il Rimino - Riministoria
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Scheda 1. La città di Rimini post-malatestiana
La tomba riminese di Vanzi, rimasta vuota essendo egli stato sepolto nella Cappella del Corporale della cattedrale di Orvieto, è preceduta dalle quattro "malatestiane", ovvero con le salme di personaggi legati al governo di Sigismondo: i poeti Basinio Parmense e Giusto de' Conti, il filosofo greco Giorgio Gemisto Pletone, e Roberto Valturio autore del trattato «De re militari» (1455). La tomba di Vanzi si trova tra la quinta (1550) concessa per due medici di casa Arnolfi, e la settima (1581) di Bartolomeo Traffichetti, pure lui medico, originario di Bertinoro.
Queste ultime tombe simboleggiano i tempi nuovi in cui si vogliono dimenticare le vicende malatestiane, considerate fonti soltanto di disgrazie per la città tutta. Valturio nel suo testamento (1475) lascia alla Biblioteca malatestiana del vicino convento di San Francesco di Rimini, tutti i testi che possedeva, «ad usum studentium et aliorum fratrum et hominum civitatis Arimini», con la clausola che i frati facciano edificare «unan aliam liberariam in solario desuper actam ad dictum usum liberarie». Ciò avviene nel 1490 come ricorda la pietra conservata al Museo civico di Rimini, il cui testo è: «Principe Pandulpho. Malatestae sanguine cretus, dum Galaotus erat spes patriaeque pater. Divi eloqui interpres, Baiote Ioannes, summa tua cura sita hoc biblioteca loco. 1490» [«Sotto il principato di Pandolfo. Mentre Galeotto, nato dal sangue di Malatesta, era speranza e padre della Patria. Per tua somma cura, Giovanni Baioti teologo, la biblioteca è stata posta in questo luogo. 1490»]. Valturio forse è stato ispirato dal dono fatto da Basilio (Giovanni) Bessarione a Venezia della sua biblioteca (1468), esaltando la funzione dei libri che vivono, conversano e ragionano con noi. Giovanni Baiotti da Lugo, frate francescano, è teologo e guardiano del convento di San Francesco. Pandolfo IV, 1475-1534, è figlio di Roberto Novello (1442-1482), a sua volta figlio di Sigismondo (1417-1468). Roberto muore combattendo al servizio della Chiesa. Con lui era Raimondo Malatesti (figlio di Almerico Malatesta e di Amabilia Castracani) che reca a Rimini la notizia della morte del signore della città. Galeotto [Galeotto II Lodovico], figlio di Almerico Malatesta e quindi fratello di Raimondo, è tutore di Pandolfo e governatore di Rimini. Raimondo Malatesti il 6 marzo 1492 è ucciso dai nipoti Pandolfo e Gaspare, figli del fratello Galeotto II Lodovico. Il delitto è considerato dalla storico Clementini (II, pp. 577-582) all'origine di tutti i mali che affliggono poi Rimini, ovvero «il precipizio de' cittadini e l'esterminio de signori» Malatesti e della loro casa. Il 31 luglio 1492 Pandolfo e Gaspare, gli uccisori dello zio Raimondo, sono utilizzati dal padre Galeotto II Lodovico per una congiura contro lo stesso Pandolfo IV e la sua famiglia.
A mandarla all'aria evitando una strage, ci pensa Violante Aldobrandini, seconda moglie dello stesso Galeotto Lodovico e sorella di Elisabetta, madre di Pandolfo IV. In casa di Elisabetta era stato ucciso Raimondo Malatesti. Nella stessa abitazione di Elisabetta è ammazzato Galeotto Lodovico, mentre suo figlio Pandolfo è tolto di mezzo in casa del signore di Rimini Pandolfo IV. Gaspare invece è arrestato, processato sommariamente e decapitato. Due mesi e mezzo dopo la congiura fallita e la morte dei suoi ideatori, Violante convola a nuove nozze. Violante è la matrigna di Gaspare e Pandolfo, figli della prima moglie di Galeotto Lodovico. Pandolfo di Galeotto Lodovico a sua volta ebbe quattro figli (Carlo, Malatesta, Raffaella, Laura) perdonati da Pandolfo IV, a testimonianza della sua volontà di pacificazione all'interno della famiglia e della città. Dal 1492 per circa un secolo, gli omicidi politici che abbiamo registrato, continuano a far correre sangue. Per questo motivo, le vicende malatestiane saranno lette soltanto come fonte di disgrazie per Rimini.
