla scena della vita, ma perché essendo questi animali terrestri, era semplicemente impossibile trovare i loro resti in sedimenti di origine marina. In poche parole, Lyell, oltre che ad avvertire della necessità di stare molto attenti ad imbastire balzane teorie su dati incerti e variamente interpretabili, insisteva sempre sul tasto che è pur sempre possibile scoprire effetti sconosciuti di cause note e che viceversa possono darsi cause molto remote, persino insospettabili, per fenomeni attuali. Su questa linea, Lyell impiegò molto tempo ed energia per sottoporre ad una critica serrata la teoria lamarckiana dell'evoluzione. Non troppo diversamente da Cuvier, per la verità.
Per Lyell, le specie "vengono all'essere" (o persino sono "create",anche se la religione non viene mai portata in primo piano) in un punto ed in un momento preciso, già pronte per sopravvivere nell'ambiente. Da questi punti le varie specie si diffondono o si disperdono, soprattutto quando l'equilibrio ambientale è alterato. "Migrare o scomparire": questo l'aut-aut. Si verifica quindi una stretta interazione tra ambiente fisico e ambiente biologico. Questi cambiamenti continui non sono catastrofi nel senso teorizzato da Cuvier, ma fluttuano senza fine attorno a valori medi che tendono alla stabilità. Di qui il nome della teoria lyelliana: uniformismo, che pare sia stato coniato dal filosofo William Whewell, e che vuole significare soprattutto che l'intensità dei cambiamenti non varia in misura eccezionale, ma segue una regola di moderazione controllabile e verificabile, soprattutto vuole significare che le cause son sempre le stesse.
Certo: a ben guardare l'elemento decisivo della lotta instancabile di Lyell al lamarckismo stava nel rifiuto di ammettere l'origine scimmiesca, quindi animale, della specie umana. Nonostante questo, Darwin ebbe un giorno a scrivere che i suoi libri erano "usciti per metà dal cervello di Lyell", riconoscimento che non dovrebbe suonare eccessivo in un uomo prudente e moderato come Darwin.
Del resto, leggendo gli appunti autobiografici, non sfuggono le seguenti righe a proposito della crociera del Beagle:
«Debbo dire ... che l'osservazione diretta della geologia di tutti i luoghi che visitammo fu per me l'esperienza più importante, perché entrava in gioco il ragionamento. A prima vista, quando si osserva una zona nuova, il caos delle rocce sembra escludere ogni possibile interpretazione, ma se si considerano la stratificazione e la natura delle rocce e dei fossili provenienti da diversi punti, sempre ragionando e cercando di prevedere quali potrebbero essere le condizioni di un altro punto, ben prestola situazione si chiarisce e la struttura di tutta la zona diventa più o meno comprensibile. Avevo portato con me il primo volume dei Principi di zoologia di Lyell, che studiai con cura e che mi fu utilissimo per molte ragioni. Fin dal primo sopraluogo ch feci, a Santiago nelle isole del Capo Verde, mi resi conto della meravigliosa superiorità con cui Lyell trattava gli argomenti di geologia, rispetto ad altre opere che avevo portato con me e quelle che ho letto in seguito.»
Come la selezione sessuale agisce in natura
Dunque, uno dei coefficienti fondamentali della nascita della teoria darwiniana fu la comprensione che i fenomeni geologici ed ambientali continuano a svolgersi sotto i nostri occhi, sebbene con estrema lentezza. E questo concorre alla variazione biologica. Di qui il tentativo di individuare su un piano ancora pù preciso le cause delle modificazioni. Studiando la selezione operata dagli allevatori, egli venne a comprendere come si formavano razze, ma non comprendeva ancora come tale principio potesse valere nella natura in generale. Solo leggendo il libro di Malthus, Darwin venne a comprendere che l'equilibrio naturale è perennemente turbato da una lotta per l'esistenza in cui moltissimi individui soccombono, e in questo fatto riconobbe un principio generale. Esso, infatti vale per tutti gli organismi naturali e vegetali ed è causa della selezione naturale. Col tempo può dar vita a nuove specie. Ma questa non è ancora la spiegazione finale, perché non è ancora chiaro il motivo per il quale le specie si diversificano. Quando, finalmente, la domanda ottiene una risposta, Darwin sa che gli organismi viventi tendono ad adattarsi ad ogni luogo differente in cui sono costretti a vivere. Tant'è vero, che nel primo taccuino sulle specie egli scrisse: "la causa finale della generazione (= riproduzione) è l'adattamento ad un mondo che cambia". Se l'ambiente fisico è in costante mutamento, dev'essere vero che questi inducono variazioni sull'organismo, soprattutto nell'apparato riproduttivo. La riproduzione sessuale produce nella prole modificazioni che sono adatte alle nuove circostanze. L'adattamento diviene così la risposta automatica degli organismi alle mutazioni ambientali. Altrimenti si verificano estinzioni. Le imperfezioni e le stravaganze di tanti organismi viventi sono solo i residui ereditari di adattamenti un tempo riusciti. Dunque, la riproduzione sessuale produce sia uniformità che differenze. Accumula variazioni all'interno della stessa specie, ma nel corso di incroci successivi, cancella tutte le variazioni non-adattive. Gli incroci non arrestano la trasformazione ma la rafforzano. L'isolamento geografico abbassa il potenziale di incroci, ma anche i fattori devianti, quindi indirizza la variabilità prodotta dalla riproduzione sessuale verso caratterizzazioni tipiche. Quanto più piccola è la "popolazione", tanto più difficilmente le caratteristiche di un individuo che ha subito modificazioni essenziali rischiano di perdersi, a meno che queste caratteristiche siano non-adattive.
Lo studio delle razze domestiche, tuttavia, mostra che la divergenza tra le varietà comporta la sterilità degli ibridi. Ma queste razze sono spesso l'effetto di una violenza dell'uomo sugli animali e sui loro stessi istinti. Certe razze canine sono mostruosità che non resisterebbero in natura. Sia gli allevatori che i contadini e gli orticultori, selezionano in base ad un capriccio, mentre la natura seleziona per il bene dell'organismo.

