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Nuove critiche alla ragion biologica
di Silvana Poggi
Occuparsi 'filosoficamente' di biologia non è semplice perché la biologia è un campo vastissimo e complicato, che non si presta a generalizzazioni metodologiche all'ingrosso. Il sapere biologico non è cumulativo, come in genere non lo è tutto il sapere scientifico, ma nemmeno si può dire non lo sia del tutto, visto che i nuovi saperi non hanno mai azzerato quelli precedenti con rivoluzioni paradigmatiche. Si continua a parlare di darwinismo e mendelismo anche dopo la rivoluzione innescata dalla biologia molecolare, e nonostante il concetto di informazione genica sia ormai molto diverso da come era stato concepito da Mendel sotto forma di fattore ereditario. Tra la nuova era della genomica e della post-genomica e i periodi precedenti esiste più di una continuità. Anche quando era molto forte l'idea della possibilità di un riduzionismo completo, cioè la riconduzione della spiegazione di tutti i fenomeni biologici alle leggi chimiche e fisiche, è sempre esistita una corrente di pensiero di opposizione, non solo per ragioni filosofiche, anzi, spesso, soprattutto per ragioni biologiche. Le teorie atomistico-logiche del neopositivismo non hanno incontrato grande fortuna in biologia. In particolare, non ha avuto successo la versione più rozza del riduzionismo, cioè il meccanicismo. Esponente di spicco di questa corrente fu il biologo tedesco Jacques Loeb, che lavorò negli Stati Uniti all'iniziò del secolo, esasperando nei suoi scritti la pretesa assoluta di ridurre la biologia alla biochimica e la biochimica alla fisica. Per Loeb era certo che si sarebbe arrivati a far nascere la vita artificialmente, agitando provette ricolme di composti e facendole semplicemente scaldare o raffreddare. Fortunatamente, la storia della biologia e la riflessione filosofica sui metodi della biologia, hanno portato in scena un pensiero riduzionistico più sofisticato ed articolato di quello di Loeb, un pensiero che ha saputo progressivamente bandire dal proprio orizzonte le influenze meccanicistiche. Sono esistite, dunque, diverse forme di riduzionismo e quelle meno estremistiche continuano a presentare forti motivi di interesse in quanto euristicamente feconde.

Il disincanto del riduzionismo
Il riduzionismo può vantare un successo non altrimenti attribuibile, la definitiva esclusione del sovrannaturale dal repertorio delle spiegazioni scientifiche ai fenomeni biologici. Essendosi sbarazzata di tutte le mitologie teistiche e deistiche, la ricerca biologica può guardare alla storia evolutiva senza lenti pregiudiziali. Ogni evento, ogni processo, anche il più complicato ed 'implicante', deve trovare una spiegazione nell'ambito del 'possibile'. Se, per definizione, il 'divino' è la capacità di "Qualcuno lassù di fare l'impossibile estraendolo dal nulla o dal caos", tra ricorso al 'divino' e scienza umana è davvero cresciuto un dissidio insanabile. Nella nostra cultura non c'è più spazio per l'impossibilità di tipo miracolistico. Agli occhi degli scienziati, ma anche a quelli di molti filosofi, si danno solo il più probabile ed il meno probabile, secondo principi statistici. Questo approccio ha precise radici nella scienza del Novecento, nell'evoluzione della fisica oltre che della biologia. Una causa patrocinata in particolare da Schrödinger.
