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Benedetto Croce, l'antipositivista

«Dopo Hegel imperversarono coloro che si baloccavano con le triadi, dopo Gioberti coloro che giocavano ai bussolotti con la forma creatrice. Vogliamo fare lo stesso noi, scolari del Gentile?.... In complesso noi abbiamo un torto: di non aver affrontato la storia, la storia senza aggettivi (direi la storia positiva se non ci fosse pericolo di equivoci) la storia a cui Croce e Gentile ci hanno condotti per mano, di esserci fermati a cincischiare e ad arabescare il sistema per ricavarne uno storicismo vuoto.» (1)
Sono parole di Adolfo Omodeo, scritte nel 1926 e già rispecchiano il senso di un parziale fallimento. Paolo Rossi considerava, moltissimi anni dopo: «Osservazioni come queste colpivano alla radice quella "prepotenza filosofica" dell'attualismo gentiliano, che avrà notevolissimi e non positivi riflessi nella storiografia filosofica dell'ultimo cinquantennio. La diagnosi dell'Omodeo può essere ripresa: lo storicismo idealistico appare infatti singolarmente infecondo (si intende da un punto di vista qualitativo) anche di fronte a quella storiografia di origine neokantiana o positivista nella quale il rispetto per la complessità del passato, l'abito di serietà e di sobrietà scientifica davano luogo talvolta, al di là dei presupposti teoretici, del dichiarato agnosticismo o della scarsa consapevolezza metodologica, a colloqui più fecondi e a più apprezzabili risultati.» (2)
Rossi osservava poi che tale "debolezza" appariva dipendere dalla insufficienza di alcune impostazioni gentiliane. "E si parla qui di attualismo - continuava - invece che più genericamente di idealismo, perché, com'è noto, l'ambiente filosofico italiano si mosse nell'orbita del pensiero attualistico e di molto minor peso fu su di esso il diretto influsso delle posizioni crociane".
Ci fu dunque un prevalere di Gentile su Croce, di un uomo al potere su di un uomo relegato all'opposizione ed all'isolamento. Questa potrebbe essere una chiave di lettura. Ma le obiezioni potrebbero essere molte. Abbiamo tutti la sensazione che Croce ebbe più influenza di Gentile e che il "vero" idealismo sfidato nel dopoguerra, cioè dal 1945 in poi, fu quello di Croce, a partire sia da Gramsci che dalle influenze di filosofie europee e americane che cominciarono a circolare in Italia, un'Italia finalmente in cammino verso la "sprovincializzazione" culturale. Sempre che Croce sia da considerare come un campione del provincialismo e dell'isolamento, tesi che appare molto discutibile se si pensa che Teoria e storia della storiografia fu pubblicato prima in tedesco, nel 1915, e solo successivamente in italiano, nel 1917.

Occorre tener conto, tuttavia, che non si può parlar di Benedetto Croce senza parlare di Gentile. I due costituirono una sorta di "diarchia" e per un certo tratto si imposero unitariamente nella cultura italiana, non solo nella filosofia. Essi continuarono a presentarsi allo stesso tempo insieme e separati per tutto il corso della prima metà del Novecento. Finita la guerra e liquidato il fascismo, l'interesse si spostò su Benedetto Croce per il semplice fatto che la cultura marxista italiana scoprì di avere una fonte in Antonio Gramsci e che l'originalità di Gramsci poggiava in pratica su tre gambe, la polemica contro Croce e insieme l'assorbimento di una parte del suo pensiero, un diretto riferimento a Labriola, che di Croce era pur sempre stato "maestro", e un più remoto collegamento con Sorel, che non molti, per la verità hanno visto, soggiogati com'erano, gli "intellettuali organici" dell'area comunista del dopo guerra, dall'imperativo di tenere e mantenere uno stretto, complesso e "difficile" rapporto tra Gramsci e Lenin.
Eppure, proprio nel dopoguerra, mentre la cultura scopriva Croce, la filosofia italiana prendeva altre strade, rinnegando completamente l'idealismo.