Il 10 ottobre 1500 Pandolfo IV se ne va da Rimini che passa in potere del duca Valentino. Le campagne riminesi sono inquiete, come testimoniano servizi segreti e politici della Serenissima (nel marzo 1497 «a Rimano morivano di fame», ricorda il veneziano Sanudo). Nel 1503 dal 2 ottobre al 24 novembre Pandolfo è di nuovo signore di Rimini, ma sotto il governo veneziano. Il 16 dicembre Pandolfaccio cede la città alla Serenissima. Il 26 maggio 1509 Rimini torna allo Stato della Chiesa, dopo la sconfitta di Venezia, il 14 maggio da parte della lega di Cambrai. Un clima da guerra civile si registra nel 1513, per colpa della nobiltà che resta «provinciale, presenzialista e spiantata, preoccupata solo di salvare le apparenze e gettare fumo negli occhi. Con esiti disastrosi per le finanze pubbliche», come leggiamo sul web in una nota gambalunghiana a proposito del XVII sec., non firmata ma certamente uscita dalla penna arguta di Piero Meldini. Meldini, facendo in volume la storia della secentesca Biblioteca Gambalunga riporta l'«eloquente e malizioso» ritratto del «tronfio quanto spiantato ceto patrizio locale» composto nel 1660 dal bolognese Angelo Ranuzzi, referendario apostolico e governatore di Rimini: «Vi sono molte famiglie antiche e nobili che fanno risplendere la Città, trattandosi i Gentiluomini con decoro et honorevolezza, con vestire lindamente, far vistose livree et usar nobili carrozze: nel che tale è la premura et il concetto fra di loro, che si privano talvolta de' propri stabili, né si dolgono di avere le borse essauste di denari per soddisfare a così fatte apparenze». Ranuzzi è forse guidato soltanto da un suo privato livore verso quanti reggevano la cosa pubblica, piuttosto che dal desiderio di recare un contributo alla comprensione di una società in crisi tremenda anche per colpa della politica romana.
Tra cronaca e politica Questi accenni alla vita pubblica della Rimini fra i secoli XVI e XVII, sono una genealogia dei fatti politici sui quali deve misurarsi anche la storia della cultura che, soprattutto per il Cinquecento, non presenta eventi di particolare spessore. Per la Rimini di questo periodo valgono le osservazioni di Ezio Raimondi a proposito del Quattrocento bolognese: c'è una crisi interna determinata da punti di debolezza e di inefficienza, ma c'è pure «uno stato di cose assai più largo e complesso, che nessuno può evitare». Il contesto della città è quello ereditato dalle feconda stagione del Rinascimento che costituisce una sorta di diagonale europea, un percorso geografico e culturale che «sembra intrecciare le corti francesi, Milano, Mantova, Parma» e poi «Bologna, Ravenna e la Romagna in direttrice con lo Stato della Chiesa, con Roma» (Raimondi). Scendendo da Bologna «ci imbattiamo in una folta rete di piccoli e grandi potentati, riottosi alla sottomissione pontificia ed al tempo stesso però gravitanti nell'orbita culturale di Roma», mentre la stessa Urbino «esercita ugualmente un significativo campo di tensione verso la Romagna» (Raimondi). Già da allora Rimini, come del testo l'intera Romagna, è «del tutto inserita nel grande asse che da Bologna conduce a Roma» in quella fase del «Rinascimento padano» che è una «mappa complessa» da collocare nella diagonale europea di cui si è letto.
Le tombe malatestiane Torniamo a Valturio. Nel «De re militari» (XII, 13) leggiamo dei «moltissimi volumi di libri sacri e profani, e di tutte le migliori discipline» donati da Sigismondo alla stessa Biblioteca di San Francesco: sono testi latini, greci, ebraici, caldei ed arabi che restano quali tracce del progetto di Sigismondo per diffondere una conoscenza aperta all'ascolto di tutte le voci, da Aristotele a Cicerone, da Aulo Gellio al Lucrezio del «De rerum natura», da Seneca a sant'Agostino, sino a Diogene Laerzio ed alle sue «Vitae» degli antichi filosofi. L'ospite più inquietante delle tombe malatestiane del Tempio pure ai tempi di Vanzi, resta quel Pletone che era stato presente al Concilio di Firenze. E che il cardinal Bessarione pianse come uomo la cui fama sarebbe durata perennemente. Sigismondo ne porta la salma a Rimini dopo l'amara impresa militare in Morea tra giugno 1464 e marzo 1466 al soldo di Venezia, che sigilla in un cerchio perfetto le storie di un condottiero entro quelle della stessa Chiesa di Roma. Sigismondo il 27 aprile 1462 è stato scomunicato da Pio II e colpito da interdetto. Nel 1463 Bessarione ha sollecitato Venezia per una guerra contro gli infedeli. Arcivescovo di Nicea e tra l'altro riformatore dell'Università di Bologna, Bessarione «esprime forse meglio di ogni altro non solo l'ansia conciliatrice che fu allora di molti, e un programma di pace religiosa e di incontro, ma lo sforzo di salvare e far vivere nel mondo occidentale l'eredità della cultura greca» (p. 65, «Storia della Letteratura italiana», III, Garzanti).
