Alberto Melucci, sociologo dell'ascolto
Lo studioso riminese ricordato
all'Università di Milano
L'Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Studi sociali e politici, ha organizzato l'11 ed il 12 ottobre scorso un seminario internazionale in ricordo del concittadino prof. Alberto Melucci, ad un anno della sua prematura scomparsa.
Al seminario, intitolato «Identità e movimenti sociali in una società planetaria», hanno partecipato studiosi italiani e stranieri. L'incontro ha voluto, come si leggeva nella presentazione, «ribadire l'importanza e l'attualità» dei temi tipici trattati da Melucci, dei suoi contributi teorici e del lavoro di ricerca da lui svolto «nel panorama delle scienze sociali, e non solo della sociologia, a livello internazionale».
Nel seminario si sono affrontate e approfondite «le tematiche con le quali gli scienziati sociali si confrontano quotidianamente nel loro lavoro di ricerca in questo straordinario passaggio d'epoca», nella consapevolezza che «i temi della globalizzazione, dell'identità e dei movimenti collettivi non possono oggi prescindere dal contributo» portato da Melucci.
Nato a Rimini nel 1943, egli è stato professore ordinario di Sociologia dei Processi Culturali all'Università di Milano, docente presso la Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica della stessa Università e psicoterapeuta. Ha insegnato anche in Europa, negli Stati Uniti, in Asia e America Latina, ricoprendo importanti incarichi accademici e svolgendo un'intensa attività di ricerca.
I suoi studi si sono concentrati sui problemi della teoria sociologica, sull'analisi dell'azione collettiva, su identità e mutamento culturale.
Tra i temi che lo hanno appassionato, ci sono i rapporti tra movimenti, bisogni individuali e forme politiche di rappresentanza, anche in relazione ai movimenti etnico-nazionali. Con una vasta ricerca sulle aree di movimento nella metropoli, Melucci si è aperto ai temi della pace, delle mobilitazioni giovanili, dei movimenti delle donne, delle questioni ecologiche e delle forme di solidarietà neo-religiose.
Alla fine degli anni Settanta ha fondato con Anna Fabbrini un centro per lo studio e la ricerca in psicologia clinica, e si è dedicato alla formazione e al lavoro psicoterapeutico.
Sull'identità e il mutamento culturale ha esplorato la domanda di cambiamento, intrecciando i temi dell'esperienza individuale e dell'azione collettiva. In anticipo sui tempi, ha pubblicato diversi scritti sull'ingresso nella «società planetaria», con l'analisi dei processi di globalizzazione e della loro ricaduta sulla vita personale, sulla vita quotidiana e sulle relazioni.
Negli ultimi anni la sua ricerca si è concentrata sui temi della trasformazione del sé, dell'adolescenza e della creatività. Negli Stati Uniti ha pubblicato alcuni volumi che rappresentano la sintesi teorica del suo lavoro, raggiungendo fama internazionale. Pure sul tema del multiculturalismo, ha dato innovativi contributi alla ricerca sociologica.
Nel 2000 ha pubblicato i due volumi che raccolgono la sua produzione poetica: «Giorni e cose» con la prefazione di Lalla Romano e la raccolta in dialetto romagnolo «Zénta». Di essi «Il Ponte» ha parlato il 4 giugno di quell'anno. Di recente è stata pubblicata la raccolta postuma inedita «Mongolfiere», con una postfazione di Ezio Raimondi.
Uno dei relatori al seminario, il giapponese Michinobu Niihara, ha ricordato questo pensiero di Melucci, espresso a Yokohama, il 14 maggio 2000: «Io sono convinto che il mondo contemporaneo ha bisogno di una sociologia dell'ascolto. Non una conoscenza fredda, che si ferma al livello delle facoltà razionali, ma una conoscenza che considera gli altri dei soggetti. Non una conoscenza che crea una distanza, una separazione fra osservatore e osservato, ma invece una conoscenza capace di ascoltare, cioè una conoscenza che riesce a riconoscere i bisogni, le domande gli interrogativi di chi osserva, ma anche capace allo stesso tempo di mettersi davvero in contatto, con gli altri. Gli altri non solo degli oggetti, ma sono dei soggetti, sono delle persone come noi, che hanno spesso i nostri stessi interrogativi, si pongono le stesse domande e hanno le stesse debolezze, e le stesse paure».
