Cronaca

DICEMBRE 2003
Per le festività natalizie, la Polisportiva ha deciso di rendere più accogliente il paese. In particolare, sono stati applicati ai portoni di ben 70 montanini residenti dentro le mura, festoni natalizi "fatti in casa", abbellito via Landucci con cipressi anch'essi decorati in casa (successivamente verrano piantati nel viale della Rimembranza) e "pienato" Piazza Cinughi con un albero gigantesco adornato con oggettini di terracotta fatti dai bambini dell'asilo. Risultato ottimo, eccetto l'albero che era troppo grande per i pochi festoni che avevamo comprato! Venerdì 19 ci lascia, all'età di 92 anni, Clementina Mangiavacchi.
Domenica 21 c'è stata la presentazione del calendario fatto dalle ragazze ( e gli allenatori!) della Montanina calcio a 5: al Palazzo Pretorio è stato offerto un buffet(preparato dalle ragazze stesse) a tutti presenti dopodiché è stato proiettato un filmato del calendario e dopo un breve discorso sono iniziate le vendite (ovviamente il calendario è a pagamento) con gli autografi delle atlete!. Un calendario leggermente osè... anzi per niente(felici i fidanzati un pò meno gli altri!), fatto veramente bene e particolarmente simpatico. L'introito servirà per pagare l'affitto del Palazzetto di Torrita per gli allenamenti delle ragazze.
A Santo Stefano, il 26, presso il Palazzo Pretorio si è svolta la tradizionale Tombola organizzata dalla Polisportiva: tanta gente si è accalcata nella sala del "Comune" a tal punto che molti non hanno trovato posto! Una gran soddisfazione!

GENNAIO 2004
Il 6 gennaio muore, all'età di 92 anni, Ostilio Della Giovampaola.
Sabato 17 la Polisportiva ha aderito alla raccolta umanitaria pro Bosnia, organizzata dal Comune di Torrita di Siena: risultato negativo eccetto noi, ovviamente, un'anonima signora e in particolare Adelina Romani e figlie che hanno devoluto un notevole quantitativo di materiale da cancelleria.
Presso il Palazzo Pretorio, giovedì 8, si è tenuto un incontro tra le Associazioni del territorio e gli Amministratori Comunali, per discutere il progetto che quest'ultimi intendono presentare alla Regione per attingere fondi al fine di completare la ristrutturazione del Teatro "B. Vitolo" e acquistare l'attrezzatura.
Il 23, all'età di 93 anni, ci lascia Minetti Serafina vedova Rubegni.
25 e 28 abbondanti nevicate hanno coperto Montefollonico e la Valdichiana tutta. Non pochi i disagi per la viabilità; è stato sospeso anche il campionato amatoriale di calcio. Al Triano è stato organizzato un percorso, dalla porta fino alla chiesa, per teli di nylon, slittini e camere d'aria....non tutto il male viene per nuocere!

FEBBRAIO 2004
Riparte la Compagnia Teatrale di Montefollonico. Infatti in questo mese, il gruppo di ...persone, si stà riorganizzando per mettere in scena una commedia entro l'anno, ovviamente al Teatro degli Oscuri di Torrita. Buon lavoro!

MARZO 2004
I primi del mese, è partita la delegazione umanitaria Torritese, con la merce raccolta, anche dalla Polisportiva, per le popolazioni Bosniache.
Dopo un mese di corso (19 gennaio - 18 febbraio 2004), martedì 9 si sono svolti gli esami del corso di "Livello base per soccorritore" organizzato dalla Pubblica Assistenza di Torrita con la collaborazione della Montanina. I 20 partecipanti hanno tutti superato l'esame, tranne uno il noto F.C. di 27 anni di Montefollonico e consigliere della Montanina, che per problemi di lavoro(e altro....!) non ha potuto frequentare le ultime settimane di corso, e con grande coerenza, non si è presentato. Gli istruttori, tutti Torritesi e quasi tutti volontari, sono stati: Rosita Braconi, Elisa Felici, Giancarla Cortonesi Infermiera Professionale, Andrea Saletti e Andrea Laurini Dipendenti della Pubblica Assistenza. I 19 esaminati, ora, potranno compiere servizi ordinari, e quindi non in emergenza, negli ambiti del volontariato dei servizi sociali. Complimenti!
Martedì 16 segna il passaggio dall'inverno alla primavera: con i suoi 16, la giornata ha visto molti Montanini rispolverare le magliette a maniche corte...me compreso ovviamente!

ANTEPRIME
Il 25 marzo Assemblea dei Soci della Montanina.
Domenica 28 marzo, gita a Roma per la Stracittadina, gara podistica di 5 km lungo le vie della capitale.
Il 4 o il 5 aprile, inaugurazione del Punto di Informazione Turistico, voluto, fatto e organizzato dall'Associazione Polisportiva Montanina.
Nel fine settimana di Pasqua, anche al campo sportivo di Montefollonico, si terrà il Torneo "Terre di Siena" con quattro partite giornaliere, di squadre giovanili provenienti da tutta Italia.
Dal 19 maggio al 23 giugno, si terrà al Campo Polivalente, il "4° Torneo UISP di Calcetto di Montefollonico", organizzato dalla Montanina.
A giugno per la prima volta verrà organizzata "la giornata della Montanina"...una partita di calcio congli amatori della Polisportiva, le calciatrici del Calcetto, i collaboratori di Aria del Monte 2000(forse il Direttore Butazzi verrà schierato tra i pali!) e tutti coloro che ci hanno aiutato nel corso di questi anni. A fine gara merenda offerta dalla Polisportiva.