Costantinopoli è caduta in mano a Maometto II martedì 29 maggio 1453. Nel dicembre 1463 Sigismondo si è pacificato con il papa proprio in vista di questa spedizione che ha lo scopo di occupare il trono di Bisanzio, prima di mettersi al servizio di Venezia il 17 marzo 1464. L'incarico per la Morea, secondo Luigi Tonini (V, 1, p. 301), gli è affidato dallo stesso papa Pio II «che lo aveva più depresso». Un altro pontefice aveva collaborato con un altro Malatesti all'epoca del Concilio di Costanza, allo scopo di unire le due Chiese separate dallo scisma d'Oriente del 1054. Carlo Malatesti (1368-1429) di Rimini vi interviene quale procuratore speciale di Gregorio XII «ad sacram unionem perficendam». Domenica 16 giugno 1415 Carlo si presenta all'imperatore, «significandogli la propria missione, e come fosse diretto a lui, non al Concilio, che Papa Gregorio non riconosceva» (L. Tonini, «Papa Gregorio XII e Carlo Malatesti, o sia la cessazione dello Scisma durato mezzo secolo nella Chiesa di Roma», SC-Ms. 1344, BGR, c. 111r). Ed incontra pure Manuele II imperatore d'Oriente. Gregorio XII, eletto nel 1405, si era rifugiato a Rimini il 3 novembre 1408 mentre si preparava il concilio di Pisa e dopo che Carlo Malatesti (1368-1429), signore di Rimini, lo aveva salvato da un tentativo di cattura. Carlo, per contattare il collegio cardinalizio, ha utilizzato Malatesta I (1366-1429), signore di Pesaro, che in precedenza si era offerto a Gregorio XII per una missione diplomatica presso il re di Francia, inseritosi nelle dispute ecclesiastiche per interessi personali. Carlo fu a Pisa come mediatore fra Gregorio XII ed i padri conciliari, ma in sostanza quale suo difensore. Il 28 giugno 1410 l'antipapa Giovanni XXIII ha ricompensa Malatesta I dei danni subiti e delle spese fatte nei servizi ampi e fruttuosi prestati alla Chiesa durante il concilio di Pisa, «circa extirpationem detestabilis scismatis et consecutionem desideratissime unionis». E gli ha attribuito «vita durante» la somma di seimila fiorini all'anno, cifra significativa se paragonata ai 1.200 del censo. A Costanza il riavvicinamento fra Roma e Costantinopoli porta alle nozze del 19 gennaio 1421 tra Cleofe Malatesti e Teodoro Paleologo (1396-1448), despota di Morea e figlio di Manuele II (1350-1425). Lei finisce «probabilmente assassinata» (cfr. S. Ronchey, L'enigma di Piero, Milano, 2006, p. 44). Se è suo il corpo esaminato a Ginevra al Musèe d'Art et d'Histoire «con analisi molto sofisticate» (che lo attribuiscono ad «una giovane aristocratica occidentale, per la precisione un'italiana», eventualmente adriatica), resta il mistero di un particolare autoptico: «una perforazione all'altezza del cuore, la cui natura non è certa» (Ronchey, pp. 201-202). Per Ronchey, la morte di Cloefe ha «poche probabilità di essere stata accidentale», e che sarebbe dovuta alla «longa manus» romana (Ronchey, p. 376).
Per «cancellare» la storia di Cleofe, bastano le fiamme che nel 1462 distruggono a Rimini gran parte dell'archivio malatestiano (poi spogliato delle carte superstiti su iniziativa pontificia fra 1511 e 1520); ed a Pesaro il 15 dicembre 1514 la biblioteca ed i documenti della famiglia della sposa bizantina, dopo che nel 1432 (cacciata dei Malatesti) e nel 1503 (cacciata di Giovanni Sforza) il popolo vi aveva distrutto le scritture pubbliche. In quelle fiamme scompaiono le tracce che potevano portare a coinvolgere Roma nel sacrificio di una giovane innocente. Sopravvivono soltanto le memorie orientali come la cronaca veneto-moreota ed il «Chronicon minus» di Giorgio Sfrantzes (1401-78), contenente la storia della famiglia dei Paleologi fra 1258 e 1476, oltre alle orazioni funebri di Bessarione e Pletone. E resta la leggenda del ritorno in patria di Cleofe: forse accreditata dagli stessi Malatesti per nascondere la sconfitta politica subìta, o forse diffusa a Roma.
