L'Europa dei Malatesti
Introduzione
Queste pagine sono dedicate a due temi fondamentali nella storia dei Malatesti: l'origine della famiglia ed il ruolo diplomatico svolto al servizio della Chiesa. Prima tra Avignone, Praga, Londra (1357), e poi ai concili di Pisa (1410) e Costanza (1415). Proprio a Costanza papa Martino V decide le tragiche nozze bizantine di Cleofe di Pesaro (1421) con Teodoro, figlio dell'imperatore Manuele II.
Abbiamo cercato di seguire il canone della «complessità irriducibile a tradizionali formule di comodo», enunciato da Ezio Raimondi in sede letteraria per ridisegnare «una geografia nuova» del nostro Rinascimento [1]. È un'esigenza che ci sembra utile avvertire pure negli studi storici. Nei quali può essere valido il modello gnoseologico gaddiano «di una maglia o rete» a dimensioni infinite, da sostituire a quella della catena dei fatti [2]. La «coscienza della complessità» (che incontriamo anche in Gadda [3]), applicata alle vicende malatestiane, ci porta a privilegiare l'analisi del contesto internazionale, spesso apparso secondario o marginale nel nudo e muto sommario degli eventi «locali» [4].

L'atlante ideologico dantesco

Una «geografia nuova» della Storia richiede la sintesi tra Politica (ovvero gli eventi) e Letteratura, intesa quale loro narrazione ed interpretazione destinate a variare secondo i luoghi [5]. Avverte Karl Schlögel: «In genere la storiografia segue il tempo, il suo modello fondamentale è la cronaca, la successione temporale degli eventi»: ma la storia umana è «sforzo incessante di controllare lo spazio», per cui, come sosteneva Friedrick Ratzel, «nello spazio leggiamo il tempo» [6]. Non per nulla Helmar Holestein ha costruito un Atlante di filosofia allo scopo di documentare che, al pari delle navi commerciali, anche il pensiero umano viaggia con un suo carico altrettanto prezioso [7]. Ogni atlante inoltre dimostra che non vi è «assolutamente posto per nessuna metafora», e che quindi occorre mirare alle cose per comprendere l'essenza della realtà, non alle interpretazioni che se ne danno [8]. L'esempio di geografia della Storia che fa al caso nostro, è una celebre pagina dantesca dal canto XXVII dell'Inferno, con Guido di Montefeltro, il ghibellino scomunicato e poi fattosi frate francescano, dannato tra i politici fraudolenti.
In essa c'è il doloroso ed illuminante richiamo alle vicende di Romagna mediante un catalogo dei suoi tiranni. Nei quali (come ha osservato Augusto Vasina [9]) possiamo intravedere il prodotto della medesima crisi che Dante ha vissuto a Firenze. Guido interroga il poeta «se Romagnuoli han pace o guerra», e giustifica la sua domanda con un appunto didascalico: «io fui d'i monti là intra Orbino / e 'l giogo di che Tever si disserra» (vv. 29-30). La celebre risposta di Dante è una sentenza che pare non ammettere appello: «Romagna tua non è, e non fu mai, / sanza guerra ne' cuor de' suoi tiranni», anche se «nessuna or vi lasciai» (vv. 37-39).
Nell'atlante ideologico dantesco, le simpatie personali dell'autore generano sia la condanna politica (dopo i tiranni tocca ai «Romagnuoli tornati in bastardi!», Pg., XIV, v. 99), sia la descrizione allegorica. Nel passo di Inf. XXVII introdotto dalla domanda di Guido da Montefeltro (vv. 36-57), si offre al lettore una mappa di città e personaggi, al cui centro geometrico stanno proprio il Mastin vecchio ed il Mastin nuovo «che fecer di Montagna il mal governo» (vv. 46-47). Essi raffigurano la sintesi della crudeltà dei signori di Romagna (a loro volta simbolo e sintomo di un più vasto quadro nazionale), che Dante passa in rassegna. Principia da Ravenna, prosegue con Forlì e Rimini (indirettamente ricordata attraverso Verucchio, quale patria dei Malatesti), e termina con Imola, Faenza e Cesena. Il Mastin «novo» riceve l'onore di essere presentato pure tra i seminatori di discordie, come «tiranno fello» e «traditore» (Inf., XXVIII, vv. 81, 85).
Dunque, parlando della Romagna Dante nomina Verucchio e tralascia Rimini. Allo stesso modo Rimini non è citata quando si racconta nel quinto canto dell'Inferno la vicenda di Francesca. Sulla quale il poeta non dice nulla, anche perché (sostiene il filologo Guglielmo Gorni) «quei fatti sanguinosi sono ignorati dalle cronache contemporanee», ed appaiono come invenzione di Dante. Il poeta «aveva dovuto conoscere Paolo» nel 1282 a Firenze quando il Malatesti vi era stato inviato a marzo da papa Martino IV quale Capitano del Popolo e Conservatore della Pace [10]. Il primo febbraio 1283 Paolo aveva rinunciato all'incarico [11]. Alla Romagna, come abbiamo visto, Dante ritorna nel secondo regno per rimpiangere la società cortese, richiamata citando «le donne e' cavalier, li affanni e li agi» che invogliavano «amore e cortesia / là dove i cuor son fatti sì malvagi» (Pg., XIV, 109-111). Il passo incarna una visione letteraria che ha fatto acutamente osservare: «Il valore di pagine come questa dedicata alla Romagna è più poetico che storico» [12].
Per restare invece alle vicende reali, dopo la citazione di Verucchio fatta da Dante occorre introdurre quella di un suo illustre commentatore, Benvenuto da Imola che scrive [13] verso la fine del secolo XIV. Benvenuto sovverte tutta la genesi malatestiana, costruendo un itinerario inedito quando pone le origini della illustre famiglia “riminese” nella «Penna Billorum». Benvenuto appare un lettore diverso da quello a cui si rivolgeva Dante. Per comprendere questa differenza, è fondamentale una pagina di Ezio Raimondi. Pur trattando di tutt'altro argomento [14], essa fornisce una definizione di «Libro» che rimanda proprio ai tempi dell'Alighieri. Quando ogni opera si presentava come «mappa di significati simbolici definiti in anticipo». Successivamente il lettore si distacca da essi, vedendo nel «Libro» una «mappa geografica», una «totalità aperta». Proprio già con Benvenuto che commenta la Comedia, succede questo.