Leonardo Trombetti

Strani nomi

Sperando di non annoiare vorrei sbizzarrirmi sui nomi di persona delle vecchie generazioni. Ricordo che quando si era ragazzi a sentire certi nomi ci si rideva; poi, con gli anni, scopri che qualcuno dei più strani ha invece un significato preciso: di ricordo, di storia, magari di fantasia. Ai primi si può anche tentare di dare una spiegazione, cercando sui libri o chiedendo ai più vecchi, a quelli di fantasia c'è proprio da arrendersi. Quasi sempre in una coppia di sposi c'era il marito o la moglie con un nome "strano" o quantomeno, per la cultura del tempo, inspiegabile. Molte di queste persone le ho conosciute anch'io (non proprio perché sono decrepita, ma perché, per fortuna, loro campavano parecchio!) e qualcuna è ancora vivente. Voglio incominciare con un po' di esempi e cercare di dare qualche significato: Bulghero e Nanna (o Anna?) - Bibiana e Omero (poeta greco) - Bonaldo (forse deriva da Bonaldi, ammiraglio precettore di Umberto di Savoia) e Bruna - Zelmira e Francesco - Aderiate e Guido - Solisca e Aldo - Solamite e Luigi - Telene e Alberto - Turno (re rivale di Enea protagonista dell'Eneide) e Milizia (esercito armato) - Gisberto e Erina - Gianni e Argia (mitologia) - Spartaco (gladiatore, eroe che combattè con gli schiavi romani insorti) e Lina - Ercole (Dio greco figlio di Giove) e Orlandina,, detta Dina ancora vivente - Pilade (re di Micene) e Giuseppina poi Carolina (in seconde nozze) - Adelmo e Armida ( eroina della Gerusalemme Liberata del Tasso) - Toselli (maggiore di fanteria si coprì di gloria nella guerra contro l'Etiopia del 1895) e Lorena (regione della Francia) - Loreno (forse perché era fratello di Lorena?) e Giustizia (qualche torto ricevuto o motivo politico?) - Adelasia e Nello - Zuara (città nelle vicinanze di Tripoli) e Raffaello (grande pittore del '500) - Lismo e Caterina (detta Vaniglia) - Umbria e Enrico ( di Lismo e Umbria ne abbiamo già parlato) - Olema e Silvio (forse deriva da Ulema che era una società fondata nel 1830 ad Algeri a scopo religioso poi politico) - Giosuè (capo degli Ebrei dopo Mosè) e Nunziata (forse Annunziata) - Isola e Giacinto (forse più spiegabili) - Giselda e Settimio - Lisena e Romualdo - Concetta e Ostilio - e poi ci sono, ancora viventi, per fortuna Cordevole (piccolo fiume che sfocia nel Piave) e Danusia - Solferino (città vicino a Mantova teatro di guerra tra francesi e austriaci) e Giuseppina - Veliero (qualcuno di famiglia andava per mare?) e Nerina - Uliana (Uliano è un'isola di fronte a Zara) e Ivo - Telemaco con Gelsì - Marcella e Rizieri - Lancero e Leda - Germano e Ernestina, dai quale nacque Venaria, forse in ricordo dell'omonima cittadina vicino a Torino, dove sorge un importante castello sabaudo. A proposito di figli, fratelli e sorelle ecco che Toselli aveva quattro fratelli: Zeffira e Romualdo, poi marito di Lisena, Gagliano e Alimene. Gagliano penso che abbia origine dal cognome del maggiore Giuseppe Galliano, un altro ufficiale che combattè con valore, ma senza fortuna, nella medesima guerra in cui venne ucciso Pietro Toselli. In ogni caso un bel quartetto! Bulghero aveva tre figlioli: Misda, Venanzio, Urbino (famosa cittadina): anche questo un bel terzetto! Marietta e Gino ebbero due femmine: Parisa e Marisa; Telene e Alberto tre figli una delle quali, ancora bene in gamba, si chiama Alberica (Alberico era un condottiero del 14° secolo); Pilade e Giuseppina ebbero Derna (città della Libia); Solferino aveva tre fratelli: Lida, Attilio, Laurentino. Rizieri ebbe due sorelle, Vangelina e Valterina, mammma di Patrizia del "Tredici Gobbi". La famiglia Papini ha vantato un'Alchinta, prozia di Mario (più noto ai suoi coetanei con il nome di un pesce. N.d.R.) Poi c'erano Galdina, Bramante, Rodrigo, un altro bel trio di fratelli che stavano alla Bascula. C'erano Manilla di Poggialgallo e Viglielmina (nonna di Fiorenzo Franchetti, universalmente noto come "il Porchettaio"), Cremana del Poderuccio e Corinna (la zia di Carla Fantacci). C'era Antiglia (la mamma di Danusia), e poi la successione dei numerici: Primo, Secondo, Terzilio, Quintilio, Sestilio, Settimio, Decimo e giù giù fino a volte chiamare Ultimina l'ultima femmina di una "covata", in attesa che inventassero la televisione, ma quasi sempre Ultimina non rimaneva l'ultima! E al posto di Primo, se era una femmina, veniva chiamata Primetta. Insomma c'è da sbizzarrirsi a cercare di dare spiegazioni alle "cause" di tali nomi e forse qualcuno che ha buona memoria e un po' più di anni, o appartiene alle famiglie citate, saprà di sicuro il motivo di molte scelte e magari potrà togliere anche a chi, come me, è incuriosito, la soddisfazione di saperne di più. A questo proposito lancio una sfida per il prossimo numero: chiunque conosca nomi strani o sappia dirci qualche altra cosa su quelli che ho ricordato scrivetelo al giornalino o ditelo ai redattori, magari quando li trovate al Pianello. Diventerà una specie di ricerca, interessante e anche divertente. Mi scuso se mi sono dilungata ma mi sembrava curioso far conoscere anche ai più giovani questo modo di dare un nome al proprio figlio. Io ho cercato di darmi una spiegazione generale, non so se credibile, ed è questa: molti lavoravano alle dipendenze di "padroni" - proprietari terrieri, conti, marchesi, re e regine (si fa per dire) - e magari dai loro racconti, o da qualche loro imposizione (perché no?) sono scaturiti alcuni nomi "storici", molti altri, invece, si sono ispirati alle guerre, citando città o persone che comunque vi erano legate. Oggi tutto è cambiato, anche qui. Ora abbiamo Tessa, Priscilla, Samantha, Veruska, Jessica, (come si scrivono?)…

Prima più storia ora più "soap opera".

Una giornata particolare al Monte Sabato 6 marzo é una data che molti, a Montefollonico, ricorderanno; almeno tutti quelli che nel pomeriggio si sono affollati nel salone del Palazzo Pretorio rischiando - e a diversi é accaduto - di rimanere in piedi. E questo, per le abitudini del nostro paese, é già un evento, che diventa ancor più straordinario se riferito a un'iniziativa di carattere culturale. Si é trattato, infatti, della conferenza del prof. Gregory Hanlon, docente di storia italiana presso la Dalhousie University del Canada, già noto tra noi per le ricerche condotte negli ultimi anni negli archivi locali, principalmente in quelli di Torrita e Pienza, sulla vita del nostro borgo nel corso del '600. Anche questo giornalino ha già commentato una sua precedente conferenza tenuta nella chiesa del Triano mentre la ricerca era ancora in corso, e avevamo in seguito segnalato l'uscita, per l'editore Il Mulino, di una "Storia dell'Italia moderna 1550-1800" dello stesso Hanlon. Il 6 marzo é stata annunciata la conclusione della ricerca, e presentato il testo inglese del volume che sarà pubblicato, per il quale l'autore ha ancora in corso trattative riguardanti sia l'edizione inglese che quella italiana. All'incontro, organizzato dal Comune e dall'Assessorato alla Cultura era presente anche un gruppo di studenti belgi, in Italia per un corso di studi all'Università di Firenze. Il tema e l'autore sono stati presentati dal sindaco di Torrita, Paolo Pieranni, il quale ha ricordato l'interesse del Comune per questo progetto che offre un approfondimento storico, sociale ed umano alle vicende del nostro territorio; interesse che sembra spingersi verso una concreta collaborazione alla pubblicazione dell'opera in lingua italiana. Loretta Roghi, che conosciamo, oltre che per il sua incarico ufficiale di responsabile delle Attività Culturali, per la sua attenta e competente conduzione della biblioteca di Torrita, ricordando la presenza straordinariamente discreta ma costante, attraverso gli anni, dello studioso canadese in archivio, e la cordiale intesa stabilita con gli operatori, ha sottolineato la ricchezza e l'importanza del materiale documentario ben conservato nella sezione storica. Henlon ha poi illustrato il piano del libro, che esamina la vita del villaggio - circa 350 abitanti dentro le mura e tra 450/500 sparsi in 70 case coloniche fuori da queste - attraverso alcuni nodi fondamentali: la comunità e le sue caratteristiche, le regole di socializzazione e i rapporti interpersonali, la competitività e l'amministrazione della giustizia, il ciclo vitale (nascita,matrimonio, morte) e la sessualità, il collasso del "sistema Italia" e le sue ripercussioni sull'economia e la società contadina. Bisogna aggiungere che, quando l'opera verrà pubblicata, sarà arricchita e vivacizzata da particolari di dipinti relativi alla vita contadina toscana nel periodo esaminato oltre che da fotografie del borgo. Sono seguiti gli interventi di due specialisti .Il prof. Mariano Fresta, noto per i suoi studi sulla mezzadria toscana, ha analizzato l'opera da questo punto di vista. Tra l'altro ha ricordato abitudini e aneddoti sulla vita dei mezzadri che gli ascoltatori più anziani hanno apprezzato in modo particolare sentendoli più o meno familiari. Il prof. Oscar Di Simplicio, docente di storia all'Università di Firenze, ha sottolineato i pregi del lavoro di Hanlon e del metodo rigoroso con cui ha condotto e usato la ricerca d'archivio. Ha poi rilevato l'importanza che una pubblicazione di questo livello può avere su una piccola comunità come Montefollonico per le sue eventuali ricadute di interesse e notorietà. Il professore, tra l'altro, ha raccontato che assolutamente nessuno dei suoi allievi aveva mai sentito nominare il Monte né aveva la più vaga idea di dove si trovasse. Ha dovuto spiegarglielo. Dal canto nostro anche noi abbiamo insegnato qualcosa al professore. Agli inizi del suo intervento aveva detto che si trova spesso in imbarazzo quando deve chiamare gli abitanti di qualche località meno conosciuta con il nome che li identifica come tali. Si domandava, per esempio, se noi ci chiamassimo "montefollonichesi". Lo abbiamo immediatamente corretto dicendogli che, invece, ci chiamiamo "montanini". Di Simplicio ha anche affettuosamente consigliato all'amico e storico "Greg" di ravvivare un po' di più il suo libro, dando maggiore concretezza umana ai personaggi che lo affollano con i loro nomi e le loro storie. In questo modo il lavoro, oltre ad aggiungere merito alla sua fama di studioso - di cui, per altro, non ha affatto bisogno avendone già in abbondanza - potrebbe anche conseguire un buon successo di vendita. Che, come tutti coloro che scrivono sanno, fa sempre comodo. Impossibile rendere conto di tutte le domande che sono state rivolte dal pubblico alla fine dell'incontro, nonostante l'ora tarda. Dalla situazione igienica del borgo e il possibile grado di sensibilizzazione nei confronti di un'igiene alimentare, al ruolo dei parroci nella Chiesa post-tridentina, alle motivazioni dell'imposizione di un feudatario esterno alla realtà locale come il perugino Coppoli, fino ad una gentile osservazione in seguito alla citazione, offerta da Hanlon, sulla ricchezza degli abiti di alcune spose montanine, in sete multicolori intessute con oro: il gusto per il colore e per la bellezza é ancora patrimonio delle donne di queste zone!

