Accademia dei Lincei riminesi

5. Lincei, con l'Indice puntato
Iano Planco «proibito» per una difesa dei comici

Nei Lincei riminesi fra 1745 e 1755 furono presentate 31 dissertazioni. Fra le quattro di Scienza e le nove di Medicina, ben sette sono di Planco. Le rimanenti 18 (di cui quattro di Bianchi) riguardano temi eruditi: la Storia religiosa (come le due sulla beata Chiara che Garampi invia da Roma), l'Antiquaria, la Musica e la Poesia. Nelle carte di Planco ci sono tracce di altre dissertazioni che non figurano ufficialmente, e di un'attività che arriva come minimo al 1761.

Fra i temi eruditi troviamo il «Rubicone degli antichi». Dopo che nel 1749 don Giovanni Paolo Giovenardi, parroco di San Vito ed ex allievo di Bianchi, ha fatto porre sulla sponda orientale del fiume Uso una lapide con parole ricavate da Plinio («Heic Italiae Finis Quondam Rubicon»), ne parlano lo stesso Giovenardi e Planco nel marzo 1750. Intanto a Roma i cesenati promuovono una lite giudiziaria (protrattasi sino al 4 maggio 1756) in difesa del loro Pisciatello contro Santarcangelo e don Giovenardi. In quei tribunali, scrive Giuseppe Garampi a Bianchi, girano dei «mozzorecchi» (avvocati disonesti) che ottengono di più che i «paraguanti» (la corruzione in denaro), ed aggiunge: «ma per questa strada non le consiglio giammai di camminare». La sentenza dà torto ai cesenati: un giudice civile non può pronunciarsi sopra «erudite disquisizioni».

Tra gli argomenti scientifici dei Lincei, quelli anatomici sono i più importanti. Bianchi sostiene che l'Anatomia «insieme con altri buoni studj, non è in quel grado avuta, che una tanta cosa si dovrebbe avere». Molti infatti la considerano «per una cosa schifosa, e semplicemente curiosa, e di niun'utile». Altri «strane opinioni d'essa hanno, che» offrono «un grandissimo argomento della Barbarie di quei, che le portano».

In genere nelle «altre Città minori», osserva Bianchi, questa disciplina è trascurata. Non così a Rimini, grazie al vescovo Davìa il quale all'inizio del secolo aveva chiamato in città il medico monsignor Leprotti, «celebre Notomista» che «moltissime sezioni di cadaveri Umani qui fece». Come abbiamo già visto, Leprotti fu maestro del giovane Planco. Dopo la contemporanea partenza di Davìa e Leprotti, nel 1726, Bianchi è ostacolato nelle sue ricerche anatomiche. Lo accusano di violare la Religione e gli ingiungono di chiedere licenza alla Curia romana per le sue dissezioni. Ad aiutare Planco nell'ottenere i necessari permessi, è Laura Bentivoglio, sua ex allieva.

Lo studio dell'Anatomia rovescia la metodica delle conoscenze: non si parte più dalle indicazioni teoriche consacrate dalla tradizione, ma con l'osservazione diretta si inizia un procedimento che descrive il rapporto di causa ed effetto, sulla scia dell'insegnamento di Marcello Malpighi (1628-94): «vi vogliono grandissime cognizioni per dirigere il metodo, copiosissima serie d'osservazioni per vedere la catena e il filo che unisce il tutto, una mente disappassionata con finezza di giudizio».

L'interesse che Bianchi nutre verso gli studi anatomici, lo porta in alcune sedute dei suoi Lincei a delinearne le caratteristiche secondo un sistema complesso e contradditorio, sostanzialmente inutile dopo l'insegnamento di Giambattista Morgagni (1682-1771) che Planco aveva fatto suo. Poche volte Bianchi usa il termine «Scienze», preferendogli quello di «Filosofia», accompagnato dagli attributi di «sperimentale» e «naturale». Con queste distinzioni, finisce per confondere le idee ai suoi ascoltatori: lo osservò il suo allievo Amaduzzi, sinceramente consapevole dei pregi e dei difetti del maestro, scrivendo che Bianchi nell'attività intellettuale «mancò d'un certo criterio». Non meno tenero l'altro scolaro Battarra il quale, come riferisce De Carolis, sentenzia che talora nelle questioni scientifiche «bonus dormitavit [Plancus]», secondo l'espressione oraziana dedicata ad Omero.

Nel pensiero planchiano, la Filosofia è qualcosa di diverso da ciò che dovrebbe essere (un'indagine che trovi in sé stessa gli strumenti con cui operare, e gli orizzonti entro cui muoversi). E finisce per essere «ancilla» delle Scienze mediche e naturali.

Ai Lincei, Planco spiega una volta che l'Anatomia va considerata «come il fondamento della Filosofia naturale, siccome lo è per certo della Medicina e della Cirurgia». In un altro testo egli pone a «fondamento della vera Medicina Prattica» la «Filosofia sperimentale». Questo pensiero di Bianchi deriva dal «galileismo malpighiano», secondo cui la «filosofia è il fondamento della medicina, senza la quale questa vacilla» (E. Raimondi).