Già questi ebbe a scrivere che la differenza, tra vita e non vita potrebbe stare in una diversificazione tra cristalli, il periodico e l'aperiodico. Il fisico è per sua inclinazione catturato dalla periodicità, dalla struttura simmetrica e ripetitiva delle forme universali. Il biologo no. Questi è più simile all'artista, o meglio, al critico d'arte. Più che dal ricamo uniforme, egli è attratto dall'unicità di una trama, un dipinto di Raffaello. In esso non vi sarebbero «semplici ripetizioni» bensì «un disegno elaborato, coerente, significativo, tracciato dal grande maestro.» (1) Per quella preferenza per la periodicità, i fisici non avrebbero dato, quantomeno fino ai tempi di Schrödinger, alcun vero contributo alla comprensione dei fenomeni vitali. Il che, forse, non è del tutto vero. Lo stesso Schrödinger potrebbe essere la smentita ma, se retrocediamo nel tempo storico, potremmo constatare che, senza riduzionismo, la biologia non avrebbe potuto compiere progressi veramente significativi. L'approccio di William Harvey alla circolazione del sangue, o quello di Lavoisier alla respirazione ed al metabolismo, furono decisivi per spostare in avanti le ricerche fisiologiche, sciogliendole dalle pastoie di un naturalismo vitalistico che continuava a rifiutare di dare spiegazioni "semplicistiche," fisiche e chimiche, ai fenomeni vitali in base a meccanicismi. Così, spesso, anche se non sempre, proprio il meccanicismo biologico finì col conseguire vittorie spettacolari sulle spiegazioni olistiche. Ma era vero meccanicismo? La domanda non è oziosa. Non confondiamo Descartes e Harvey, per quanto, tutto sommato, accostarli criticamente sarebbe un'operazione di storia della scienza altamente apprezzabile. Una delle cose in cui credo fermamente è che si tratta di distinguere tra riduzionismo e meccanicismo, e che poi esistono diverse forme di riduzionismo: quelli che sanno vedere l'insufficienza di una spiegazione biochimica e quelli che negano pregiudizialmente l'emergenza in biologia di fattori non riducibili. Eppure, fenomeni che richiedono analisi a livello superiore, a volte epigenetico, sono ormai dati di fatto. Dobbiamo questa svolta teorica a Schrödinger, alla felice intuizione della necessità non già di una riduzione della biologia alla fisica, ma di un cambiamento della fisica in grado di aprirla alla problematica biologica.

La termodinamica statistica
Il Novecento si potrebbe anche interpretare come il secolo della scientifizzazione della biologia. Ogni asserto biologico deve essere verificato, o persino, falsificato. Occorre superare quanto di metafisico è ancora teoreticamente influente nelle impostazioni degli scienziati della vita. Nella materia c'è molto di più di quanto si è sempre ritenuto. La materia è informazione. Bisogna imparare a leggere. Genetica mendeliana e biochimica prendono a convergere, fino a stringere in una morsa epistemica l'intera partita biologica. François Jacob ha scritto: «Tutto l'atteggiamento concettuale del secolo XIX risulta trasformato dal nuovo modo di guardare la realtà, imposto dalla meccanica statistica. Questa, infatti fa derivare le proprietà dei corpi fisici dalla struttura stessa della materia. Con Gibbs, l'analisi statistica si applica non soltanto al comportamento medio delle grandi popolazioni, ma ad "ogni sistema conservativo", qualunque sia il suo grado di libertà. Essa permette di accertare quale sia la distribuzione delle posizioni e dei momenti compatibile con l'energia di un determinato sistema, distribuzione che il sistema finisce per adottare quando esso duri abbastanza a lungo.» (2) La termodinamica statistica riesce ad associare due concetti ritenuti estranei fino ad allora e non pertinenti se non per opposizione dialettica: l'ordine ed il caso. «Il vecchio arsenale di forze e di impulsi, di cariche e di potenziali, che - prosegue Jacob - nonostante tutto, conservava un certo odor di mistero e di arbitrio, viene relegato in secondo piano; quei concetti esprimono soltanto aspetti diversi di un meccanismo più profondo, più universale, che emerge come la legge generale dell'universo: la tendenza naturale delle cose a passare dall'ordine al disordine per effetto di un caso calcolabile. Questa legge non intende offrire una spiegazione causale della realtà; non cerca il perché, ma il come degli eventi. Su questa base, la nozione stessa di causalità perde, in parte, il suo significato e non presenta più lo stesso interesse.» (3) In tal modo si 'decanta' l'atmosfera di mistero costruita dal romanticismo attorno all'interpretazione della natura. Se guardiamo alla tradizione biologica tedesca nella prima metà dell'Ottocento, vi scorgiamo tanta 'passione' ed altrettanta poesia, ma una domanda retorica potrebbe condurci a chiedere dove fosse finita la scienza illuministica. Sotto l'influenza di Goethe, di Schelling, di una certa sistematica filosofica, di un 'metodo unificante' volto a rintracciare modelli astratti, per non dire metafisici, il biologo sembrava portato più a contemplare 'un piano della natura', una natura divinizzata, quasi una dea madre, che a guardare le dinamiche reali, i volti devastati dal vaiolo, le forme raggrinzite dei morti di fame, il 'legno storto' non solo dell'umanità ma degli alberi reali. Per Goethe, seguace di Buffon, la natura del vivente si spiega con l'esistenza di un modello originario. Si tratta di scovarlo attraverso l'osservazione comparata. Fin qui, nulla di male, ovviamente. Ma oltre lo stesse intenzioni di Goethe, si fa strada il vitalismo, una filosofia più che una biologia. La catena dei vitalisti culmina con il suo ultimo celebre esponente, l'embriologo Hans Driesch, autore di un affascinante e malinconico canto del cigno. Infatti, a partire dagli anni Venti, i biologi rifiutano universalmente le dottrine vitalistiche, come spiega Ernst Mayr (4), per due ragioni essenziali. In primo luogo, perché esso ha abbandonato il terreno della scienza, cercando le spiegazioni sul terreno dell'inconoscibile. In secondo luogo, perché diviene possibile spiegare in termini fisico-chimici tutti quei fenomeni biologici che, secondo i vitalisti, richiedebbero una superspiegazione vitalistica. Per la verità, il vitalismo continuò ad essere difeso da filosofi come Bergson e da alcuni fisici.