Grazietta Butazzi

La guerra piccola

Vincenzo Mangiavacchi è un montanino che la maggior parte dei lettori conosce certamente. Per una ventina d'anni ha fatto servizio di trasporto con barrocci, calessi e auto e per quasi altrettanti ha gestito il negozio torritese del Consorzio Agrario. I più giovani forse lo conoscono meglio, non per le attività svolte, ma perché è il padre dell'altissimo Carlo, portiere della Montanina. Durante l'ultima guerra Vincenzo era ragazzo e mi ha raccontato alcuni episodi legati all'armistizio e al passaggio del fronte in questa zona. Li pubblichiamo pensando che servano a far "vedere" a chi non era ancora nato, certi aspetti minori e meno drammatici della guerra che tuttavia hanno dato un sapore particolare alla vita in quel periodo. Nella tarda estate del 1943 era venuta in riposo nella nostra zona la divisione Ravenna, che aveva combattuto nell'Unione Sovietica quando l'Italia fascista pensava di conquistare il mondo dietro l'alleato germanico. Il 25 luglio Mussolini era stato invitato a dimettersi dal Gran Consiglio del Fascismo e il re, dopo avere accolto le sue dimissioni, aveva nominato capo del governo il maresciallo Pietro Badoglio, anziano generale e ottimo "navigatore": pur avendo condiviso tutte le avventure militari del regime mussoliniano era rimasto a galla. In quel periodo ero venuto a trovare mia nonna e ricordo che parecchi soldati della Ravenna erano accampati al Tondo, con cavalli, muli, fucili, poche mitragliatrici e qualche autocarro. Ogni tanto, insieme ad altri ragazzi, andavamo su per la curiosità di scoprire cosa facessero i militari, molti dei quali erano poco più anziani di noi. Avevano l'aria di annoiarsi parecchio e di non vedere il momento che tutto fosse finito. Reso più ragionevole daill'avanzata degli Alleati lungo lo stivale e dai bombardamenti a tappeto sulle nostre città, il nuovo governo, con il re in testa, decise che le sciagure causate dalla guerra erano abbastanza e che era preferibile darsi KO. L'otto settembre viene firmato un armistizio incondizionato e, all'alba del giorno dopo il re e il governo fuggono a Pescara da dove il cacciatorpediniere "Baionetta" li porta a Brindisi, sotto la "protezione" degli anglo-americani. Nella stessa giornata, appena saputo dell'armistizio, la divisione Ravenna lasciata in balia di sé stessa come era accaduto a tutte le altre, si squagliò come neve al solleone. Migliaia di uomini, a cominciare dagli ufficiali, abbandonarono mezzi, armi e divise, almeno quando trovavano abiti borghesi. Quelli che venivano dal Nord cercarono di tornare alle loro case con ogni mezzo, quelli le cui famiglie vivevano al Sud, dietro la linea del fronte, si dispersero per la zona, trovando ospitalità e lavoro presso i contadini e i paesani. Squagliatasi la divisione Ravenna il modesto equipaggiamento militare era rimasto a disposizione di chiunque ci volesse pescare: pneumatici, automezzi, benzina, armi, coperte, muli. Come tanti adulti e ragazzi, anche Vincenzo con l'amico Gigi Fè andarono al Tondo a vedere come si metteva. La prima cosa che li colpì fu un moschetto ritto sul terreno con il calcio in su, tenuto in quella posizione dalla baionetta innestata e piantata in terra. Vincenzo ci si buttò per sfilarlo ma forse lo prese male, pigiò il grilletto e il moschetto sparò. Fece un gran botto, mandò per aria una spruzzata di terra dove si era infilata la pallottola e saltò indietro per il rinculo. Meno male che la bocca della canna era libera, perché se fosse stata infilata anche lei nel terreno, il fucile avrebbe potuto esplodere. Comunque Vincenzo, che ancora non aveva idee chiare sulla vita e sulla morte ma doveva essere pessimista, cadde per terra e gridò: "Son morto!". Poi si rese conto che non era vero. Ora ne ride, ma la sua passione per le armi morì sul nascere. Qualche tempo dopo, lui e l'amico Veliero, detto "Chiochio", si recarono al convento di San Francesco, non per devozione ma perché avevano adocchiato una bella ficaia appartenente ai frati, rinomata per la qualità dei suoi fichi dottati. Si avvicinarono quatti quatti e con grande prudenza salirono sull'albero. La prudenza era d'obbligo perché nell'orto dei frati lavorava un vecchio piuttosto scorbellato, soprannominato Ragno, che se li scopriva non gliel'avrebbe fatta passare liscia. Purtroppo li scoprì proprio mentre stavano gustando i fichi dottati, che come tutta la frutta, sono molto più saporiti quando sono di frodo. Ragno si arrabbiò assai, gridò loro di andarsene di corsa e per stimolarli sparò due fucilate senza colpirli. Non avendo gli occhi dietro la testa né Chiochio né Vincenzo capirono se aveva mirato male o se non li aveva voluti colpire. E non capirono neppure chiaramente se erano colpi di doppietta o di moschetto. Per Veliero era una doppietta, per Mangiavacchi un moschetto. Ormai i moschetti erano la sua ossessione e forse non aveva neppure torto. Nel chiostro del convento ce n'erano parecchi accatastati, insieme ai vecchi fucili Modello 91 e a qualche mitra. L'abbondanza di armi da fuoco era tale che, in quel periodo, i ragazzi montanini andavano addirittura a caccia con il moschetto. Il contrasto d'opinione tra Chiochio e Vincenzo - moschetto o doppietta? - è rimasto vivo fino ad oggi. Al passaggio del fronte, prima che i tedeschi si ritirassero, Vincenzo e qualche amico riuscirono a combinare un buon affare con un maresciallo tedesco, ma su questo leggerete l'articolo che ha scritto Vincenzo in persona, prima che gli offrissi di alleggerigli il compito trascrivendo quello che mi avrebbe raccontato. Quando però i tedeschi cominciaro a ritirarsi buoni affari non ne proposero più. Anzi! Ritirandosi, come tutti gli eserciti di questo mondo anche quello tedesco razziava qualunque cosa potesse servire, animali compresi. .Il bene più importante che aveva la famiglia di Vincenzo Mangiavacchi era un cavallo. "A quel tempo", dice Vincenzo, "avere un cavallo era come avere una Ferrari oggi. Il nostro si chiamava Drago e lo adoperavamo per tirare il calesse e il barroccio. L'avevamo comprato che aveva sei mesi e gli si voleva un gran bene. Perciò pensammo di nasconderlo perchè i tedeschi non ce lo prendessero". Nessun nascondiglio sembrava abbastanza sicuro e così prima lo nascosero in una stanzina vicino alla porta del Triano e poi, per paura di qualche "spiata" lo portarono nell'Oliviera del Mucciarelli. Purtroppo un soldato tedesco che stendeva un cavo telefonico lo vide da una finestra, i Mangiavacchi se ne accorsero e trasferirono "Drago" nella cantina di Silvio Innocenti. Ma ormai il segreto era stato scoperto, tedeschi presero il cavallo e lo tirarono fuori di lì per tirarselo dietro. Allora il paese era pieno di gente, già parecchio arrabbiata per le difficoltà in cui si trovava e le razzie dei tedeschi. Quando i paesani si accorsero di cosa succedeva parecchi di loro circondarono i soldati per impedire che portassero via l'animale. I militari chiamarono rinforzi, e quando questi arrivarono presero il cavallo e insieme a lui una ventina di persone in ostaggio. Grazie a loro volevano andarsene dal paese senza doversi guardare alle spalle. Qualche ora dopo, quando si furono allontanati abbastanza, rilasciarono gli ostaggi che tornarono a casa, ma il cavallo sparì e i Mangiavacchi non riuscirono mai a sapere che fine avesse fatto. Fu una grave perdita non solo per i padroni ma anche, in un certo senso, per i contadini che vivevano fuori del paese. I Mangiavacchi, infatti, avevano "l'appalto" di portare a ogni famiglia contadina il medico e la levatrice quando ce n'era bisogno in cambio di uno staio di grano all'anno per famiglia. Fu proprio il medico, il dottor Armando Mellone, generosa ed ottima persona, a fare una proposta che Vincenzo ricorda ancora come prova di gran coraggio. Una mattina arrivò tutto trafelato a casa Mangiavacchi per dire che vicino alla sua abitazione si era fermato un soldato tedesco con un carro tirato da un bel cavallo. "Si dà una botta in testa al militare e ci si piglia il cavallo", propose, sapendo bene quanto un cavallo era necessario. Se pensiamo alla reazione che avrebbe potuto scatenare, un'azione del genere più che coraggiosa sarebbe stata molto imprudente. Per fortuna loro e del paese Pilade, il padre di Vincenzo, rifiutò e un nuovo cavallo se lo dovettero procurare in modo meno rischioso. Finalmente arrivarono gli Alleati, rappresentati, nel caso di Montefollonico, da truppe scozzesi. Avevano l'aria di essere combattenti sul serio, e smentivano la propaganda fascista secondo la quale britannici e americani mandavano avanti gli altri quando c'era da fare la guerra davvero. La maggior parte della gente fu felice di vederli e quando il primo blindato entrò in paese dalla torretta sbucava uno scozzese che brindava con un bicchiere di vino bianco. Segno indiscutibile che era arrivata la pace, almeno a Montefollonico, Comunque gli scozzesi si piazzarono in casa di Pilade e figlioli, misero una mitragliatrice a una finestra che dava sulla Costa e da lì, ogni tanto, sparavono raffiche sulla Valdichiana, tanto per far vedere che stavano con gli occhi aperti. Anche la notte qualcuno di loro stava con gli occhi aperti. Un militare al quale il vino bianco non era adatto, girava per le stanze e svegliava i Mangiavacchi. Sventolava una pistola e gridabva di cercare "il tedesco", che però non esisteva per niente. Finché Pilade s'arrabbiò, andò dal comandante e gli disse che facesse smettere quel rompiscatole che non li lasciava dormire. Non sappiamo come il montanino e lo scozzese riuscirono a capirsi, fatto sta che il militare nottambulo non si vide più. Poi sparirono anche gli scozzesi e arrivarono i "gurka" nepalesi (nepalini come dicevano a Montefollonico). Sono mercenari che combattono per gli inglesi da sempre, anche oggi quando ce n'è bisogno. Sono soldati feroci e coraggiosi ma qui pare che fossero interessati soprattutto a vendere quello che potevano vendere del loro equipaggiamento, pur di comperarsi polli e oci da mangiare. "Dare gallino" chiedevano, e in cambio offrivano quello che avevano. Pare che un loro ufficiale abbia confidato a qualche montanino che sapeva l'inglese: "Bisogna che li porti via, se no mi restano nudi". Infine sparirono tutti e Montefollonico, come tante altre località, cominciò a leccarsi le ferite di una guerra che avrebbe dovuto farci più grandi, più ricchi e più potenti.