La lotta per l'esistenza
Un altro punto importante nella teoria darwiniana è la lotta per l'esistenza.
Essa non riguarda solo il rapporto, peraltro già descritto con efficacia da Linneo e Buffon, tra predatori e prede, ma investe anche i membri della stessa specie. Milioni di uova e organismi appena nati sono distrutti prima di schiudersi o di arrivare all'età adulta. Non si vince distruggendo il nemico di specie, o sfuggendo alla sua fame,, ma arrivando sani ed integri alla riproduzione ed alla stagione degli amori. Così gli organismi più adatti alle circostanze sopravvivono attraverso la discendenza. Ma la minaccia più grande per una specie può stare proprio nella prolificazione eccessiva, mentre la ricchezza della natura ed il successo riescono solo nella costante minaccia del disordine e della distruzione.

Il principio di divergenza e lo studio dei cirripedi
Un quadro completo della formazione della teoria darwiniana richiede di ricordare che dal 1846 Darwin iniziò lo studio sistematico dei cirripedi, una sottoclasse di crostacei che lo impegnò a lungo. Questa impresa sembrava deviare dalla ricerca principale sulle specie, ma portò molti frutti. Con gli strumenti tradizionali degli anatomisti, ricostruì faticosamente l'archetipo dei cirripedi, cioè l'animale tipo da cui discendevano tutti gli altri. Confrontò tutte le strutture di cui venne in possesso, analizzando tutte le variazioni. Poi usò le omolgie ricavate per stabilire un quadro genealogico. Trovò quello era a suo avviso la forma originaria, il Polliceps, dal quale erano discesi tutti i cirripedi. Sulle orme di Richard Owen, Geoffroy Saint-Hilaire e Cuvier stabilì uno stretto rapporto tra il quadro morfologico e quello fisiologico.
Le conclusioni della lunga fatica portarono Darwin ad enunciare che la forma ermafrodita era quella originaria e le forme sessili furono successive o originate comunque da quella. Troviamo qui, sebbene implicito, l'idea di variazione come risultato dell'alterazione dello sviluppo ontogentico. In essa confluiscono sia il problema delle cause che quello dell'adattamento.
La selezione di una caratteristica tende ad influenzare le altre strutture interessate allo stesso meccanismo di sviluppo. A Darwin diventa chiaro che accanto a strutture vantaggiose, possono anche svilpparsi strutture svantaggiose o inutili alla lotta per sopravvivere. Viene quindi in chiaro che la variabilità nello stato di natura presenta caratteristiche molto ampie ed impensate. Ciò significa che l'adattamento e il non-adattamento sono conseguenze di una mutazione dei caratteri, che però è casuale. La mole di variazioni non è prodotta dall'ambiente fisico, ma nasce da cause non ancora precisate all'interno degli organismi stessi.

