Riministoria © Antonio Montanari

Il mistero del giovane frate di Guido Cagnacci

(Dal sito del Museo della città di Rimini. Nuove acquisizioni)

Nell'estate del 1998 il Museo della Città di Rimini ha acquisito all'interno delle sue collezioni un dipinto inedito del pittore Guido Cagnacci.   Il dipinto, esposto nelle sale del Seicento del Museo, ha ricevuto dopo l'acquisto un intervento di leggera manutenzione ad opera di Adele Pompili.

Il professor Pier Giorgio Pasini non ha dubbi nell'attribuire al Cagnacci l'opera. Anche Vittorio Sgarbi ha subito individuato nel quadro un dipinto del pittore santarcangiolese. Federico Zeri alla vista del quadro pare abbia esclamato: <<... è bellissimo!>>.


Guido Cagnacci, Ritratto di un giovane frate, olio su tela, cm. 100 x 74


Medico frate e frate medico

Appunti di storia della medicina in margine ad un dipinto di Guido Cagnacci

di Stefano De Carolis

Prendendo spunto dal titolo di un fondamentale articolo sui rapporti fra ordini religiosi ed esercizio della medicina (1), si discute di seguito una serie di ipotesi per una possibile identificazione del personaggio raffigurato nel quadro: essa, in mancanza di validi indizi sia sulla superficie dipinta (2) che sul retro del dipinto stesso (foderato già da tempo e con una scritta sul telaio che ne testimonia unicamente un passaggio sul mercato antiquario francese), deve essere tentata allo stato attuale solo sulla scorta di un'attenta interpretazione iconografica.

"Medico frate"

La libreria esistente alle spalle del nostro personaggio, oltre a recipienti di vetro e di metallo per medicamenti, contiene diversi volumi i cui autori sono facilmente riconoscibili dalle lettere ricomparse sotto le successive ridipinture (3). Tre di essi (Ippocrate, Galeno, Abulcasis) testimoniano una formazione universitaria che - almeno sul versante medico - resta per tutto il Seicento tenacemente legata alla tradizione galenica, nonostante i progressi registrati dalle scienze naturali (e non recepiti dalla medicina) e gli impulsi determinati dalle nuove dottrine iatromeccanica e iatrochimica (4). E questo è ancora più evidente in Italia: a Padova, prestigiosa sede universitaria, ancora all'inizio del secolo successivo esistono docenti che - sono parole del Morgagni - "non mostra[no] d'aver letto neanche la prima pagina di un qualsiasi moderno" (5).

La presenza del teschio (poi trasformato in una vanitas) e di alcuni strumenti per lo studio dell'anatomia (forbici, compasso, specilli vari) testimonia uno specifico interesse per questa scienza, non da tutti coltivata al di fuori dell'ambiente accademico. È singolare poi il fatto che tra questi strumenti compaia una lancetta per salassi "a serramanico", denominata scalpellus nei trattati di chirurgia del Cinquecento e Seicento (6): questo, unitamente alla presenza nella libreria d'importanti testi di questa materia (7), farebbe pensare che il nostro personaggio svolgesse anche un'attività chirurgica, tradizionalmente considerata in sottordine e non compatibile con la professione medica.

In ambito monastico tale differenza doveva però essere più sfumata: fin dal Medioevo le regole degli ordini religiosi prevedevano il salasso periodico o "di precauzione", utilizzato sia come misura igienica sia come strumento di controllo (attraverso l'indebolimento del corpo) e di mortificazione, ed ogni monastero doveva avere i propri rasores a ciò deputati (8).

"Frate medico"

La medicina monastica ha origini antiche, risalenti al V-VI secolo dell'era volgare, e fu particolarmente cara all'ordine benedettino, la cui Regola raccomandava l'assistenza e la cura degli ammalati (infirmorum cura ante omnia et super omnia adhibenda est); questo precetto, che prendeva origine da un principio evangelico di carità, si sviluppò ben presto fino a raggiungere un elevato livello di competenza. Ogni monastero doveva avere un monacus infirmarius (denominato medicus nei documenti) che fosse in grado di gestire la farmacia monastica provvedendo contemporaneamente alla diagnosi ed alla cura delle malattie. Col trascorrere del tempo i monaci medici iniziarono a prestare la propria opera anche all'esterno del monastero, soprattutto in favore delle classi più povere; ma ben presto gli scopi caritatevoli cedettero il passo a lusinghe più mondane quali l'impudicizia e la sete di guadagno, che condussero all'emanazione di veri e propri divieti per i religiosi all'esercizio dell'arte medica da parte di numerosi Concili fra il 1119 ed il 1215, fino ad una decretale del pontefice Onorio III ( 1216-1227) (9).