Renzo Butazzi

RICORDI DI INCOSCIENZA

Questo è il racconto di un pomeriggio pazzo e drammatico accadutomi nel 1944, al passaggio del fronte, insieme a tre amici, e che poteva avere conseguenze tragiche. Che il fronte fosse vicino ormai si capiva per tanti motivi e tanti segnali e uno di questi segnali fu che noi ragazzi del paese ci si trovò a fare il bagno alla steccaia dell'Abbadia e quando tutti nudi ci preparavamo ad asciugarci si verificò un violento cannoneggiamento che il passaggio dei proiettili e delle schegge attraverso il bosco rendeva terrificante. Fortuna che durò poco. Ci contammo - tutti sani - e prendemmo la strada di casa con qualche pensiero: il Monte aveva avuto danni?. Io trovai casa mia colpita: una granata di mortaio aveva centrato l'abbaino mandando in frantumi la muratura. Montefollonico, in tale circostanza, si era trasformato, da paesino tranquillo e di pochi abitanti, in un guazzabuglio di parlate e dialetti difficili da capire; la gente che vi si era rifugiata, pensava che essendo il paese lontano dalle vie di comunicazione, sarebbe stato lasciato indenne dalla guerra. In mezzo a questo caos di gente, soldati, ecc. ci trovammo al Pianello: io Vincenzo Mangiavacchi, Dino Sandroni detto "Banino", Franco Spisto, napoletano e Beppe Parisi, siciliano. Erano due militari della Ravenna che, non potendo attraversare il fronte per tornare a casa, si erano "accasati" presso famiglie del paese. Io ero il più giovane, 17 anni, Dino 19, Spisti e Beppe forse venticinquenni. Non avevamo niente da fare e si stava cercando qualche lavoretto. Il caso ci fece incontrare un maresciallo tedesco. Parlava discretamente italiano, aveva una bella divisa in ordine e ottimi denti d'oro. Insomma, destava fiducia. Ci raccontò che in una località vicina aveva lasciato il suo camion pieno di sigarette ma senza benzina e che se si fosse accompagnato ci avrebbe dato sigarette e altro. Al "mannaggia" di Spisto rispondemmo alzando le antenne. Avevo capito subito che la località era quel bosco che dalla Saragina costeggia la strada per Montepulciano. L'impresa sembrava facile, ma i pensieri mi vennero quando si trattò di decidere se accompagnare il maresciallo. Perché era venuto su? Se ci vedevano i partigiani e ci sparavano? E se voleva tirarci un bidone? Comunque alla domanda "Tu che fai? Vieni?", il miraggio del camion pieno di sigarette, per me che ero ai primi "lampi" fu più forte della prudenza e risposi "Vengo anch'io". Senza dire niente a nessuno, con qualche borsa e un po' di soldi ci incamminammo per Regnella, Fosso, Frignanello, Frignanaccio, avendo cura di evitare Frignano dove si sapeva esserci un comando tedesco, costeggiammo Puscina e d'improvviso fummo davanti al bosco fatidico. Il quale, molto folto, si prestava benissimo per nascondere mezzi e soldati alla vista dell'aviazione Alleata. Alla nostra vista, invece, apparve un ammasso di carrarmati, blindati e camion tutti bloccati. A un cenno del maresciallo che ci indicava il camion delle sigarette scattammo come molle in tale direzione. Ma un bercio perentorio, un "Alt!" grosso come una casa, ci bloccò e alla nostra vista apparve un soldato che imbracciava un mitra e ci faceva segno di alzare le mani. Non potete immaginare il turbinio pensieri: "o che fa, ora ci spara", "siamo stati dei bischeri","accidenti alle sigarette". E intanto cercavamo di spiegarci con parole che il soldato non capiva. Fortunatamente non era distante il maresciallo e il motivo della nostra presenza fu chiarito tra loro. Il maresciallo ci aprì la sponda del camion e ci apparvero sigarette, sigari e cerini. Ci salimmo su come felini e ciascuno di noi se ne fece un bel mucchio. Dino, il più tranquillo e ordinato, completava i pacchetti aperti rimettendoci le sigarette sparse per il pianale del veicolo. Io, che non mi ero portato nessuna borsa, per dieci lire comprai dal maresciallo anche una balla di canapa con sopra una grande svastica. L'ho adoperata a lungo anche se quel simbolo mi dava fastidio. Ultimata l'operazione pagammo, salutammo e ci rimettemmo in viaggio per il ritorno a casa lungo il solito itinerario. Verso Frignanello incontrammo Giuseppe Bittoni che tornava da Frignano, dove era stato per qualcuno dei suoi commerci. Aveva le tasche piene di sigarini tedeschi, ogni tanto qualcuno gli cascava senza che se ne accorgesse. Banino, che gli camminava dietro, li raccoglieva e se li metteva in saccoccia. Al Monte già tutti sapevano dell'impresa e le numerose richieste ci consentirono qualche buon affare. Tutto era andato bene nonostante la nostra incoscienza e le emozioni a non finire. Dimenticavo. Una sera d'estate sento suonare alla porta, forse 25 o 30 anni fa. Vado ad aprire e vedo il carissimo siculo Beppe Parisi che ritornava al paese per una visita. Lo riconobbi soprattutto dalla capigliatura: aveva lo stesso, unico ciuffo di capelli ritto in mezzo alla testa, senza neanche un pelo intorno, come quando stava al Monte. Ci abbracciammo e rinsaldando la vecchia amicizia finimmo per ricordare l'impresa nostra da incoscienti. Tutto è bene ciò che finisce bene, cari ragazzi, ma poteva anche andarci malissimo.