Un'importante acquisizione fu la progressiva sostituzione del concetto di 'forza vitale' con quelli di 'energia' ed 'equivalenza'. Ma, come sottolinea ancora Jacob, l'energia si era sostituita alla 'forza vitale' solo parzialmente. «In un organismo complesso esistono miliardi di cellule, in una cellula milioni di molecole: per lungo tempo non si è saputa trovare alcuna spiegazione della loro specifica architettura, della disposizione delle cellule in un organismo, della collocazione degli atomi negli isomeri, queste sostanze di identica composizione chimica, ma dotate di proprietà differenti. Da un lato, infatti, la meccanica statistica permetteva di intendere il comportamento medio delle grandi popolazioni molecolari; dall'altro, l'analisi genetica mostrava come i caratteri degli esseri viventi non derivino da fenomeni statistici, non siano il risultato dell'agitazione casuale di un enorme numero di molecole, ma siano fondati, invece, sulla qualità di alcune sostanze racchiuse nei cromosomi. Contrariamente a ciò che accade nel mondo delle cose inanimate, l'ordine degli esseri viventi non può nascere dal disordine, ma si fonda sulla riproduzione di un ordine costituito.» (5) Non a caso, a questo punto Jacob cita Schrödinger. Quest'ultimo aveva già osservato che la materia vivente si alimenta di "entropia negativa". «E' proprio in questo suo evitare il rapido decadimento in uno stato inerte di "equlibrio" che un organismo appare così misterioso, tanto che, fin dagli inizi del pensiero umano, si sono invocate speciali forze non fisiche o soprannaturali (vis viva, entelechia), quali forze agenti nell'organismo, e in taluni ambienti ancora si sostiene la loro esistenza.» (6) Ma la spiegazione materialistica di Schrödinger risolve il mistero, non senza una punta di ironia, con il metabolismo. Il vivente è ciò che mangia, ciò che respira. Metabolismo significa "scambiare". «Scambio di che? Originariamente, l'idea contenuta nel termine era senza dubbio scambio di materiali (per esempio, il termine tedesco che significa metabolismo è Stoffwechsel, scambio di sostanze). Che lo scambio di materiale debba essere la cosa essenziale è assurdo. Ogni atomo di azoto, ossigeno, zolfo, ecc., è del tutto eguale a ogni altro atomo della stessa specie; che vantaggio ci sarebbe a scambiarli tra loro? Per un certo tempo, nel passato, la nostra curiosità fu soddisfatta dal sentirci dire che ci nutrivamo di energia. In alcuni paesi molto progrediti (non ricordo se si tratti della Germania o degli USA o di entrambi) potevamo trovare ristoranti nelle cui liste era indicato, in aggiunta al prezzo, il contenuto energetico di ogni piatto. Inutile dirlo, preso alla lettera, ciò è altrettanto assurdo. Per un organismo adulto, il contenuto energetico è stazionario, così come il contenuto materiale. Poiché, certamente ogni caloria è equivalente a ogni altra qualsiasi caloria, non si riesce a vedere a che serva un semplice scambio.
