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Le troppe enfasi di Antonio Banfi marxista
di Daniele Lo Giudice
Per Banfi, la moralità sta nel lavoro, cioè nella prassi., nella coscienza tecnica e scientifica, nella responsabilità, nella collaborazione, «godimento fresco e pieno cui tale frutto dà origine.» Che è come dire che l'azione è morale, mentre l'inazione o la pigrizia spirituale non lo sono.
La borghesia ha avuto grandi meriti, lo riconobbe lo stesso Marx. Essa ha cambiato il mondo «con lo smantellamento degli ultimi privilegi feudali e degli Stati dinastici che li proteggono...» Tuttavia, la borghesia non riesce ad andare oltre se stessa e per questo produce la sua stessa crisi. Vuole vedere realizzate "le magnifiche sorti progressive" ma non vede che ciò è possibile solo al prezzo di una negazione: le sorti progressive sono riservate ai borghesi stessi. La scissione è inevitabile, così com'è inevitabile la crisi dell'intellettuale borghese. «E poiché - scrive Banfi - la crisi appare totale radicale e coinvolge la struttura stessa della società, essa rimanda, al di sotto delle strutture politiche e culturali, al piano fondamentale della storia, a quello in cui il costruirsi stesso della società umana nel mondo della natura trova le sue condizioni essenziali. Esso è il piano del lavoro, del processo produttivo, e delle forze che vi si applicano. Il progresso dei mezzi di produzione e il contrasto che esso produce nel riguardo delle forze produttive e quindi della struttura sociale ch'esse determinano, rappresentano il ritmo profondo della storia, su cui si innestano i movimenti riflessi e parziali e le reazioni specifiche delle soprastrutture di cui si costituisce la complessa realtà umana. Così è scoperto un principio di continuità nella storia ed esso è definito sotto la forma di una legge dialettica che determina la vita della società nei suoi più elementari rapporti.» (1)
Banfi vede che il lavoro si tecnicizza e si raccoglie presso la "grande" industria, il capitale si concentra, la proletarizzazione si estende. «E più il processo continua e s'estende, più si manifesta assurda, paradossale, tragica la contraddizione tra il perfezionamento della tecnica, della padronanza che il lavoro dell'uomo ha sulla natura, tra la potenzialità produttiva e la possibilità di benessere della società umana e il suo effettivo stato di schiavitù, d'ingiustizia, di miseria. E' come se un sistema antico, disadatto, di dighe vietasse alla nuova corrente di civiltà di fluire feconda e originasse corrosioni e risucchi destinati a produrre rovina e distruzione.» (2)
Il revisionismo è smentito, e Marx aveva ragione. «L'accentramento del capitale ha prodotto il dominio del capitale finanziario, il trionfo dei metodi monopolostici, e l'imperialismo economico s'è sviluppato in un imperialismo politico. Da ciò un rapido processo, l'asservimento più stretto e lo sfruttamento più organizzato e differenziato delle masse lavoratrici, lo slittamento dei ceti medi, strumento e vittime insieme della politica capitalistica, verso una sempre più fatale perdita di ricchezza, di libertà, di funzione politica, il dominio incontrastato della speculazione, il succedersi sempre più grave delle crisi economiche, la difesa armata dei suoi privilegi con tutti i mezzi, sia della dittatura che della democrazia formale, da parte del capitale, e finalmente le guerre atroci e scientificamente organizzate.» (3)

