Riministoria
© Antonio MontanariGLI IRREQUIETI VANZI
Articolo redatto probabilmente da Piero Meldini, e presente nel sito ufficiale della Biblioteca Gambalunghiana di Rimini.
Lo riproduco integralmente, riservandomi di controllare le fonti, per verificare la validità dei giudizi espressi dai cronisti settecenteschi sopra questi miei antenati.
Infatti, la mia bisnonna dal lato materno era una Maddalena Vanzi.
La genealogia della mia famiglia su può vedere cliccando qui alla
pagina Vanzi-Nozzoli. 10 febbraio 2001.P. S. Avverto che la genealogia è stata da me compilata nel 1996, quindi erano ancora vivi Maddalena Nozzoli, mia madre (scomparsa nel 1998) e Guido Nozzoli, mio zio (deceduto nel 2000). Su Guido Nozzoli, vai alle
pagine a lui dedicate.
Furono, i Vanzi, una solida ed elevata famiglia riminese. Il loro palazzo sorgeva in pieno centro, a un passo dalla chiesa di Sant'Agostino. Sebastiano Vanzi, morto sessantaduenne nel 1571, fu un giurista famoso, che diede prove brillanti della sua dottrina e del suo ingegno durante il concilio di Trento. Fu vescovo di Orvieto e protettore degli studi. Nella Cappella di San Girolamo del Tempio Malatestiano se ne può ammirare il busto che i concittadini, riconoscenti, vollero erigergli. Per gratitudine nei suoi confronti, fu anche concessa la nobiltà alla sua famiglia, che continuò ad esprimere altri personaggi di qualche rilievo: Angelo Vanzi, morto nel 1648, fu priore degli Eremitani, fine letterato e uomo dottissimo; un Ignazio Vanzi fu bibliotecario della Gambalunghiana dal 1711 al 1715.
Col passare degli anni, i Vanzi divennero irrequieti. Si sa che anche nelle migliori famiglie può nascere qualche pecora nera, ma i Vanzi, dalla fine del Settecento in poi, ne allevarono un intero gregge. Il primo a svicolare fu Ignazio Vanzi (da non confondere col bibliotecario: i nomi, nelle vecchie famiglie, vengono continuamente rinnovati). Costui, nell'agosto del 1785, fu arrestato e scortato a Ravenna, davanti al Legato, per aver accompagnato a Bologna una ballerina. Anche se il nostro era "felicemente" coniugato, non sembra un delitto imperdonabile. Ci è invece del tutto sconosciuta la ragione per cui lo stesso, nel giugno del 1793, fu tradotto in ceppi nel poco confortevole forte di San Leo, riservato ai colpevoli di reati gravi. E' poco probabile che si sia trattato di un altro colpo di fulmine.
Altrettanto vivace e impetuosa fu, negli stessi anni, Teresa Vanzi, che nel luglio del 1787 scappò di casa per sposare un tale di Foligno, probabilmente di più modesta condizione (tant'è che il suo nome non ci è stato tramandato). Che qualche giorno dopo, effettivamente, la impalmerà. Con la benedizione più o meno convinta del parentado. Anche Anna Vanzi, nell'ottobre del 1819, si sposerà in gran segreto. Questa volta per l'opposizione - incomprensibile - della famiglia del promesso sposo, Arrigone Agli. Il prode Arrigone, per inciso, era stato per anni "amico affettuoso" di Elena Tiepolo, moglie separata di Lorenzo Garampi, morta prematuramente nel 1816. Il matrimonio tra Arrigone e Anna verrà "ufficializzato" nel gennaio del 1820.
Nel giugno del 1817 registriamo la lite furibonda - a suon di pugni, colpi di bastone e sassate - tra Giovanni e Sebastiano, figli di Ignazio Vanzi, e il cugino Giovanni, figlio di Giorgio Vanzi. La rissa, scoppiata nella centrale Via Maestra (l'odierno corso d'Augusto), fu sedata a fatica dalla forza pubblica. Giovanni di Giorgio, giudicato un attaccabrighe dal cronista Filippo Giangi, morirà ventenne poco più di un anno dopo (18 agosto 1818), per i postumi di una feroce bastonatura inflittagli da un mugnaio infuriato.
Altro scavezzacollo della movimentata dinastia fu Francesco Vanzi, fratello del defunto Giovanni. Costui, ammogliato con una signora "civile e savia" e padre di svariati figli adulti, intratteneva "una sconveniente pratica" (racconta Giangi) "con una donna che era sua serva". L'incauta relazione gli era già costata alcuni severi richiami dell'occhiuta e invadente gendarmeria pontificia. Nel giugno del 1831, sorpreso ad uscire nottetempo dalla casa dell'amante, reagì vivacemente alle domande indiscrete degli sbirri. Che lo arrestarono sui due piedi e lo misero al fresco.
La disavventura non lo persuase a troncare la storia. Per un po', forse, si sforzò di salvare le apparenze, anche perché il nuovo vescovo, Francesco Gentilini, era rigidissimo in materia (si pensi che aveva fondato un istituto per redimere le donne di malaffare, finanziato con le multe appioppate ai preti libertini). Ma nell'ottobre del 1833 il nostro ruppe i freni. Involati alla sfortunata moglie settanta scudi sonanti (sostituiti destramente con una manciata di vili baiocchi), Francesco Vanzi - sulle orme dello zio Ignazio - fuggì a Bologna con la sua bella, spacciandola colà per la "contessa Giannini". Probabilmente la sedicente aristocratica avrà fatto sorgere qualche sospetto. Fatto sta che i due furono arrestati e tradotti a Rimini su una carretta, come volgari galeotti. Qui furono incarcerati, lui nella rocca malatestiana e lei nella prigione vescovile. Poi si perdono, di entrambi, le tracce. Dopo il colpo di testa (testa che gli sarà stata risciacquata a dovere), Francesco sarà rientrato nelle strette regole della piccola e sonnolenta Rimini papalina.
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