Qual è, allora - prosegue Schrödinger - quel prezioso elemento contenuto nel nostro cibo che ci preserva dalla morte? A questa domanda si risponde facilmente. Ogni processo, evento, fenomeno, chiamatelo come vi pare, in una parola tutto ciò che avviene in natura, significa un aumento dell'entropia di quella parte del mondo ove il fatto si verifica. Così un organismo vivente aumenta continuamente la sua entropia, o si può anche dire, produce entropia positiva e così tende ad avvicinarsi allo stato pericoloso di entropia massima, che è la morte. Esso può tenersi lontano da tale stato, cioè in vita, solo traendo dal suo ambiente continuamente entropia negativa, che è qualcosa di molto positivo, come vedremo immediatamente. Ciò di cui si nutre un organismo è l'entropia negativa. Meno paradossalmente si può dire che l'essenziale nel metabolismo è che l'organismo riesca liberarsi di tutta l'entropia che non può non produrre nel corso della vita.» (7)
Constatiamo, tuttavia, che l'entropia generale è aumentata. Probabile, che nemmeno il diavoletto di Maxwell possa ancora lavorare gratis acquisendo, a sua volta, informazioni gratuite. Come evidenziato da Szilard, l'informazione costa. Il diavoletto di Maxwell può continuare a vedere e distinguere le molecole solo se, ad esempio, un fascio di radiazioni ne segnala la presenza. Ha ragione Jacob nel dire che «ciò che tende verso l'equilibrio non è soltanto il gas, ma l'insieme "gas più diavoletto": prima o poi, quest'ultimo diventa cieco in mezzo ai gas. Egli può continuare a distinguere le particelle solo utilizzando qualche energia fornita al sistema dal di fuori, per esempio sotto forma di luce; per mezzo di essa, il diavoletto acquisisce l'informazione voluta sulle molecole, le seleziona e in tal modo diminuisce l'entropia del sistema.» (8) Lo aveva già evidenziato Schrödinger: l'organizzazione si mantiene estraendo l'ordine dall'ambiente. L'organismo si alimenta «attraendo su di sé, per così dire, un flusso di entropia negativa, per compensare l'aumento di entropia che esso produce vivendo, con il che riesce a mantenersi a un livello di entropia stazionario notevolmente basso.» (9) La conclusione è meno paradossale di quanto potrebbe sembrare. Anzi, per Schrödinger, è addirittura «banale». Il ciclo del metabolismo dice che gli animali superiori, ad esempio, restituiscono i composti organici di cui si sono alimentati, anche se in forma degradata. Ma non interamente degradata. Le piante possono ancora farne uso, infatti, e queste, tra l'altro, trovano la loro più importante sorgente di «entropia negativa» nella luce solare.

Il concetto di informazione
Il concetto di «informazione», sviluppatosi nel decennio 1940-50 spalanca la porta su locali mai esplorati e consente l'analisi dell'ordine biologico. «Ignorando i parametri relativi a ogni singolo individuo e riferendosi soltanto al comportamento medio di una popolazione, la termodinamica statitistica rinuncia a conoscere la struttura interna di un sistema, e si accontenta di coglierne, per così dire, i fenomeni di superficie. Ma sotto una stessa superficie possono celarsi forme di organizzazione del tutto diverse. L'informazione fornita dall'analisi statistica resta, dunque, incompleta, tanto più che il numero di strutture interne che possono tradursi in un medesimo comportamento medio è piuttosto alto.» (10) Così Jacob, denuncia anche il limite di un approccio. Eppure, entropia e informazione sono quasi indissolubilmente legate in un matrimonio «cattolico». Sono il diritto e il rovescio di una medaglia. «L'entropia misura, al tempo stesso, il grado di disordine di un sistema e il grado della nostra ignoranza sulle sue strutture interne; l'informazione è la misura dell'ordine di un sistema e della nostra conoscenza di esso. Entrambe si calcolano alla stessa maniera; l'una è il valore negativo dell'altra.» (11) Si può così parlare di 'isomorfismo' di entropia e informazione. E' un concetto-guida che porterà lontano. Un sistema vivente è parte di una biosfera. In essa non avvengono solo scambi di materia ed energia ma anche di informazione. Ed è intorno a questa che si «articolano i diversi tipi di ordine». Dovremmo riconoscere a Schrödinger il merito di aver introdotto in biologia il concetto di informazione. Su tale concetto hanno lavorato generazioni di biologi molecolari e biochimici.