All'inizio del Novecento il positivismo appariva esausto ed il tentativo di inglobarlo nel marxismo, con una certa ingenuità, da parte di chi predicava di leggere Darwin e Spencer insieme a Marx, non superò il severo esame di Antonio Labriola. Una delle voci più originali (e distruttive), l'inattuale Carlo Michelstaedter, si era autosoppressa col suicidio, trascinando con sé nell'oblio la lucida definizione della società borghese moderna come " comunella dei malvagi". Ma sarebbe segno di imperdonabile miopia dimenticare la cultura cattolica, il suo radicale opporsi all'immanentismo gentiliano e crociano, specie attraverso le furibonde battaglie di padre Agostino Gemelli. Il movimento cattolico era allora grosso modo diviso in due tronconi, quello neotomistico raccolto attorno all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano di Gemelli, impegnato a riprendere i principi del realismo nella tempesta della modernità e della contemporaneità, e dall'altro il troncone di orientamento platonico agostiniano, rappresentato da personaggi come Luigi Stefanini e Renato Lazzarini., ai quali si aggiungerà più tardi Luigi Pareyson, nato nel 1918. Di peso minore, indubbiamente, era il modernismo cattolico, che in Italia non fu propriamente una posizione filosofica, ma un tentativo politico, quello di Murri, ed una visione diversa della religiosità e della Chiesa da parte di Ernesto Buonaiuti.
Per la verità, se ben si guarda, c'era allora un filosofo di temperamento originale che avversava fieramente l'idealismo immanentistico: Piero Martinetti. «Sono il senso profondo del valore assoluto della libertà in tutte le sue accezioni e insieme l'indisponibilità a ogni compromesso con il potere, più che il suo pensiero metafisico, intonato a tematiche di derivazione ottocentesca, a fare dell'insegnamento di Martinetti [...] una scuola di vita in grado di incidere a fondo sui numerosi giovani studiosi che si erano andati raccogliendo intorno a lui. Già alcuni anni prima della sua dolorosa quanto ferma rinuncia alla cattedra, aveva saputo fronteggiare lo spirito dell'intolleranza e dell'illibertà, allorché presidente del Congresso italiano di filosofia apertosi a Milano nel 1926 e disertato da Gentile e dai suoi discepoli, seppe replicare al ritiro dei cattolici che protestavano per la presenza tra i relatori dello scomunicato Buonaiuti: "non potevo rendermi esecutore di un decreto di scomunica io, filosofo, cittadino di un mondo nel quale non vi sono né persecuzioni, né scomuniche.» (3)

Benedetto Croce prese qualcosa da Martinetti, anche se non è chiaro quanto, perché, per temperamento fu un uomo portato ad autoformarsi in un regime di autarchia e non fu certo il Martinetti una delle sue fonti privilegiate. Suo vero maestro fu Antonio Labriola, che lo pilotò verso Herbart. Secondo Norberto Bobbio, Croce entrò prepotentemente in scena sferrando un attacco al positivismo. E lo fece, «chiamando a sostegno di volta in volta e quindi avendo come alleati (se pur non sempre graditi) e il materialismo storico e l'irrazionalismo. Con ciò non bisogna credere, come si sarebbe tentati di pensare, che egli abbia compiuto soltanto opera di mediazione e di sintesi. Croce fu un giudice appassionato e talora un giustiziere severo: condannò con fermezza la tolleranza che si trasforma in indifferentismo, e la temperanza che si trasforma in accomodantismo. E potè essere giudice e giustiziere, intollerante ed intemperante, perché nulla fu più estraneo al suo ideale di uomo di cultura che quello dell'arbitro che si asside in mezzo ai contendenti, del conciliatore che distribuisce equamente il torto e la ragione, del paciere al di sopra della mischia. Fu un protagonista, proprio perché non dimenticò mai in ogni momento di essere un antagonista, anche se occorre distinguere l'avversario ch'egli ebbe primamente di fronte, il positivismo, dagli avversari laterali, o secondari, di cui si servì per combattere lo stesso positivismo, come materialismo storico e irrazionalismo.» (4)
Perché questo accanimento? Perché fu fieramente perentorio nel dichiarare che "positivista non era stato mai, nemmeno quando Spencer veniva scambiato per Aristotele"? Scriveva Croce: «Come ogni uomo ho fatto, o almeno scritto, anch'io parecchie corbellerie, delle quali mi dolgo e arrossisco, e che ho procurato e procuro di correggere. Ma al modo stesso che nell'elenco dei dieci comandamenti del Signore ve ne ha parecchi che credo di non aver mai violato, così tra le corbellerie che nel corso della vita si possono commettere da chi pratica con la filosofia e con gli studi in genere, ce n'è una della quale mi compiaccio di essermi sempre tenuto puro, anche nei primi anni della mia giovinezza. Non sono mai stato positivista.» (5)