La classe operaia, secondo Banfi, aspira a cambiare la società non perché porti in sé «un principio di universalità ideale», ma perché essa è un collettivo, non «una collettività dispersa e accidentale». Ciò la spinge alla lotta contro le forze che la sfruttano. «La sua universalità è dialetticamente inserita nella sua particolarità, in quanto essa giunge a coscienza di sé e si sviluppa in un radicale conflitto, ove essa diviene guida ed avanguardia di altri ceti oppressi e sfruttati. E' la sua lotta stessa che crea un tutto nuovo e generale orientamento della società. E il suo essere storico, il suo sapersi nella storia e combattere in essa, è la condizione per cui la storia cessi di essere un cieco destino, e divenga un operare cosciente degli uomini, di tutti gli uomini.» (4)
Solo il proletariato si assume veramente la responsabilità della sua funzione storica. La borghesia, secndo Banfi, proprio in quanto vorrebbe negare il concetto di lotta di classe, e persino il concetto stesso di classe, quindi la concezione dialettica della storia, pretende di attribuire una astratta universalità al proprio regime economico e sociale. Ma di fatto essa conduce una lotta di classe spietata e aggrava tutti i contrasti. Non avendo essa stessa più nulla da dire, se non ribadire i più triti ideali dell'Ottocento, essa prende a prestito il moralismo e i valori ideali dei ceti medi, che tuttavia aggancia e incatena. «La cultura borghese è oggi infatti una cultura d'evasione superistorica - dallo spiritualismo cattolico all'idealismo, dal neopositivismo al neoromanticismo esistenzialista, dall'astrattismo formale artistico all'intimismo esasperato. Questa evasività culturale del medio ceto, che l'illude di una sua universalità ideale, di una sua superiorità spirituale ed umana - la tragedia eroicomica di tanti intellettuali - non è che l'espressione della sua estraneità alla storia, della sua incapacità d'inserirsi come parte autonoma nel conflitto. L'appello ai valori ideali, la religione della libertà, la fede nella cultura senza impegno non sono che i gesti vani e melanconici di questa impotenza in un'ora in cui la leva di tutte le forze s'imporrebbe. E il peggio si è che questi gesti servono ottimamente a nascondere e giustificare l'opera dell'imperialismo più gretto e feroce.» (5)

La validità del marxismo trova quindi la sua radice nella situazione di fatto. Il proletariato è la sola forza capace, attraverso un processo sociale radicale e profondo, di convogliare le energie umane sulla via di una nuova società europea. Non manca, su questi punti, si perdoni l'ingenuità dell'osservazione, un'enfasi non meno "eroicomica" di quella denuciata dallo stesso Banfi rispetto agli intellettuali borghesi e piccolo-borghesi: «La costituzione federale delle repubbliche sovietiche, il nuovo senso nazionale e l'organizzazione degli Stati di nuova democrazia progressiva, la trasformazione dei popoli coloniali ne sono gli esempi e le tappe.» (6)
Banfi, è consapevole, dei limiti del marxismo e della lentezza e contradditorietà dei processi storici, ma sforna un ottimismo della ragione e della storia, a differenza di Gramsci, che appare a posteriori fuori luogo e fuori tempo.
Se è vero, come afferma Banfi, che il marxismo «non pretende di essere - come pretende l'ideologia di ogni élite, sia aristocratica che borghese, sia religiosa che culturale - una verità fuori della contingenza umana, in un piano mitico di assolutezza che è privilegio di quell'élite», sembra però che lo stesso Banfi consideri il marxismo semplicemente come confermato da fatti che non sono ancora fatti, ma solo pallide e insufficienti tendenze o possibilità. Non è un caso che proprio mentre Banfi esalta le conquiste del comunismo, i francofortesi, e in particolare Max Horkheimer, ne denuncino il carattere totalitario attraverso un esame del "comunismo reale" staliniano. (7) Dove Banfi vede successi, i francofortesi scorgono naufragi.
E' anche vero, tuttavia, che Banfi coglie un aspetto del marxismo non sempre evidente ai suoi critici. «L'esperienza veramente tragica della problematicità umana nel corso della storia guida la coscienza al di sotto delle strutture e dei valori che, proprio per il loro carattere di discontinuità, possono apparire come superistorici, al piano di continuità della storia stessa e alla legge dialettica del suo processo, dove la protesta ribelle trova la formula di trasmutazione in una concreta universale attività realizzatrice. Il materialismo storico e la teoria della lotta di classe in cui si universalizza la coscienza rivoluzionaria, sono così i principi di uno storicismo radicale in cui non si nega, ma si invera la concreta determinatezza storica della coscienza stessa. Tanto lo spiritualismo che ammette valori e istituti superistorici come criteri immobili della storia, quanto il positivismo che si riferisce ad astratte finalità della storia, corrispondenti a pretesi principi universali della natura umana, quanto l'idealismo che nella sua divinizzazione della storia è costretto ad introdurvi principi ideali di stabilità - che sono di fatto i piloni del conservatorismo contro il corso storico degli eventi - non possono dar luogo che a uno storicismo astratto e parziale. Queste concezioni oscillano effettivamente tra due opposte polarità. Da un lato, il polo di uno storicismo relativista, in cui la realtà storica si dissolve in un'estrema polverizzazione d'istantaneità, ove né il giudizio né l'azione possono aver presa, ma l'uno o l'altro sono continuamente travolti, senza poter trovare un criterio di continuità comprensiva. Dall'altro, il polo di un moralismo astratto, che annebbia, semplifica, deforma i fatti, mentre non definisce che un indirizzo generico d'azione, al di fuori e contro il processo storico.» (8)

La conclusione cui giunge Banfi è che il marxismo è il compimento della coscienza dell'uomo copernicano, quale la concepì Galileo, in eredità di tutto il movimento di umanismo libero e attivo che si svolge dal XIII secolo.