Vincenzo Mangiavacchi

Succedeva alle ACLI

Mezzo secolo fa, proprio di questi tempi, nasceva al Monte il circolo ACLI (associazioni di lavoratori cristiani). Trovava sede in quei locali che erano stati una specie di oratorio, dove si riunivano i numerosi ragazzi di allora, dove Don Guido, la domenica, proiettava un film e dove aveva funzionato, nel dopoguerra, un piccolo teatro con il suo minuscolo palcoscenico. Fu qui che la compagnia teatrale montanina "Anema e Core" mise in scena con successo numerose recite, mentre in quel periodo il teatro "Bruno Vitolo", affittato al Consorzio Agrario, funzionava come deposito di grano. Nel '54 iniziò l'era televisiva che ha cambiato radicalmente il modo di divertirsi e di passare il tempo libero serale di tutta la popolazione, dai piccini agli anziani, con l'aggiunta di un pochina di tv dei ragazzi nel pomeriggio. La domenica e i festivi invece era tutta musica, le trasmissioni cominciavano addirittura dopo "disina". I circoli ACLI avevano ilcompito di contrastare l'ideologia e l'espansione comunista, appoggiati dalla Chiesa e ovviamente dalla DC che in essi vedeva un serbatoio di voti. Ma al Monte questi obiettivi passarono in secondo piano e il circolo fu soprattutto un luogo sociale, il bar delle donne e dei ragazzi, utile per vedere la televisione che nei primi anni, al Monte come in tutta Italia, era offerta dai locali pubblici. Erano molte le differenze con il bar del Pianello: una si è già detta e cioè che a quei tempi le donne nei bar erano merce rara; cominciò a entrarne qualcuna per vedere la televisione ma soltanto se era accompagnata dal marito; anche le ragazze potevano entrare a comprare qualcosa ma poi uscivano subito. Alle ACLI invece l'ingresso e la permanenza femminili erano liberi, nel senso che non c'era quel tabù che invece era presente nei comuni bar. Mancava inoltre quel numeroso gruppo di giocatori incalliti che riempivano il bar di fumo, moccoli e spettatori, con in testa il Fè che da solo faceva la differenza. In compenso c'era Gisberto, ospite fisso, perchè le banconiere erano le sue figlie, Orsola e Lina con l'aiuto della più giovane Lisa. L'altro ospite abituale era Don Guido, un pò perchè i locali erano della chiesa e ad essa contigui e poi doveva pur fare da guida spirituale a questi lavoratori più o meno cristiani. E infatti le bestemmie erano rare e dette sottovoce, i giocatori si facevano il bicchiere del vino o il caffè, essendo rari quelli che giocavano a soldi. Ma Gisbe si arrabbiava anche per una caramella perchè era un tipo viperino e quando non ne poteva più usciva fuori a dire un po' di giaculatorie. Una di quelle sere, proprio mentre Gisbe era lì fuori a recitare il suo rosario speciale, capitò Don Guido che però fece finta di niente: in fin dei conti non aveva ammazzato nessuno. Nel periodo invernale, la domenica pomeriggio, nello stanzone della tv trovavano rifugio le varie coppiette di fidanzati che nella buona stagione, invece, i programmi televisivi andavano a vederseli nei boschi vicini. Quando capitava qualche giovane carabiniere scapolo, le ragazze in cerca di marito si piazzavano qua e là come facevano i pescatori per vedere se qualche pesciolino abboccava. I giovanotti dell'arma erano piuttosto ambiti perchè avevano un mestiere sicuro e poi non avevano tanti grilli per la testa e garantivano un matrimonio decoroso. Inoltre, in quei tempi, facevano furore i film del maresciallo De Sica con la Lollobrigida, nei quali si raccontavano storie amorose tra carabinieri e popolane che si svolgevano in piccoli paesi come il nostro.Difatti alcuni matrimoni con i militari dell'Arma si verificarono, complice o no la penombra delle ACLI. Oggi le televisioni trasmettono 24 ore su 24, per lo più cavolate; c'è una scelta di schifezze impressionante, condite con tanta pubblicità che tutti cercano di evitare come la rogna. Allora invece c'era un unico ristorante con una sola pietanza: inizio alle otto e mezza di sera con il telegiornale, poi la trasmissione principale e alle undici tutti a letto. L'unica pubblicità era Carosello, circa dieci minuti, con quattro o cinque spots che erano spesso dei capolavori, specie se confrontati con la sciapezza di quelli di oggi. In compenso la gente cominciava a sedersi e occupare i posti un'ora prima, specie il sabato e la domenica, mentre lo schermo trasmetteva il monoscopio e un po' di musica. Il sabato c'era di solito un varietà e per diversi anni il Musichiere , una trasmissione a quiz condotta da Mario Riva. Per diverse settimane ne fu "campionessa" una quasi montanina, Laura Lardori, nipote di Remo, per tanti anni macellaio del Monte. La domenica sera invece c'era di solito un romanzo a puntate di quelli strappalacrime tipo "Piccole Donne", "Cime Tempestose", "David Copperfield", ecc. E di lacrime alle Montanine ne strappavano parecchie mentre i giovincelli, seduti su degli sgabelli vicino al televisore, facevano a gara a chi rideva di più. Non solo, ma questi "zingheri" si divertivano a tormentare la povera Lisa, seduta nei primissimi posti. "Lisa, me le porti due caramelle alla menta?" Lei si voltava con gli occhi pieni di lacrime e tanta rabbia, poi riguardava un altro pochino la scena, poi allungava la mano per ricevere le dieci lire e con gran fatica si alzava. Appena ritornata con la grossa consumazione, non faceva a tempo a immedesimarsi di nuovo nel romanzo che si sentiva dire "Lisa, a me due all'arancio" oppure "Me lo porti un frou-frou alla crema?" I torturatori si chiamavano Massimo, Nasello, Venanzio e Febino. Solo Reste, come sempre discreto e cortese, non osava e se aveva bisogno di qualcosa andava da sè, come avrebbero potuto fare anche gli altri. Ma il più accanito era Brunino di Toselli: se voleva fare il simpatico, si sbagliava di grosso. Qualche anno più tardi sempre Brunino, ormai divenuto giovanotto, fu l'autore di una dichiarazione tra le più corte della storia per interposta persona:"Mi garberebbe tanto una citta -disse a Lina- ma non ho il coraggio di dirglielo". "O chi è?" rispose Lina. "E' un te lo posso di, prova a indovinacci". Allora Lina incominciò ad elencare le varie figliole che potevano interessarlo, ma nessuna di quelle sembrava aver trafitto il cuore del nostro spasimante "Allora non saprei -disse Lina- un sarà mica la mì Lisa?" "E' già!". Non ci è