Com'è noto, Croce vinse la sua battaglia, e fors'anche la guerra. «La reazione idealistica contro il positivismo - scrive ancora Bobbio - mutò non solo il concetto generale della filosofia, ma il gusto, lo stile, le affezioni e le disaffezioni di un'intera epoca culturale. Il positivismo aveva fatto della scienza in special modo della scienza naturale, l'alfiere di ogni forma di sapere umano; l'idealismo lo rimise nei ranghi. Il positivismo aveva cercato di dare una spiegazione naturalistica anche delle manifestazioni dello spirito; l'idealismo ripudiando ogni forma di naturalismo, cercò di dare una spiegazione idealistica anche dei fenomeni naturali. La forma di conoscenza che i positivisti esaltarono fu quella propria delle scienze della natura; gli idealisti contrapposero alla scienza della natura come conoscenza del generale, la filosofia come sapere universale, come visione globale della realtà, e la storia come scienza dell'individuale che non è riducubile agli schemi astratti del naturalista.
Rispetto al materialismo storico, invece, da cui trasse argomenti per combattere l'antistoricismo, lo studio degli accadimenti umani col metodo delle scienze naturali, proprio del positivismo, Croce amò presentarsi come un correttore, cioè come storicista, sì, ma non come uno storicista dimidiato che rimette l'uomo sui piedi senza accorgersi di avergli tagliato la testa, bensì come lo storicista tutto d'un pezzo che dopo aver rimesso l'uomo sui piedi lo vede guidato dalle idee che ha nel cervello. Così rispetto all'irrazionalismo, di cui condivise il generale atteggiamento antintellettualistico, la rivalutazione del mondo delle passioni, delle forze vitali e irrazionali che muovono la storia, contro l'astrattismo scientistico dei positivisti, tenne non tanto a contrapporsi quanto a distinguersi per una nuova concezione della ragione immanente alla storia che non era l'intelletto astratto dei positivisti e degli illuministi loro putativi padri spirituali ma neppure la cieca irrazionalità dei nuovi adoratori della forza.» (6)

La prova di questa tesi va cercata nello scritto del 1895: La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte. Qui Croce sostiene una posizione inequivocabilmente antipositivista. La storia, pur essendo conoscibile, non costringe ad una conoscenza di tipo scientifico. Semmai, presenta un'analogia con la metodologia dell'arte, la quale ha una natura teoretica e rifiuta la propria riduzione alla semplice fruibilità estetica. Ovviamente, la storia non può essere scienza perché la scienza elabora la realtà secondo concetti, assumendo il particolare sotto leggi generali. La storia, al contrario, è attività narrativa, rappresentazione del particolare, infatti racconta quanto è realmente accaduto.
«In questo esordio filosofico crociano, sono, inoltre, già ben delineati, oltre che gli avversari, i punti di riferimento, gli autori prediletti, le scelte culturali che saranno ancora del Croce maturo. E' evidente, anche se generica, l'adesione all'idealismo; De Sanctis, insieme a Vico, è il suggeritore delle idee intorno all'arte e alla critica letteraria, mentre la triade dei valori ideali - Vero, Bello, Buono -, destinata a rimanere, sia pure radicalmente modificata, nella Filosofia dello spirito, mostra una chiara origine kantiana-herbartiana. Di Hegel, ancora scarsamente conosciuto, è assunto ogni apprezzamento positivo, tranne quello relativo alle sue dottrine estetiche. A questa freddezza contribuisce probabilmente l'avversione di Croce per la filosofia della storia, considerata portatrice di interpretazioni deterministiche incompatibili con un'autentica ispirazione umanistica.» (7)

(1) Adolfo Omodeo - Storicismo formalistico - in "Educazione politica", 1926; poi in Tradizioni morali e disciplina storica, Laterza 1929
(2) Paolo Rossi - La storiografia dell'idealismo italiano - in Storia e filosofia /saggi sulla storiografia filosofica - Einaudi 1969
(3) Giovanni Fornero / Salvatore Tassinari - Le filosofie del Novecento - Bruno Mondadori 2002 /cfr. P. Martinetti - I congressi filosofici e la funzione religiosa e sociale della filosofia in "Rivista di Filosofia", 1944.
(4) Norberto Bobbio - Profilo ideologico del Novecento - Garzanti 1990
(5) Benedetto Croce - A proposito del positivismo italiano. Ricordi personali (1905) sta in Cultura e vita morale - Laterza 1926
(6) Norberto Bobbio - Profilo ideologico del Novecento - Garzanti 1990
(7) Giovanni Fornero / Salvatore Tassinari - Le filosofie del Novecento - Bruno Mondadori 2002
moses - 21 dicembre 2005