TamTama * 02.2000 * Riministoria * Antonio Montanari

Riministoria
il Rimino

Riministoria. Antonio Montanari

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LE MODE

Renzo Arbore cantava che la "vita è tutta un quiz". Luigi Berlinguer applica l’aurea massima ai propri dipendenti: anche la "scuola è tutta un quiz" per gli insegnanti, se vogliono meritarsi un aumento di stipendio. Il ministero della Pubblica (di)struzione ha prodotto un "libro verde" (versione in parziale technicolor del più antico e sorpassato "libro bianco") per rinnovare l’istituzione, a colpi bassi di inglese: vi si parla di "skills inventory" per indicare capacità ed abilità di un docente, oppure di "licensing bodies", gli organismi incaricati di valutarne la competenza.

È la moda. Non dice forse uno spot governativo che per non fare la figura dello "scemo del villaggio globale" bisogna conoscere l’inglese? Il guaio, caro ministro (del quale sono lieto di non essere più dipendente), è che i suoi riformatori sanno soltanto queste formulette d’inglese, ed ignorano il valore di tutta la nostra Cultura (mi scuso per la maiuscola), come sostiene il prof. Luciano Canfora che di certo non è un reazionario berlusconiano. Il concorso per avanzare in stipendio è già stato definito "concorsaccio": lo considerano una cosa immonda, ripugnante, repellente (leggere i giornali ed Internet, per credere). Passiamo ad un’altra moda. Anzi all’Alta Moda. Notizia da Parigi: trenta clochard hanno assaltato il negozio di Dior, per protestare contro la "stile straccione" che la celebre sartoria ha adottato per una propria linea di abiti: "I ricchi vorrebbero travestirsi da poveri, ignorando che noi d’inverno moriamo di freddo e dobbiamo mendicare qualcosa per coprirci. Solo un cinico poteva mimare i senza tetto in passerella".

Cinico è parola gentile, se si ricorda che per realizzare "un look da pezzente" occorrono 600 ore di lavoro, e non sappiamo quanti euro o dollari. I ribelli parigini saranno senza casa, ma una testa ce l’hanno e hanno dimostrato di saperla usare, liberi da ogni condizionamento. Di moda va oggi, in Casa Italia, il cambiare casacca. Cossiga e Bossi, dopo aver ricoperto di contumelie il Cavaliere di Arcore, lo abbracciano commossi e piangenti, considerandolo il Salvatore della Patria. A "Pinocchio" il Senatur diede più o meno del mafioso a Berlusconi che querelò il conduttore Lerner, chiedendo un risarcimento danni per 7 miliardi. Adesso Lerner, su Internet, teme "che per una piccola dimenticanza" i due facciano la pace giudiziaria, lasciandogli da pagare il conto. [746]

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AIUTINI

La precedente nota sul "concorsaccio" berlingueriano per gli aumenti agli insegnanti, non era ancora uscita che il ministro decideva di ricominciare da capo. Questo dimostra la potenza dell’emanazione del pensiero da parte del nostro giornale, ancora prima di apparire in edicola. Più veloci della luce e di Internet, ci facciamo capire senza bisogno di parlare. Le competenti autorità ed i loro uffici stampa ne tengano conto.

Continuando il discorso sulla cultura avviato la settimana scorsa, ci permettiamo di aggiungere qualche (inutile) considerazione. Tutti se la prendono con l’on. Berlusconi perché ha combattuto e combatterà la legge sulla "par condicio". Ma non si vuole ricordare che, se non fosse stato merito suo, nessuno avrebbe avuto l’ennesima dimostrazione dell’importanza della lingua latina nella nostra vita.

Ci voleva un uomo fattosi dal nulla, diventato miliardario, proprietario di non sappiamo quante ville in tutto il mondo e forse, per spirito di solidarietà umana e (perché no) politica, anche di qualche capanna con (ovviamente) parabola televisiva sul tetto in sperduti villaggi dell’Africa nera. Ci voleva uno che, dalla mattina alla sera, e tutto da sé, con solamente quello che i concorrenti dei quiz suoi e della perfida rivale Rai chiamano, in perfetta condizione di parità e stupidità, "un aiutino" (il quale nel suo caso fu politico, venne da palazzo Chigi e dalla floricoltura del garofano). Insomma uno che, tacchete, ti crea tutte queste reti televisive, per fare che cosa, ma perbacco per educare il popolo, e spiegargli che il muro di Berlino non è caduto, che il comunismo vive e lotta contro di noi ricorrendo alle arti più subdole, come le grazie di una signorina ventenne che, chiamandosi Bertinotti di cognome perché nipote del capo di Rifondazione, ha addirittura offerto al fascino della politica "filosovietica" una parte del proprio corpo di immediata visibilità onde sedurre le masse proletarie e soprattutto quelle piccolo-borghesi che, a dire il vero, non ne possono più della Iva Zanicchi che il Cavaliere somministra al calare del sole per convincerle che in Italia, con lui, tutto (oltre al prezzo) sarebbe giusto. Non solo l’Italia non gli è riconoscente, ma addirittura nel dibattito parlamentare, proprio alle ore 20, l’on. Mussi con una citazione di Totò ("Ma ci faccia il piacere") lo manda al tappeto, dimostrando che la "par condicio" non esiste. [747]

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Favole

Ci sono le leggende metropolitane che non corrispondono a verità. Ci sono poi le favole cittadine che nascono da fatti realmente accaduti ma finiti nel dimenticatoio, e che permettono di ricostruite storie importanti che non dovrebbero perdersi con il passare del tempo, talmente sono istruttive. Fra

le favole cittadine, noi iscriviamo d’autorità il nuovo ponte pedonale sul fiume Marecchia, appena collocato (ma da terminare), per i motivi seguenti.