dato di sapere se Lina fece l'ambasciata; ammesso di sì, i risultati furono disastrosi: invece che languidi sorrisi e tenere carezze, la bella Lisa gli avrebbe sparato volentieri, con il fucile a tortiglione del su' babbo, tutte quelle caramelle che aveva dovuto portargli. Diciamoci la verità, Lisa garbava un po' a tutti noi, forse compreso il nostro Reste, aveva il sapore di un frutto proibito, assomigliava a quella merce "Guardare e non toccare", ma proprio per questo tutti avrebbero voluto allungare la mano. Però i modi sbrigativi del babbo consigliavano prudenza e anche i più ardimentosi se ne stavano boni boni e non osavano più di tanto. Il più grande spettacolo di tutti i tempi fu indubbiamente "Lascia o Raddoppia", trasmesso il giovedì. Anche alle ACLI si registrava un pienone da feste da ballo: una sera furono contati 260 presenti. Perfino le sale cinematografiche si dotarono di un televisore per far vedere "Maicche Bongiorno" prima del film, se no quella sera sarebbero rimaste deserte. Il contrario succedeva al martedì, quando c'era uno spettacolo teatrale classico e ogni tanto la rappresentazione di una tragedia greca. Allora anche i più assidui frequentatori come Gatina, Remo e Gina Lardori, i coniugi Bronzi, a poco a poco abbandonavano. "Ma che è 'sta strullata"-commentava Gata che insieme a Remo era la commentatrice ufficiale degli spettacoli:"Un ci capisco niente, o ioboia pe' dispetto voglio proprio andà a letto". Alle dieci non c'era più nessuno, anzi no, c'era ancora uno spettatore, Vittorio Innocenti che assisteva fino al termine, cioè quasi l'una. Al banco del bar sonnecchiava Lina oppure Orsola mentre Gisbe, giocatore disoccupato, faceva il solitario. La banconiera avrebbe fatto, invece, un lungo sonno, se ogni tanto, o meglio ogni poco, non fosse arrivato Vittorio a fare rifornimento di caramelle, al punto tale che l'incasso era più o meno come le serate normali: Vittorio faceva per venti o trenta persone. Il problema più grosso era far funzionare il televisore: per un po' andava bene, poi cominciava a far lasagne, verticali o orizzontali, oppure l'immagine scorreva veloce dall'alto in basso o andava fuori fuoco. Il tecnico addetto era il Bronzi che, forse perché aveva fatto il maresciallo di marina nella sala macchine, sapeva girare le numerose manopole a destra o sinistra finchè il quadro riappariva con soddisfazione generale. In seguito il Bronzi si comprò il televisore per conto suo e allora mi incaricai io di rimediare quando l'apparecchio faceva le bizze e le proteste diventavano più insistenti. La soluzione migliore sarebbe stata di volarlo giù dalla Costa e farlo nuovo ma io avevo imparato la birbonata: mi alzavo di malavoglia, muovevo le manopole in modo da peggiorare la situazione e poi rimettevo tutto come era prima. "Così, così" mi sentivo gridare e allora ritornavo a posto tutto soddisfatto. Anche se l'affluenza in genere era buona gli incassi erano scarsi parchè i consumatori erano di modesta levatura, fatta eccezione per i giovani e il solito Spadacci che la sera dimostrava alle ACLI le sue elevate capacità consumatorie. Il suo rivale in questo campo, il signor Perlo, si rifaceva alla domenica prima della messa: in un attimo faceva fuori tre o quattro paste fresche e poi, siccome era già suonato il cenno, usciva di fretta con una in bocca e altre due in mano che faceva sparire nel breve tratto dalle ACLI alla chiesa. Chi l'avesse osservato appena entrato avrebbe pensato che aveva la bocca piena delle parole del Signore, snocciolando preghiere e invece stava sgranocciando l'ultimo bignè alla crema. Il compito di Gisberto era complesso: oltre che guardiano del locale e delle sue figliole, perchè nessuno facesse il coglione con loro, intratteneva gli avventori, raccontando fatterelli, organizzando partitelle a carte bisex cioè sia con uomini che con ragazze. Un giorno a una di esse disse: "Ma lo sai cittina che sei rotta in culo, se lo metti fuor di finestra ti ci covano i rondoni" volendo significare che aveva una fortuna sfacciata. Faceva anche il buttafuori se c'erano degli scalmanati. Una volta delle tante che Massimo e Nasello pigliavano Reste a pedate negli stinchi e questi si difendeva con una sedia, Gisbe lo vide e alzatosi di scatto gli andò vicino "Io ti sfruchizzo!" gli berciò facendo finta di avere un coltellaccio. Per Carnevale si svolgeva qualche festa da ballo al suono della famosa orchestra spettacolo "Giradisc"; in quelle occasioni Restino si scatenava e sapeva ballare anche bene. In uno di quei pomeriggi danzanti la moglie del brigadiere, di taglia "estrastronghe", mentre doveva rincorrere un cavaliere fece un tuffo a pesce di proporzioni colossali: non ruppe nessuna piastrella ma il pavimento tremò ben bene. Verso la metà degli anni sessanta il circolo ACLI del Monte aveva concluso la sua funzione perchè si erano fatte sempre più numerose le tv nelle case; ma per un quindicennio il circolo era stato un'importante occasione di aggregazione sociale e di svago, come ho già detto, per la componente femminile e giovanile del Monte. Ci fu uno strascico del ritrovo ACLI nella seconda metà degli anni '60, con la gestione Tamascio, dopo che Lina e Orsola avevano smesso. Ma gli avventori di Tama erano parenti e amici di famiglia e i guadagni erano pressochè nulli, anche perchè le autoconsumazioni superavano quelle vendute a terzi. Quando qualcuno di noi chiedeva una pasta Tama le tirava fuori da sotto il banco, ne vendeva una o due e poi diceva "M'avete fatto venì voglia anche a me", e ne mangiava tre o quattro. E gli obiettivi politici? Mancati in pieno perchè il PC non cambiò in quegli anni la sua percentuale di consenso: il 75%. Oggi il movimento delle ACLI esiste ancora ma fa parte della sinistra e non è più in contrapposizione. Comunque, in quegli anni, la lotta politica era una cosa seria, gli scontri ideologici erano di alto profilo. Ora, con la discesa in campo di nuovi formidabili attori ad alimentare il teatrino della politica nella cosiddetta seconda repubblica - che riesce ad essere perfino peggiore della prima, il che è tutto dire - lo scontro è fatto di pettegolezzi, maldicenze e battibecchi da lavandaie, proprio come capitava alle Fonti: Se Giuse si lamenta che non ci sono più (vedi numero…del giornalino) ora sa dove trovarle. Evviva l'Italia!