Recentemente, tuttavia, Stuart Kaufmann ha rimproverato Schrödinger di aver mancato il bersaglio. E' un rimprovero non suffragato da nient'altro che ipotesi, molte delle quali 'campate per aria' - lo riconosce egli stesso - ma non si può negare a Kaufmann il sigillo di una profondità di pensiero senza precedenti nella storia della biologia. Secondo Kaufmann, bisogna puntare al bersaglio mancato da Schrödinger, ma dobbiamo aver coscienza che il bersaglio stesso è, per ora, solo un enigma. L'ordine, comincia Kaufmann, può essere raggiunto anche senza selezione naturale. Lo testimonia l'esame di un fiocco di neve. E un neonato non è il riflesso della sola selezione. «Piuttosto, io credo, buona parte di tale ordine è autoorganizzato e spontaneo. L'autoorganizzazione si mescola con la selezione naturale secondo modalità poco chiare e produce la nostra pullulante biosfera in tutto il suo splendore. La teoria dell'evoluzione deve perciò essere ampliata.» (12). Ma Kaufmann non predica un semplice ampliamento; affermando che «il cuore della vita stessa è rimasto come nascosto dietro un velo», egli viene a postulare, di fatto, un rinnovamento radicale della ricerca in biologia. «Noi conosciamo frammenti della meccanica molecolare, dei percorsi metabolici, degli strumenti di biosintesi delle membrane. Insomma, conosciamo molte parti e molti processi. Eppure non ci è ancora chiaro che cosa fa di una cellula qualcosa di vivente: il bersaglio è ancora avvolto nell'ombra.»
Kaufmann aveva esordito con un'ipotesi per molti versi simile a quella di Eigen. La trasformazione dell'inorganico in organico sarebbe stata caratterizzata dall'emergenza spontanea di "materiali organici". Alcuni composti chimici avrebbero potuto svolgere un'attività catalizzatrice, originando una reazione a catena non casuale, ma causale, nonché coerente e tale da configurare una rete autocoesiva. Rispetto a tale ispirazione originaria, Kaufmann pare però aver realizzato una svolta. L'origine della vita e della biosfera non sono più affidate meramente alla realizzazione di leggi della complessità, atemporali, astratte e necessitanti. Non a caso, Telmo Pievani intitola la sua postfazione con La scienza della complessità incontra la storia. (13) La storia, si sa, è lo zoccolo duro di qualsiasi biologia evolutiva e, dopo Darwin, è pressoché impossibile prescindere dalla selezione naturale come interpretazione esaustiva della storia biologica. Si può forse trovare discutibile solo quanto essa incida percentualmente sulle mutazioni stabili, che producono una speciazione di successo. E con Gould e Eldredge, si possono anche riconoscere periodi di stasi evolutiva. Ma una volta negata la generazione spontanea, cioè la possibilità che la vita nasca spontaneamente e non necessariamente per riproduzione, non si può non ammettere che essa derivi da una sola grande ondata generativa originaria. La storia della vita è dunque fondamentale per comprendere la vita stessa.
Tra le parole testuali di Kaufmann che ho ritenuto opportuno citare e la dimensione storica della ricerca non dovrebbe esistere, in teoria, una contraddizione insanabile. Ma è evidente che in Kaufmann persiste una prevalenza teorica del modello della complessità sulla storia. Eppure, una volta stanata dalla dimensione atemporale, la scienza della complessità potrebbe risultare di grande utilità a comprendere meglio sia ciò che è riducibile, sia ciò che non lo è. In fondo, il non riducibile, non può essersi originato dal nulla, non può essere un miracolo avvenuto senza Dio. Bisogna che l'evento sia stato reso possibile da qualche particolare condizione globale in una specie di pre-biosfera.



(1) E. Schrödinger [1944] - Che cos'è la vita - Sansoni 1988, e anche ora, Adelphi 1995
(2) F. Jacob [1970] - La logica del vivente - Einaudi 1971
(3) ivi,
(4) E. Mayr [1982] - Storia del pensiero biologico - Bollati Boringhieri - 1990
(5) Jacob, cit.
(6) Schrödinger, cit.
(7) ivi,
(8) Jacob, cit.
(9) Schrödinger, cit.
(10) Jacob, cit.
(11) Jacob, cit.
(12) S. Kaufmann [2000] - Esplorazioni evolutive - Einaudi 2005
(13) T. Pievani - La scienza della complessità incontra la storia - in Kaufmann, cit.
SP - aprile 2010
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