Trent'anni fa il piano regolatore aveva previsto la costruzione di un ponte 'normale' che collegasse la nuova sottocirconvallazione (via Caduti di Marzabotto) con la zona Nord di Rimini, posta al di qua dello stesso Marecchia. Come tutti sanno, il ponte 'normale' non poté essere costruito, per cui non si riuscì ad alleggerire la vecchia e la nuova circonvallazione, e Rimini rimase con l'eterno problema del traffico, anche perché non si è ancora giunti a risolvere quella che in anni lontani si definì la questione dell'allargamento dell'autostrada o del suo spostamento.

In sostituzione del ponte 'normale', noi cittadini ne abbiamo ricevuto in dono uno più piccolo (ma non per questo non costoso: un miliardo e 360 milioni), a conferma che a Rimini piace, per via del suo stesso nome, il "mini", all'insegna del motto economico preferito nella nostra zona da mezzo secolo: "piccolo è bello" (la pensioncina, la piadina, il vicolino, ecc.). In effetti, il ponte pedonale sul Marecchia è sì bello ma non piccolo, per cui domina maestoso il panorama fluviale.

Chi se lo immagina affollato di pescatori affacciati al suo impalcato, o di visitatori che su di esso sostino ad ammirare lo scorrere delle acque, deve aggiungere alla favoletta una piccola appendice: ci è stato detto che il sottostante cavo dell'Enel da 132 mila volt emanerà un campo magnetico tale per cui, sul ponte, non ci si potrà fermare ma si dovrà transitare in fretta, soprattutto per i portatori di pace-maker. Noi vorremmo dagli esperti conferma o smentita a queste voci, per rassicurare "la cittadinanza" ed evitare eventuali guai ai soggetti a rischio.

Intanto, visto che, sebbene con trent'anni di ritardo, e con le differenze di cui s'è detto, un ponte alle Celle si è fatto, perché non prendere esempio da questa favola anche per il teatro Galli, e cominciare a progettare qualcosa di più "piccolo" (e bello), per avere almeno fra trent'anni un teatro dei burattini? [748] 

 

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Ciao, Gianni

Quando qualcuno si metterà a scrivere con completezza ed onestamente una storia del giornalismo riminese di questi ultimi cinquant’anni, dovrà dedicare un capitolo a Gianni Bezzi, appena scomparso a Roma, dove aveva lavorato per tre decenni al "Corriere dello Sport" come cronista ed inviato speciale. Lo ricordo con infinito dolore. Ho perso un amico onesto, buono, corretto. Ci eravamo conosciuti nel 1960 alla redazione riminese del "Carlino", dove guidava con serenità e buon gusto il lavoro di un gruppo di giovani, molti dei quali poi hanno cambiato strada, chi ora è architetto, chi docente universitario. C’era uno di noi, figlio di un questurino, che a volte voleva fare degli scoop e prelevava in Commissariato le foto degli arrestati, poi arrivava una telefonata e noi le dovevamo restituire.

Gianni amava lo sport che aveva in Marino Ferri la penna-principe del "Carlino". Fece il corrispondente locale del "Corriere dello Sport".

Aveva un linguaggio asciutto, il senso della notizia, era insomma bravo. Un bel giorno, mentre frequentava già di sera la redazione bolognese del "Carlino", dopo aver lavorato al mattino in quella di Rimini, e mentre gli si prospettava un trasferimento sotto le due torri, successe questo, come si ascoltò a Palazzo di Giustizia: risultò che lui in ufficio c’era andato così, per sport.

Diresse poi un nuovo giornale "Il Corso", che usciva ogni dieci giorni.

Mi chiamò, affidandomi una pagina letteraria (che battezzai "Libri uomini idee", rubando il titolo ad una rubrica del "Politecnico" di Vittorini), ed anche una rubrica di costume ("Controcorrente") che firmavo come Luca Ramin. Fu un sodalizio di lavoro intenso ed appassionato. Mi nominò persino redattore-capo, e credo che sia stato l’unico errore della sua vita. Per Marian Urbani inventai una sezione definita "Bel mondo", nel tamburino redazionale. La cosa fece andare su tutte le furie il giornale del Pci che ci dava dei "fascisti" ogni settimana, avvantaggiandosi su di noi che, come ho detto, andavamo in edicola solo tre volte al mese. E non sempre. Nel gennaio del ‘67 il nevone ci fece saltare un numero. Due anni dopo, Gianni fu assunto a Roma.

Queste mie misere parola possano, in questa città di smemorati, ricordare un giornalista che proprio a Rimini ha dedicato la sua ultima fatica, un libro sullo sport del ’900. Ciao, Gianni. [749]

 

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