Chiariti quelli che sono stati, a grandi linee, i caratteri del marxismo banfiano, possiamo ora riprendere il discorso attorno alle interpretazioni.
Abbiamo detto che tra gli studi più recenti su Banfi, ci ha particolarmente convinto l'approccio di G. D. Neri. (9) Secondo questi, per rendersi pienamente conto dei travagliati passaggi banfiani, occorre guardare al rapporto tra filosofia e coscienza pragmatica che caratterizza gli scritti degli anni '20. Banfi, all'epoca considera il pensiero filosofico e scientifico sotto l'aspetto esclusivamente conoscitivo, non sotto quello valutativo e propositivo. La coscienza storica del momento, e dei momenti passati, è considerata invece, sotto l'aspetto pragmatico e valutativo. Un tipico esempio di coscienza storica è il materialismo storico, capace sia di spiegare il passato, riducendolo al piano socio-economico, sia di proporsi come soluzione per i problemi del presente. L'opera che bisogna leggere, per Neri, rimane Principi di una teoria della ragione; qui l'"assoluto trascendente" è presentato come negazione di qualsiasi determinazione finita. Banfi, quindi, opera un mutamento di prospettiva quando avverte che le contraddizioni della storia possono trovare una soluzione. E ciò avviene all'inizio degli anni '30. Negli scritti del periodo, in particolare in un manoscritto postumo del 1934-35, Banfi passa da un ideale distacco critico verso l'esistente ad un atteggiamento realistico, ottimistico. A ciò concorrono gli eventi storici (ma attenzione, mi verrebbe da chiedere da cosa può venire l'ottimismo di fronte ai successi del nazismo?) sia, secondo Neri, l'influenza di Nietzsche e la sua devastante critica della cultura. All'epoca, tuttavia, Banfi è ancora frenato da una problematica neokantiana che gli vieta di assolutizzare un aspetto determinato del processo storico quale la lotta di classe tra proletariato e borghesia. Quest'ultima resistenza si dissolve dopo la seconda guerra mondiale. Solo in quel momento il momento filosofico del pensiero e il pensiero della storia diventano conciliabili. Allora, filosofia e marxismo possono unirsi, anche se la filosofia non abbandona e non può abbandonare il puro terreno della teoresi per annullarsi nella coscienza storica. E' quindi a questo punto che il materialismo storico, una dottrina di origine pragmatica, si eleva al livello dell'universalità umana.
Livio Sichirollo, dal canto suo, ha evidenziato che non ha alcun fondamento porre il rapporto tra razionalismo critico e marxismo in termini di continuità. Non si tratta di un passaggio, infatti, ma di una concezione critica del materialismo storico che matura grazie all'approccio razionale. Anche nel marxismo, il razionalismo può proseguire e non annullarsi, essendo il marxismo molto più di una filosofia. L'adesione al marxismo, secondo Sichirollo, non è filosoficamente deducibile. E' una scelta, una decisione presa nella situazione. Tale scelta può essere solo riconosciuta. Si può solo trovare una connessione di tipo dialettico. Sia il marxismo che il razionalismo condividono la critica alle ideologie e non è quindi paradossale che il razionalismo possa vivere all'interno del marxismo.


(1) A. Banfi - L'uomo copernicano - Il Saggiatore 1950
(2) ivi,
(3) ivi,
(4) ivi,
(5) ivi,
(6) ivi,
(7) scriveva Max Horkheimer: «La specie più coerente di Stato autoritario, che si è liberato da ogni dipendenza dal capitale privato, è lo statalismo integrale o socialismo di Stato.» in La società di transizione, Torino 1979
(8) A. Banfi - L'uomo copernicano - Il Saggiatore 1950
(9) G. D. Neri - - Crisi e costruzione della storia. Sviluppi del pensiero di Antonio Banfi - Verona 1984
(10) di L. Sichirollo si vedano: Antonio Banfi, intellettuali e società. Profilo dell'uomo contemporaneo in "Problemi della transizione" n° 10, 1982 e Attualità di Banfi - Urbino 1982