La «Filosofia naturale» è la descrizione dei fatti, e quella «sperimentale» l'indagine sulle cause: esse si presentano in Bianchi come due realtà differenti, mentre il loro significato è lo stesso, avendo entrambe i caratteri della Scienza moderna che è allo stesso tempo osservazione della Natura ed esperimento. Ciò che Galileo ha unito, Bianchi divide. Con una formula approssimativa, si può dire che Planco è un «galileiano a metà». Inoltre, se fu un assiduo lettore di testi filosofici, egli mai approfondì i problemi teorici con un'analisi completa. Amaduzzi, polemizzando con l'antico maestro, insinuò che non aveva compreso le teorie di Newton.

Sul medico riminese, nella sua maturità, agiscono ancora i ricordi delle esperienze giovanili, documentabili attraverso pagine autobiografiche (inedite), in cui egli parla dell'attività svolta presso l'Accademia del vescovo Davìa, e dove usa come intercambiabili i termini di erudizione e di Filosofia. Bianchi non avverte che la «Filosofia sperimentale» vede nascere le grandi discipline della seconda rivoluzione scientifica.

Padre Giuseppe Merati nel 1759 scrive a Bianchi: «Non so se ne' tempi trasandati o ne' presenti vi sia stato, o viva anatomico, che abbia separati ed anatomizzati tanti cadaveri quanti ne ha incisi, e minutamente osservata ogni minutissima cosa Vostra Signoria Illustrissima. Credo che tutte le volte si sia posto all'opera abbia alzata la mente a Dio e ammirata la sua onnipotenza, come avvenne a me una volta nel leggere solamente un libro che trattava delle vene del nostro corpo».

La dissertazione più clamorosa presentata da Planco nella sua Accademia, è quella dell'11 febbraio 1752, «ultimo venerdì di carnovale». Dopo aver fatto esibire la bella cantante ed attrice romana Antonia Cavallucci, recita una dissertazione in difesa dell'«Arte comica» (che sarà elogiata da Voltaire), in cui si chiede: se la Chiesa permette la lettura delle commedie di Plauto e Terenzio, perché non permette anche la loro rappresentazione? Perché debbono essere considerati «infami» quei comici che «le rappresentano venalmente», mentre «diventano onesti quei che le rappresentano gratis»?

Il domenicano padre Daniele Concina ferma i torchi che lavorano ad un suo volume sul teatro, dove le attrici sono definite con termini poco cortesi, per aggiungervi un paragrafo dedicato all'«Arte comica», in cui accusa Bianchi di scrivere da pazzo. Il teatino padre Paolo Paciaudi definisce la Cavallucci un'«infame sgualdrina» e «cortigiana svergognata». Cantanti ed attrici godevano di cattiva fama, indipendentemente dalla moralità personale, per appartenere ad una categoria considerata infima.

In città nasce un pubblico scandalo. La Cavallucci è costretta da Planco ad andarsene in tutta fretta da Rimini. Verso Roma, come scrive a Bianchi un suo corrispondente, contro Bianchi partono «illustrissime, e reverendissime insolenze» le quali provocano presso il Sant'Uffizio l'apertura d'un processo, conclusosi il 4 luglio 1752 con la rapida ed «improvvisa» (la definizione è di Giuseppe Garampi) condanna all'«Indice» dell'«Arte comica».

Anche Amaduzzi credette ad una cotta di Bianchi per la Cavallucci. Ma si sbagliava. Planco ricorda il modo in cui fece conoscenza della giovane: un marchese forestiero aveva affidato la giovane alla protezione d'un cavaliere riminese il quale però mancò alla parola data. Abbandonata dal cavaliere, e senza poter più ricorrere al marchese morto nel frattempo, Antonia è confortata da Bianchi. La ragazza gli chiede poi «una difesa sopra» il suo matrimonio da «imparare a memoria» e recitare davanti ad un giudice, per ottenere una pronuncia contro le violenze del marito. Infine, bussa ad aiuti economici, ridotta in miseria e con la madre a carico, invocando la bontà di Bianchi chiamato nelle sue lettere «caro papà» e «mio Padre», con un affetto d'altro tipo rispetto a quello immaginato da molti.

Il vecchio amico papa Lambertini accetta la supplica di Bianchi a veder stampato nell'«Index Librorum Prohibitorum» soltanto il titolo del «Discorso in lode dell'Arte Comica» senza il nome dell'autore. Come sempre, una buona protezione sistema tutto. Planco, scienziato sospetto per le sue idee e scrittore condannato, sarà sepolto con tutti gli onori nella chiesa di Sant'Agostino.

Per altre notizie: http://digilander.libero.it/ianoplanco.

Antonio Montanari

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