Prospettive umanistiche A Costanza si trova pure l'arcidiacono bolognese nominato nel 1413 amministratore loco episcopi della diocesi di Brescia, Pandolfo figlio di Malatesta I e fratello di Cleofe, che nel 1417 sarà presente nel conclave da cui esce eletto Martino V, e che nel 1424 sarà inviato come arcivescovo alla diocesi di Patrasso che dipendeva da Costantinopoli. Brescia era governata da Pandolfo III di Rimini, fratello di Carlo. Nella stessa direzione conciliare e culturale progettata a Costanza, opera Basilio (Giovanni) Bessarione, dotto traduttore di Aristotele e profondo studioso di Platone. Pletone, predicando l'imminente fine delle tre religioni in nome di antiche verità, rasenta l'eresia. A Bessarione nessuno rimprovera il tentativo di creare una base comune per unificare la Chiesa greca e quella romana. Invece grandina sul capo di Sigismondo che, portando il corpo di Pletone a Rimini, compie soltanto un gesto politico per rendere omaggio all'unità culturale del Mediterraneo. E l'uomo nuovo Vanzi, nato in una famiglia non nobile della periferia riminese, forse in un contesto di proprietari fondiari immigrati già da qualche generazione dalla Toscana, rappresenta alla perfezione lo spirito malatestiano. (Così ne scrive lo Spreti, VI vol.: «Antica famiglia originaria da Scorticata. Francesco, figlio di Gaspare, detto anche Avanzi, andò ad abitare nel 1505 in S. Clemente, territorio del comune di S. Arcangelo ed ivi sposò Bernardina Bellino. Morì nel 1544 lasciando vari figli, fra i quali Lodovico e Sebastiano. Quest'ultimo si diede alla carriera ecclesiastica che percorse brillantemente».) Potremmo sintetizzare questo spirito in due brevi formule: una vocazione internazionale ed un sistema politico che non si risolve nella sola gestione del potere civile, ma si eleva a considerare la cultura il vero grande progetto umanistico da realizzare.
La vocazione internazionale per gli antenati dei signori di Rimini risale ai tempi del Petrarca. Pandolfo II, nonno di Cleofe, nel 1357 è a Praga ed a Londra come inviato del papa. Egli è un uomo politico la cui famiglia ha appena fatto pace con la Chiesa (8 luglio 1355), soddisfatta anche per gli insuccessi viscontei del 1356 (perdita di Bologna, Pavia, Novara, Genova, Asti e d'altri possedimenti piemontesi). L'accordo con i Malatesti è per la Chiesa una prova generale di quanto poi avviene nell'intero territorio del suo Stato._ La missione europea di Pandolfo è parte di un progetto ecclesiastico che culmina nello stesso 1357 con le "Costituzioni" promulgate da Albornoz per sistemare una volta per tutte le questioni politiche nelle terre dello Stato della Chiesa, con un stabile ordinamento giuridico ed amministrativo.
La fortuna di Vanzi in Europa La stessa Chiesa partecipa a questo progetto umanistico, come vediamo proprio con Vanzi: studioso di quel Diritto che sembra venir sempre eclissato dalle vicende politiche nazionali ed internazionali, riassumibili nel sacco di Roma del 1527 o nella vittoria di Lepanto del 1571, con in mezzo le guerre di Religione in Francia che terminano soltanto nel 1598. La fortuna che arride al lavoro di Vanzi, come si è visto, apparso nel 1552 in Francia a Lione, ed al suo autore, è documentabile non soltanto attraverso le tre edizioni (1552, 1560, 1566) per complessive 27 stampe che esso ebbe tra sino al 1717, ma anche da giudizi di studiosi a noi contemporanei. (Sul tema, cfr. la scheda n. 2.)
Nota bibliografica. Le citazioni da Ezio Raimondi riprendono testi da «I sentieri del lettore, 1», p. 207, e dal vol. II, 1 di «Storia e Geografia, Storia della Letteratura» Einaudi, pp. 522, 545-546.
All'indice di Controstorie Alle pagine sui Vanzi Antonio Montanari All'home page Per informazioni scrivere qui.
/1507/Riministoria-il Rimino/antonio montanari nozzoli/Date created: 25.09.2011 - Last Update: 25.09.2011, 10:29 - "Riministoria" e' un sito amatoriale, non un prodotto editoriale. Tutto il materiale in esso contenuto, compreso "il Rimino", e' da intendersi quale "copia pro manuscripto". Quindi esso non rientra nella legge 7.3.2001, n. 62, "Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5.8.1981, n. 416", pubblicata nella Gazzetta Ufficialen. 67 del 21.3.2001. |
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