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Theodor Wiesengrund Adorno
La musica nuova e la critica alla pop music

Nel saggio L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (1930) Walter Benjamin aveva sostenuto che, essendo entrati con diverse diavolerie, in particolare la cinepresa, nell'epoca della "riproducibilità tecnica", l'opera d'arte aveva perso l'aura, quel quid sacrale che un tempo la caratterizzava. Non più unica, irripetibile, frutto del genio individuale e dell'ineguagliabile bravura del creatore o dell'interprete, l'arte avrebbe potuto mutarsi in esperienza comunitaria e di massa. Ma Benjamin pensava soprattutto al cinema ed alla fotografia, non alla musica, e non solo in termini di fruizione. La nuova tecnica era vista in termini di possibilità del passaggio da un'arte auratica ad un'arte democratica, di potere all'uomo e non di potere sull'uomo.
Il pensiero che Adorno viene maturando sulla musica, e poi sull'arte in generale, rispetto al parente ed amico Benjamin, è di tutt'altro tenore. Intanto perché egli era un musicista ed un critico musicale, capitato tra le braccia della filosofia dopo aver misurato empiricamente l'impossibilità di fare musica e critica musicale professionalmente. Giova ricordare che fu allievo ed ammiratore di Alban Berg e che conobbe e coltivò una lunga amicizia con Schönberg, ovvero l'avanguardia musicale più spinta e radicale. In seguito scrisse anche in collaborazione con Hans Eisler, il secondo musicista del teatro brechtiano, il quale era invece molto attratto dalle idee di Benjamin, e le applicò alla musica.
Quando Adorno fu costretto ad emigrare in America per l'avvento del nazismo, campò grazie ad incarichi di ricerca presso università spesso procurati da Max Horkheimer. E si trovò alle prese con le pratiche della sociologia "positiva" dei questionari e dei sondaggi, un metodo che dovette urtarlo non poco e che contribuì a peggiorare il giudizio sulla musica trasmessa alla radio, ed in generale la qualità musicale apprezzata dagli americani.
Le sue idee sono facilmente riassumibili con le sue stesse parole: «La musica leggera e tutta la musica destinata al consumo [...] sembra che sia direttamente complementare all'ammutolirsi dell'uomo, all'estinguersi del linguaggio inteso come espressione, all'incapacità di comunicazione. Essa alberga nelle brecce del silenzio che si aprono tra gli uomini deformati dall'ansia, dalla routine e dalla cieca obbedienza [...] Questa musica viene percepita solo come uno sfondo sonoro: se nessuno più è in grado di parlare realmente, nessuno è nemmeno più in grado di ascoltare [...] la potenza del banale si è estesa sulla società nel suo insieme.» (1)

Standardizzazione dei prodotti, ricezioni distratte, funzioni musicali asservite al profitto: Adorno sostiene che questi diversi aspetti sono indivisibili e che occorre mantenere una visione globale di ciò che è "musica". Pur osservando che queste opinioni risalgono agli anni '30 e '40, un periodo nel quale la canzonetta era davvero standardizzata e banale, il vero jazz coperto da una produzione di serie edulcorata, non si sfugge all'impressione che Adorno abbia condannato tutta la pop-music senza distinzioni, compresa quella impegnata, quella che è espressione di una genuina vitalità espressiva etnica e popolare.
Questa condanna trova una spiegazione in una concezione della musica, prima ancora che dell'arte tutta, la quale «non è quella di garantire o rispecchiare la pace e l'ordine, ma costringere ad apparire ciò che è posto al bando sotto la superficie, e quindi resistere all'oppressione della superficie, della facciata. » (2)
Lungi dal voler piegare l'artista ad un'istanza politico-culturale, Adorno avrebbe voluto sottrarre il produttore di eventi musicali ad una sorta di condizionamento , al quale non è estraneo un atteggiamento narcisistico, di autocompiacimento nella realizzazione di bei suoni come espressione di un bel carattere e di una bella sensibilità. E' interessante notare che Marcuse, in Eros e civiltà, leggerà Narciso in modo del tutto diverso e positivo, collegandolo musicalmente al mito di Orfeo. Ma, tornando ad Adorno, bisogna notare che il musicista è per lui naturalmente d'avanguardia se porta alla luce il non detto, se psicoanalizza le ragioni del dolore. La musica, in ciò, è simile al linguaggio, perché scava nel sottosuolo, ma non è linguaggio: «... la musica tende al fine di un linguaggio privo di intenzione... La musica priva di ogni ogni pensare, il mero contesto fenomenico di suoni, sarebbe l'equivalente acustico del caleidoscopio. E al contrario essa, come pensare assoluto, cesserebbe di esser musica e si convertirebbe al linguaggio. » (3)