Già ampiamente disattese all'inizio, tali norme limitative (di cui rimane traccia almeno fino alla prima metà del Settecento) non dovettero comunque risultare particolarmente vincolanti, se è vero che l'elenco - compilato dal Pazzini - dei monaci e degli ecclesiastici che esercitarono la medicina nei secoli X-XIV comprende ben quarantacinque nomi (10). Nello stesso XVII secolo si conoscono esempi anche illustri di medici che appartenevano al contempo ad un ordine religioso. Fra questi sono da ricordare il chirurgo emiliano Cesare Magati (1579-1647) che nel 1618, dopo una grave malattia, si fece frate cappuccino assumendo il nome di fra' Liberato, continuando però nella pratica della chirurgia (11), il Comasco Emanuele Orchi (1600 ca.-1649), anche lui cappuccino, laureatosi in filosofia e medicina a Pavia e sicuramente più noto come predicatore che come seguace d'Ippocrate (12) e, fra gli stranieri, il danese Niels Stensen (Niccolò Stenone, 1638-1686), medico ed anatomico, convertitosi al cattolicesimo nel 1667 e divenuto successivamente sacerdote, vescovo e beato (13).

Nessuno di costoro è ovviamente il nostro personaggio, ed anche se a lui appartiene il cognome frammentario che par di scorgere nella seconda iscrizione abrasa (MASSA...), questo non permette comunque una sicura identificazione. La storiografia medica ricorda i veneti Nicola Massa ed Alessandro Massaria, morti rispettivamente nel 1569 e nel 1598, e Bartolomeo Massari, maestro del Malpighi a Bologna (14); ma, a parte le incongruenze cronologiche valevoli per i primi due, nessuno dei tre vestì mai l'abito religioso.

 

NOTE AL TESTO

1. C.Albasini, Medici frati e frati medici, in "Bollettino dell'Istituto Storico Italiano dell'Arte Sanitaria", XI, 1, 1931, pp. 15-29

2. Nella parte superiore sinistra del dipinto esistono due scritte sovrapposte, una prima a caratteri bianchi resa frammentaria da una successiva totalmente abrasa (e che lascia trasparire la preparazione brunastra della tela), il cui significato è di difficile interpretazione. Della prima scritta si leggono solamente le parole incomplete "...LARIUS ARCHIEP...", mentre della seconda s'intravedono su due righe "...ELIDE(?) MASSA..." e "SCRIPT ...V OPER...". Colgo l'occasione per ringraziare la Dott.ssa Adele Pompili, che ha restaurato l'opera e mi ha guidato con disponibilità e cortesia nell'esame ravvicinato dell'intera superficie pittorica.

3. Da sinistra verso destra ABUC (primo volume), I/ DE VICI (secondo), HIPPO (terzo), GALEN (quarto), PAR (quinto). Mentre non credo che esistano dubbi sull'identificazione dei nomi di Abulcasis, Ippocrate e Galeno, le scritte sul secondo e sul quinto volume farebbero pensare a due più moderni autori, Giovanni da Vigo ( 1450-1525) ed Ambroise Paré ( 1510-1590), le cui opere di chirurgia costituiscono vere e proprie pietre miliari del cosiddetto''rinascimento chirurgico" cinquecentesco.

4. B. Zanobio, G. Armocida, Storia della medicina, Milano 1997, p. 118.

5. Cit. in G. Cosmacini, La medicina e la sua storia, Milano 1989, p. 203.

6. Si veda per tutti A. Paré, Opera Chirurgica. Francofurti ad Moenum 1594, pp. 233, 508-509.

7. Si tratta delle già citate opere di Giovanni da Vigo ed Ambroise Paré (cfr. nota 3). Significativa è inoltre la presenza tra gli altri volumi di un testo d'Abulcasis(Abù'l-Qasim az-Zahràwi,936 ca.-1013) considerato il migliore chirurgo di tutta la medicina araba: i suoi libri di chirurgia, pur costituendo solo una parte d'una più vasta opera enciclopedica d'argomento medico, furono per secoli fra i testi più in auge nell'occidente per quella materia.

8. Zanobio e Armocida, cit., p. 140.

9. Alhasini, cit. pp. 15-29; A. Pazzini, Storia della medicina, I, Milano1947, pp. 353-362; G.M. Giuliani, I chirurghi preciani e norcini (Rapporti con la Scuola di Salerno e l'Ordine di San Benedetto). in "Archivio Italiano di Chirurgia", LXXII, 3, 1949, pp. 169-190; G. Penso. La Medicina medioevale, Saronno 1991, pp. 54-56.

10. Pazzini, cit., I, pp.367-369; tra 1'altro nell'elenco non sono compresi i medici ecclesiastici appartenuti alla Scuola medica salernitana.

11. G. Scandiani, Vite di medici illustri, Rimini 199(0, pp. 76-77; Pazzini, cit., II, pp. 110-113.

12. Scandiani, cit., pp. 84-85.

13. L. Sterpellone, Stratigrafia di un passato. Storie parallele della Medicina, Milano 1990, p. 206; Pazzini, cit., II, p. 44.

14. L. Sterpellone. Dagli Dèi al DNA, III, Roma 1990, p. 452.

 (Il testo, pubblicato per gentile concessione dell'editore, è apparso su Romagna Arte e Storia, rivista quadrimestrale di cultura, a. XVIII n. 54, 1998) 


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