NOTE
[1] Ezio Raimondi è detto coautore, ma soprattutto direttore del lavoro sfociato nel cap. firmato assieme a G. M. ANSELMI e L. AVELLINI su Il Rinascimento padano, in Letteratura italiana. Storia e geografia, II. 1. L'età moderna, Torino 1988, pp. 521-522.
[2] Per questo modello gnoseologico cfr. Meditazioni milanesi di Gadda, citt. in M. PORRO, Letteratura come filosofia naturale, Milano 2009, p. 161. Sul tema, cfr. il nostro saggio Il fantasma di Voltaire, in Per Liliano Faenza, Rimini 2010, pp. 177-190, 189.
[3] Il titolo del cap. dedicato a Gadda in PORRO, cit., p. 159 contiene l'espressione «coscienza della complessità».
[4] Il problema, ad esempio, è già stato posto da Anna FALCIONI a proposito di Carlo Malatesti nella presentazione del ricco volume a lui dedicato nel 2001 (La Signoria di Carlo Malatesti, XII della «Storia delle Signorie dei Malatesti» a cura del Centro Studi Malatestiani di Rimini fondato dall'editore Bruno Ghigi), pp. 31-45. Falcioni osserva che lo sviluppo in ambito locale fra XVII e XVIII sec. di «una storiografia erudita di carattere biografico-dinastico» ha impedito uno sguardo più ampio per comprendere le vicende della Signoria (p. 34). Un esempio d'indagine maggiormente estesa, in riferimento al territorio italiano ed alle connessioni internazionali per l'esperienza al concilio di Costanza, è nell'ampio saggio di Franco FOSCHI intitolato Carlo Malatesti e Gregorio XII, pp. 201-261.
[5] M. FERRARIS, Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce, Bari 2009, p. 281, ricorda che gli «atti sociali» che possiamo analizzare attraverso i documenti «mutano nella storia e nella geografia».
[6] K. SCHLÖGEL, Leggere il tempo nello spazio. Saggi di storia e geopolitica, Milano 2009, pp. 1-2.
[7] H. HOLENSTEIN, Atlante di filosofia, Torino 2009.
[8] Cfr. l'introduzione al testo di HOLENSTEIN, Atlante di filosofia, a cura di F. FARINELLI, Filosofia dell'atlante, p. IX, dove si cita un passo del Tractatus di Wittgenstein che torna utile al nostro discorso: su ogni mappa «il nome significa l'oggetto. L'oggetto è il suo significato».
[9] A. VASINA, Dante e la Romagna, in Romagna medievale, Ravenna 1970, p. 30: l'esperienza di esule «bastava di certo a farlo avvertito che non solo nelle contrade di Romagna esistevano torbidi e lotte intestine, ma anche e prima, forse, che altrove nella sua Firenze, e pure in quasi tutti i centri della nostra penisola». Su Dante e la Romagna cfr. A. MONTANARI, Esilio di fiorentini in Romagna nell'età di Dante, «Quaderni Accademia Fanestre», 8/2009, Fano [2010], pp. 83 -134. Ne riprendiamo alcuni punti in questa sede.
[10] G. GORNI, Dante. Storia di un visionario, Bari 2008, pp. 246-247. La prima notizia in tal senso è in F. TORRACA, Il canto V dell'Inferno, «Nuova Antologia» 184, Roma 1 e 16.VII.1902, p. 433. Martino IV era stato eletto l'anno prima nel conclave di Viterbo durato sei mesi.
[11] Egli giustifica la scelta con i negozi famigliari da curare. Alla base della sua decisione c'è forse il contrasto nato tra il suo ufficio e quello con analoghi poteri del nuovo Difensore delle Arti, istituito sul finire del 1282.
[12] D. ALIGHIERI, La divina commedia, Purgatorio, note a c. di T. DI SALVO, Bologna 1985, p. 247.
[13] Il suo Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam è disponibile sul web in «Biblioteca Italiana», 2005.
[14] E. RAIMONDI, La passione per il possibile: dal Libro all'Enciclopedia, in Ma questa è un'altra storia, a cura di V. CICALA e V. FERORELLI, Bologna 2008, pp. 105-113, 109.

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Antonio Montanari

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