Enrico Fubini in (4) così interpreta il pensiero di Adorno: «... [nella società moderna] anche la musica rischia di diventare merce, di essere dissacrata... Adorno, nella sua nostalgia di un passato irrecuperabile, di un ideale di uomo integrale nella società in cui la musica assolveva ad una funzione espressiva ed equilibratrice e non si era ancora trasformata in un prodotto per la massa, immagine dell'alienazione umana e della pietrificazione dei rapporti, concepisce solo due strade possibili per la musica, che vede simbolicamente impersonate in Schönberg e in Strawinsky, i due poli diametricamente opposti nel mondo musicale contemporaneo. La musica di Strawinsky rappresenta l'occultazione del fatto compiuto, della situazione presente, rappresenta la pietrificazione dei rapporti umani, "il sacrificio antiumanistico del soggetto alla collettività, sacrificio senza tragicità, immolato non all'immagine nascente dell'uomo, ma alla cieca convalida di una condizione che la vittima stessa riconosce, sia con l'autodeterminazzione che con l'autoestinzione."» [la citazione di Adorno scelta da Fubini è tratta da (5)].
In Stravinsky si ha un artificioso recupero del passato "classico", che però è posto fuori della storia, e perciò è esemplare di una inautenticità, pur geniale.
Schönberg, al contrario rappresenta la rivolta esperita in totale solitudine. Attraverso la dodecafonia, ovvero un insieme di limitazioni artificiose all'uso delle note, Schönberg si è negato la libertà che nel mondo non esiste più. Così facendo, ha salvato la sua musica e la sua soggettività dalla volgarità.

La dodecafonia, che Adorno chiama la tecnica integrale della composizione, «non è sorta né in vista dello stato integrale, e neppure con l'idea di dominarlo; ma è un tentativo di tener testa alla realtà e di assorbire quell'angoscia panica a cui corrisponde appunto lo stato integrale. L'umanità dell'arte deve sopravanzare quella del mondo per amore dell'uomo.» (5).

Per spiegare questa posizione, Adorno ricorre ad un paragone ardito: la musica nuova è come il Messia che ha preso su di sé le colpe del mondo: «Gli chocs dell'incomprensibile, che la tecnica artistica distribuisce nell'era della propria insensatezza, si rovesciano, danno un senso ad un mondo privo di senso: e a tutto questo si sacrifica la musica nuova. Essa ha preso su di sé tutte le tenebre e la colpa del mondo: tutta la sua felicità sta nel riconoscere l'infelicità, tutta la sua bellezza sta nel sottrarsi all'apparenza del bello. Nessuno vuole avere a che fare con lei, né i sistemi individuali né quelli collettivi; essa risuona inascoltata, senza echi. Quando la musica è ascoltata,il tempo le si rapprende intorno in un lucente cristallo. Ma non udita la musica precipita simile a una sfera esiziale nel tempo vuoto. A questa esperienza tende spontaneamente la musica nuova, esperienza che la musica meccanica compie ad ogni istante, l'assoluto venir-dimenticato. Essa è veramente il manoscritto in una bottiglia.» (Adorno - Filosofia della musica moderna - Einaudi 1959).
note:
(1) Adorno - Introduzione alla sociologia della musica - Einaudi 1971
(2) Adorno - Dissonanze - Feltrinelli 1959
(3) Adorno - Musica e linguaggio - tr it. in Filosofia e simbolismo a cura di E. Castelli
(4) E. Fubini - L'estetica musicale dal Settecento ad oggi - Einaudi 1964
(5) Adorno - Filosofia della musica moderna - Einaudi 1959