Sottolineava Melucci che «quello della conoscenza sociale oggi è un compito che implica una speciale responsabilità, perché la società ha sempre più bisogno di conoscenza. Coloro che producono la conoscenza, hanno una speciale responsabilità. Ma questo non assegna a loro nessuno privilegio. Noi non siamo delle menti speciali, siamo essere umani in mezzo agli altri».
Niihara, ricordando il viaggio di Melucci in Giappone «nel suo periodo difficile, il maggio 2000», ha detto: «Stavamo sempre insieme anche dall'altra parte del nostro pianeta e condividevamo la gioia di co-presenza e sopravvivenza. Respiravamo insieme e, fatta eccezione per le due relazioni tenute al convegno, ci siamo dedicati interamente al buon riposo del suo corpo che si stava degenerando e agli incontri con vari maestri della medicina orientale. Andavamo insieme in qualche giardino di zen riservato solo per gli amici cari. [...] Qualche volta, in modo straordinario, abbiamo sentito il sangue pulsare nelle nostre vene. Senza parole fiorite, a cuore aperto, parlavamo da uomo a uomo del significato dell'essere persona che è vicina alla sofferenza e a come si vive con questa grande contaminazione».
Niihara ha aggiunto: «Solo in quel momento abbiamo conosciuto ogni aspetto della nostra 'storia clinica'. Quando gli raccontavo la mia degenerazione e del distacco della retina, la sua capacità di compassione era incredibile. Penetrando ogni storia degli 'homines patientes' abbiamo sfiorato le sofferenze degli altri più lentamente, dolcemente e profondamente e incontrato realmente una capacità di compassione, di rispondere, di essere sensore di campo, di codice di senso e di 'sociologia dell'ascolto'». Niihara al proposito richiama il concetto greco di «klinikós» (che indica chi è vicino al letto del paziente).
Loredana Sciolla ha invece richiamato gli studi di Melucci sulla vita nomade: «Gli ottimisti sono inclini a cogliere nell'individuo sfuggente e proteiforme della tarda modernità la manifestazione di un più alto grado di riflessività e di libertà. Sciolla riproponeva quanto detto, in maniera suggestiva, da Melucci: «Alla libertà di avere che ha caratterizzato l'homo oeconomicus si sostituisce la libertà di essere». La citazione è presa da un saggio del 1991, «Il gioco dell'io», in cui Melucci sottolinea come l'indeterminatezza che contraddistingue l'esperienza moderna, esponga ogni vincolo alla precarietà.
Franco Crespi, trattando di «identità distruttive e problema della solidarietà», è partito da un'osservazione di Melucci, contenuta in un testo del 1998 («Fine della modernità»), dove si osserva che «la cultura del narcisismo, la riduzione del legame sociale a etica privata, l'edonismo estetizzante di certe culture giovanili sono tutti segnali» di un rischio di atteggiamento individualistico e soggettivo dei fatti sociali; segnali, aggiungeva, «che non devono tuttavia oscurare la natura dei cambiamenti in corso: il fatto cioè che l'esperienza individuale diventa il luogo dell'azione sociale, sia come spazio del controllo e della manipolazione, sia come potenziale di autonomia e di autorealizzazione».
Il contributo d'Alain Touraine esamina l'atteggiamento assunto da Melucci nello studio dei movimenti sociali: «comprendere e (perché no) spiegare il senso di un assieme di azioni che possono essere definite come tentativi di creare del senso». Non è un brutto gioco di parole, precisa Touraine, ma il modo di sottolineare come «lo scopo principale delle scienze sociali sia quello di comprendere i modi di comportamento portatori di senso».
Melucci aveva un punto di vista «costruttivista», e non «obiettivista ed ancor meno scientista»: per cui considerava tutto ciò che avviene nella realtà per azioni collettive o personali come non classificabile per strutture o categorie prefissate.
Michel Wieviorka ha sottolineato come spetti a Melucci ed a Touraine il merito d'aver trattato all'inizio degli anni Ottanta dei «nuovi movimenti sociali». Mentre Touraine però li vedeva in funzione contestatrice, Melucci tentava di conciliare questa visione con quella di chi li considerava quali tentativi d'inserirsi all'interno del sistema politico.
Al convegno, aperto da Marino Regini (preside della Facoltà di Scienze Politiche) ed organizzato con il coordinamento scientifico di Luisa Laonini e Paola Rebughini, hanno presentato relazioni pure Mario Diani, Verta Taylor, Zygmunt Bauman, Shujiro Yazawa.
Antonio Montanari
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