Alfredo Machetti

I CONFINI DEL MARCHESATO DI MONTEFOLLONICA

Montefollonico come noi sappiamo (che ci piaccia o meno) è frazione del comune di Torrita di Siena e questo da quando il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo degli Asburgo-Lorena stabilì (siamo nel 1777 credo) i limiti delle comunità tuttora esistenti in Toscana. Negli anni precedenti, anzi nei secoli precedenti la cosa era ben diversa: ogni piccolo paese o, per meglio dire, castello, aveva il suo territorio ben delineato pur appartenendo ad uno stato molto più grande. Montefollonico, a partire dalle prime notizie scritte che lo riguardano conservate nell'Archivio di Stato di Siena (1208 ), è stato un castello fedele alla Repubblica di Siena (fino alla sua caduta), arrivando persino a automultarsi nel caso in cui questa fedeltà non fosse stata rispettata: infatti il Pecci nel suo resoconto dei castelli senesi della prima metà del 1700 diceva che "Ricordevoli gli Uomini di Monte Follonico di tanto beneficio ricevuto da Sanesi, e desiderando poterne in avvenire riportare de nuovi, il dì 11. d'ottobre 1266., con pubblico rogato strumento in numero di 223. si contentarono e giurarono, che quella Terra si tenesse a onore, e servizio del Comune di Siena, si obbligarono difendere i Cittadini Sanesi con tutte le forze loro, e in caso di non osservanza si sottoposero alla pena di lire 100, ma vollero però, che una tal Compagnia durar dovesse per soli anni dieci. Fu stipulato lo strumento nella Piazza di quella Terra, avanti la Chiesa di S.Leonardo, e rogato da Buonaventura del già Alberto Notaio . Questo strumento di Confederazione ci porge lume a reflettere, che di quel tempo quella Terra non era sottoposta ad alcuno, e però a proprio talento, come libera e independente, potea disporre di se stessa , e contraere confederazione cò Sanesi, in quei tempi molto potenti, acciò venisse gran decoro a Montefollonichesi."Se ne deduce che pur essendo all'interno dello stato senese i Montanini di quel tempo intendevano mantenere una certa indipendenza. Le cose cambiarono con l'arrivo dei Medici di Firenze; Cosimo I concluse la conquista dello Stato senese (per merito o per tradimentio nel 1559 quando la Repubblica fu sconfitta a Montalcino, ultimo baluardo della difesa senese. Da quel momento in poi la storia montanina si mescola con quella del Granducato di Toscana; nel 1618, il 2 di novembre, Montefollonico e il suo territorio vengono dati in feudo al Marchese Francesco Coppoli di Perugia e perciò vengono stabiliti i confini di detto marchesato. In un disegno dei primi anni del 1700 facente parte di una collezione privata, sono menzionati tutti i termini di confine di questo territorio i quali possono essere facilmente controllati da chiunque disponga di una carta topografica dell'Istituto Geografico Militare, anche perché i toponimi presenti corrispondono a quelli attuali. Passiamo quindi alla: " Descrizione de termini del Marchesato di Montefollonica" A) Torre del Sanese nel confino di Montepulciano, Pienza e Montefollonica. B) Termine di pietra nella strada detta il Mulinello. C) Termine di Pietra poco distante da Casacce Poggi Sirgordi. D) Termine di Pietra avanti al forno del Palazzo Tori. E) Due pietre giacenti alla Fonte di Casabella. F) Due mattoni murati per angolo nella casa di Biancaiole. G) Cima di un poggetto in calcestruzzo. H) Metà della Casa del Podere del Cerro. I) Pietra nera con quattro facce nel Pian di Ferroia. L) Termine posto nella via di Cignella. M) Cappanna del Podere di Renello Bandini. N) Termine di pietra nel Campo di Guerra. O) Termine di pietra nel chiusino della Cava. P) Quercione della casa nuova nel confine di Petroio e del Palazzo Massaini. Q) Termine di pietra al Podere di Costavecchia. R) Termine in luogo detto Pozzuolo di dove il confino seguirà per la strada pubblica fino a dirittura della Torre del Senese A. e di qui voltando per li fossi della Buca e di Grilloni imbocca sul fiume Salarco sempre lungo il confino di Montepulciano. Tutti questi rispettivi termini sono stati approvati dai seguenti deputati delle comunità confinanti cioè: SSri Simone Bellini e Venanzio Corsi di Montepulciano, Pietro Fratini e Mariano Mucciarelli di Torrita, Pietro Farnetani di Sinalunga, Domenico Cherubini, Gia Gio Bianchi di Petroio, Domenico Franci e Giuseppe Gollacchi del Comune Massaini e Fabbrica, Angelo Maccari, Luigi Sodi e Antonio Cagni ( ) di Montefollonica. Se si osserva l'andamento di tale confine nell'attuale carta topografica si può notare che esso ricalca per la maggior parte il limite meridionale del territorio comunale di Torrita, quello definito cioè dal Granduca Pietro Leopoldo I di Lorena, confermando in generale vecchi confini esistenti i quali utilizzavano elementi fisici ben individuabili e difficilmente modificabili come strade, fossi, case e piante di grandi dimensioni. Già nel 1285, il giorno 21 di novembre, dopo diverse scorribande dei Poliziani nel territorio dei Montanini, tra gli uomini del comune di Montepulciano e gli uomini e il comune di Montefollonico furono fissati di comune accordo i confini tra i due territori, utilizzando come "linea" divisoria oltre alle proprietà di alcune persone, i fossi del Lacerone, del Cerreto e il Salarco, come si può leggere nel documento conservato all'Archivio di Stato di Siena, fondo Capitoli, filza 2. Un pezzo di terra in più specialmente nel versante in questione poteva costituire una fonte di entrate importante per uno dei due comuni e per le chiese assai più numerose a quel tempo. Infatti da questa parte sono tuttora presenti dei terreni piuttosto pianeggianti e quindi facili da coltivare oltre, cosa non meno importante, alcuni fossi che fornivano energia cinetica per i mulini esistenti lungo il loro corso, come ad esempio il mulino di Grilloni di cui ora restano solo le rovine, il mulino dell'Oppino nel quale è stato interrato, nel corso degli ultimi restauri, il canale murato che scorreva sotto la casa, il mulino del Morone, ora agriturismo, e il mulino che si trovava in fondo ai campi delle Capanne del quale purtroppo rimane solo il ricordo nella toponomastica.