Ulteriori sviluppi del principio di divergenza
Solo nel settembre del 1854, dopo aver pubblicato due monografie sui cirripedi, Darwin riprese lo studio sulle specie a tempo pieno. Il suo interesse era allora attratto dai problemi tassonomici. Si domandava perché un genere comprendente molte specie si evolve in una famiglia comprendente molti generi. E si poneva un'ulteriore domanda: perché nelle unità tassonomiche che comprendono meno sottounità, queste ultime appaiono molto distanti tra loro e tendono a rarefarsi?
Con l'aiuto di un bravo botanico, l'amico Joseph Dalton Hooker, Darwin iniziò un duro ed ingrato lavoro di tabulazione volto a calcolare il rapporto numerico tra famiglie, generi e specie in tutti i casi possibili. Alla fine della ricerca, Darwin fu in grado di formulare il «principio di divergenza dei caratteri», secondo le varietà che più divergono dal tipo parentale tendono ad essere selezionate in quanto più adatte ad occupare i posti più diversi. Oggi diremmo, con C. Elton che coniò il termine nel primo Novecento, non posto, ma nicchia ecologica.
E' importante notare che, a quel punto, la riflessione darwiniana seguì un'ulteriore svolta. Darwin riconobbe che anche senza variazioni nell'ambiente fisico e nel clima, la selezione naturale operava indipendentemente, attraverso la concorrenza più aspra tra forme affini. Queste, infatti si contendono le stesse risorse, come la tigre e la pantera, la volpe e la faina. L'idea di Darwin era ora che quanto più sono diversificati gli organismi, tanto più possono coesistere nella stessa zona. Quindi vi è una tendenza prevalente verso la differenziazione e la specializzazione. I grandi gruppi tendono sempre più grandi, a diversificarsi ed a convivere.
Ancora per questo, Darwin rivide parzialmente le sue convinzioni sull'isolamento geografico. Ormai era persuaso che la selezione naturale fosse favorita nelle grandi estensioni continentali, perché qui era più intensa la concorrenza e quindi più probabile la comparsa di variazioni utili.
Un animale come l'ornitorinco, ad esempio, vero fossile vivente, ha potuto sopravvivere solo perché isolato e al riparo della lotta per l'esistenza.

A questo punto, nel maggio del 1856, Darwin cominciò a comporre, con molta calma, il "suo grande libro sulle specie", lavoro che non vide mai la luce. L'origine delle specie, infatti è solo un riassunto. Il progetto di Darwin fu interrotto bruscamente dall'arrivo del saggio di Afred Wallace intitolato On the natural tendency of species to depart indefinitely from the original type. Il fatto strabiliante è che l'opera di Wallace conteneva una teoria quasi identica alla sua. Anche per questo, sotto lo stimolo di Lyell che non era ancora diventato evoluzionista, Darwin decise di scrivere in breve tempo On the origins of species by means of natural selection, on the preservation of the favoured races in the struggle for life. Era tardi per arrivare primo, ma non per dimostrarsi migliore di Wallace.

note:
(1) per la verità, ho trovato una notevole differenza nella descrizione del pensiero di Lyell tra quanto ha scritto il grande biologo Ernst Mayr (Evoluzione e varietà dei viventi- Einaudi 1983) e quanto ha riportato Antonello La Vergata in Storia della scienza moderna e contemporanea (TEA 2000). Mi sono prevalentemente attenuto alla versione di La Vergata in quanto lo ritengo più attendibile come storico, anche se Mayr, ovviamente, non ha scritto scempiaggini, ma ha solo attutito le differenze tra Cuvier e Lyell, dando più importanza ad altri testi di Lyell, attraverso la mediazione di storici come Lovejoy e Wilson. Anche Lyell sarebbe stato, in sostanza un "microcatastrofista", nonostante egli fosse "il nemico implacabile dei 'catastrofisti'". Lyell ricorse più volte a "miracolose, numerose e discontinue creazioni speciali", cioè creazioni parziali dopo le catastrofi. «Tuttavia, scrive Mayr, ci sono prove che Lyell non considerava queste creazioni come miracoli, ma le vide qualche volta come se accadessero "attraverso l'intervento di cause intermedie" e come se fossero "un processo naturale, in contrapposizione a un processo miracoloso".» (Mayr, 1976)