Andrea Tonini

L'altra America
di Raymond Carver

Raymond Carver nacque il 25 maggio 1938 nello stato dell'Oregon e passò la sua infanzia nella cittadina di Yakima dove i genitori si erano trasferiti trovandovi un modesto lavoro: il padre era operaio in una segheria e la madre cameriera. Una famiglia quindi, della "working class", perennemente alle prese con gravi problemi economici, tanto che lo stesso Raymond fu precocemente costretto a mettersi a lavorare facendo i mestiere più disparati: lavapiatti, guardiano notturno, giardiniere, benzinaio, spazzino. Fu il padre a ispirare al figlio la passione per i libri, leggendogli ogni sera svariati racconti e storie avventurose. Una passione che Carver continuò a coltivare sempre di più, sebbene con grandi sacrifici. Una influenza determinante per la sua formazione furono le letture di Hemingway e Cechov. Nel 1958 si trasferì in California per seguire le lezioni di scrittura creativa di John Gardner, il quale lo aiuterà poi a pubblicare i primi racconti. Intanto Carver nel 1957 si era sposato ed aveva avuto in breve tempo due figli. Questa situazione lo porterà, oltre ad accentuare i suoi problemi economici, ad una situazione di perenne difficoltà esistenziale e creativa (soffrirà tra l'altro, per un lungo periodo, di alcolismo). Nonostante queste difficoltà, Carver riuscì a pubblicare nel 1963 "Vuoi star zitta per favore" (una raccolta di ventidue racconti). I problemi di alcolismo lo porteranno al carcere e al divorzio oltre che a un lungo silenzio letterario. Si disintossicherà e negli anni '80 avrà un secondo felice e prolifico periodo creativo con: "Di che cosa parliamo quando parliamo d'amore" (1981), "Cattedrale" (1983), e alcune raccolte di poesie tra cui "Blu oltremare" (1985) e "New Path to the Waterfall" (1988). Raymond Carver morì nel 1988, a soli 50 anni (stroncato da un cancro ai polmoni) assistito dalla sua seconda moglie, la poetessa Tess Gallagher. L'opera di Carver si inserisce in quella tradizione della "short story" che negli Stati Uniti ha avuto esponenti di primo piano come Edgard Allan Poe, Ernest Hemingway, Sherwood Anderson. Insensibile ai richiami delle architetture romanzesche e poco propenso all'intreccio, Carver punta tutto sulla singola situazione narrativa e l'attenzione è concentrata su eventi minimi che tuttavia sembrano sempre annunciare un prossimo momento rivelatore o una folgorante intuizione. I suoi personaggi li rintraccia tra la gente comune dell'altra America, i diseredati, i derelitti. Delle loro vicende e dei loro patemi riferisce con atteggiamento distaccato, senza compiacimento idealistico: i nuovi poveri non hanno nulla che permetta loro di innalzarsi ad una dimensione eroica, sono poveri e basta, privi di coscienza politica, sradicati, incapaci di dare espressione alle proprie ansie di giustizia e di ribellione. Carver, con la sua prosa scarna, dura, laconica, che tende a comprimere ogni emozione è lontano tanto dalle forme del realismo classico quanto da quelle del contemporaneo modernismo. Dalla raccolta "Cattedrale", considerata la sua opera migliore, è da ricordare, fra gli altri, il racconto "Una piccola buona cosa": il commovente incontro-scontro dopo una lunga serie di incomprensioni tra due genitori che hanno appena perso il loro unico bambino e il pasticcere al quale avevano commissionato la torta di compleanno del figlio. Carver, considerato da molti critici come il maestro del cosiddetto "minimalismo" (sebbene egli abbia sempre rifiutato questa etichetta), ha dato un ricco e sostanziale contributo alla letteratura americana caratterizzandosi per l'impulso di rinnovamento dato alla forma-racconto, oltre che per la testimonianza della faccia nascosta del sogno americano. La sua opera ha ispirato una intera generazione di scrittori più giovani nel solco della tradizione di Hemingway e di Cechov.

Gianfranco Rossi

Sapori di una Volta

Dalla Lombardia fredda e innevata Siamo scappati alla ricerca di una regione più assolata Napoli è una città ricca di calore e di sapori E i piatti che vi cuciniamo sono sempre di mille colori. Per questo dalle ricette mediterranee ci siamo fatti attirare E pensando al Vesuvio le vogliamo assaporare: La pastiera e gli struffoli sono delle prelibatezze E per il nostro palato saranno carezze: Anche se potrà salire l'ago della bilancia Questa volta preparate la vostra pancia E seguite le ricette di chi è di cuore autentico napoletano Cioè Francesca, la moglie di Isoriano. PASTIERA DI GRANO INGREDIENTI PER 12 PERSONE: 750 g. di grano cotto; 150 g. di latte; 100 g. di burro; 700 g. di ricotta; 700 g. di zucchero; 10 uova; 2 bustine di vaniglia; 1 fialetta di aroma di fior d'arancia; 1 buccia di limone grattugiato; 1 h. di cedro candito. Per la sfoglia: 500 g. di farina; 2 uova intere; 200 g. di zucchero; 200 g. di burro. PROCEDIMENTO: Impastate il grano con tutti gli altri ingredienti e preparate la sfoglia. Lasciate un po' di sfoglia da parte e il resto stendetelo in una teglia; versateci sopra il composto. Con la poca sfoglia che avete lasciato da parte fate delle striscioline e disponetele sopra all'impasto come si fa per la crostata; lasciate cuocere per 1 ora circa. STRUFFOLI INGREDIENTI: 500 g. di farina; 4 uova; 50 g. di burro; 1 bustina di lievito per dolci; 1 bustina di vaniglia; 2 cucchiai di zucchero; olio; anice; miele. PREPARAZIONE: Unite tutti gli ingredienti e amalgamateli bene, poi fateci dei pici e tagliateli a palline piccole, che friggerete nell'olio bollente. Fate sciogliere un po' di miele e bagnateci gli struffoli, dopodiché decorateli con degli zuccherini colorati. TORTA RUSTICA INGREDIENTI PER 12 PERSONE: 3 h, di formaggio misto dolce(tipo Emmental); 1 h. di ricotta; 2 h. di prosciutto cotto; 2 h. di salame; 1 h. di parmigiano grattato; 5 uova. Per la sfoglia: 100 g. di strutto; 500 g. di farina; 2 uova; 1 manciatino di sale. PREPARAZIONE: Tagliate a dadini il formaggio, il prosciutto e il salame, uniteli agli altri ingredienti e impastate bene, poi preparate la sfoglia con lo strutto, la farina, le uova e condite con il sale. Stendete la sfoglia su una teglia e lasciatene un po' per dopo, versate sopra il composto e coprite con la sfoglia che avete che avete messo da parte. Cuocete per un'ora circa.

Sara Natalini

Caro giornalino, chiedo ospitalità per rispondere all'articolo di Alfredo Machetti," Cose di ieri e di oggi" (apparso sul n.11). Innanzi tutto lo ringrazio di cuore delle lodi fattemi, però sono anche un pochino meravigliata che lui mi credesse persa tra i " bauscia e la nebbia padana" e che non tornassi più volentieri al Monte, come farebbero tanti montanini che lo apostrofano dicendo che questo è un paese di vecchi, che non c'è niente, è terra bruciata, ecc… Mi domando perché gente così, con quanto è grande il mondo, abbia l'intelligenza di venirci. Rispondo anche ad alcune sue osservazioni su cose che avevo scritto nel numero precedente. Le Fonti sicuramente non erano state scolpite da Michelangelo, ma valeva la pena conservarle per il loro valore storico-affettivo, senza farle diventare un sudiciumaio…. Ragazzi, i ricordi! Ma se non avessimo quelli come ci si addormenterebbe la sera? Riguardo al Natale con luci e alberi addobbati non incitavo al consumismo sfrenato e cittadino, cui fa riferimento Machetti. Dicevo semplicemente che siccome c'è stata una evoluzione dappertutto, sentire due turisti in piazza, in mezzo al buio quasi totale, chiedersi se fosse successo qualcosa, ti rendi subito conto che il, tra virgolette, progresso, dovrebbe essere arrivato anche al Monte. O no? E siccome è un paese di persone anziane è anche per loro che i giovani e soprattutto l'amministrazione comunale dovrebbe pensare a far vivere di più le vie, la piazza, i giardini. Stendo un velo pietoso per le vecchie pietre del "Borgo di sopra" e la loro sparizione… tanti sanno dove sono… Ringrazio anche il Machetti per la descrizione del mio matrimonio svoltosi appunto al Triano e gli chiedo. È meglio con la ruspa o a piedi? Gli aspetti negativi che secondo lui troverò tornando, sono la diminuzione della popolazione e il fatto che i montanini di ora io manco li conosco. Sbagliato, caro Dedo, io li conosco tutti, molti sono coetanei dei miei gemelli. Compatibilmente con l'età ci sono anche amica e qui devo fare un appunto a te e a molti altri come te, che non solo ci vengono poco, ma che non hanno fatto apprezzare il bello che offre il Monte ai loro figli. E poi si lamentano che ci vengono malvolentieri. I miei ragazzi, e ne sono fiera, la mia grande nipote, ogni volta che hanno un po' di tempo corrono tra queste vecchie mura, calde, ricche di storia, con panorami mozzafiato. Anche loro, come me, i veri amici li hanno qui. Quando tornerò e avrò la fortuna di essere accettata da loro, vista l'età, collaborerò più che volentieri e sarò, con un po' di forze in meno, quella di prima, per amicizia e per l'amore che nutro per il paese. L'ultima cosa è che ti consiglio di venirci più spesso perché per ingrandire la mia casa, mi basta fare un buco nel muro e sono già nella tua…..occhio Dedo !!!

Giuse

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Periodico registrato nel registro stampa presso il Tribunale di Montepulciano con prot. N° 285 del 01/12/2000