il Rimino - Riministoria

Novello Malatesti, un principe per la cultura
Dominato dalla madre e non amato dalla sposa

Attorno alla figura di Malatesta Novello Malatesti ruota il vol. XVII della «Storia delle signorie malatestiane» (ed. Bruno Ghigi, 2003), a cura di Pier Giovanni Fabbri e di Anna Falcioni. Vi hanno collaborato Andrea Maiarelli, Grazia Bravetti Magnoni, Bianca Orlandi, Claudio Riva e Luigi Vendramin (per gli indici).

Fabbri esamina gli aspetti politici, militari, economici ed istituzionali della signoria di Novello. Maiarelli considera i lineamenti della politica comunale attuata a Cesena, soprattutto con la biblioteca che ancor oggi glorifica il suo nome. Bravetti Magnoni racconta la vicenda di Violante Montefeltro moglie di Novello e signora di Cesena. Orlandi si sofferma sulla figura di Antonia da Barignano, madre di Novello.


La morte dello zio
Carlo Malatesti

Il 14 settembre 1429 a Longiano muore senza eredi Carlo Malatesti, marito di Elisabetta Gonzaga. Suo fratello Pandolfo III Malatesti se n'è andato due anni prima, lasciando tre figli naturali: Galeotto Roberto, Sigismondo Pandolfo e Domenico (Novello) Malatesta. A questi nipoti passa il potere sopra un vasto territorio proprio per merito di Carlo che ne ha ottenuto la legittimazione dal papa, dopo due mesi di difficili e complesse trattative nel corso del 1428.
Domenico cambia il nome in Novello nel 1433, tre anni dopo che lui ed i suoi fratelli hanno ottenuto dal papa il vicariato ecclesiastico sborsando trentamila ducati, ricevuti in prestito da personaggi eminenti di Cesena che gareggiarono fra loro per favorire i nuovi signori della città. Il mutamento del nome vuole ricordare lo zio Andrea Malatesti detto Malatesta, già signore di Cesena sino al 1416, «cui è legato da una particolare ammirazione» come scrive Maiarelli.

Carlo aveva avuto contro anche il cugino Pandolfo, arcivescovo di Patrasso, figlio del signore di Pesaro, Malatesta Malatesti: quest'ultimo non voleva che quei tre bastardi fossero innalzati alla dignità di eredi del governo di Rimini, Fano e Cesena, che esercitano in forma collegiale con Elisabetta Gonzaga sino alla morte di Galeotto, avvenuta il 10 ottobre 1432 nel castello di Santarcangelo. Il cronista cesenate Giuliano Fantaguzzi (nato nel 1453), scrive che allora i due fratelli si divisero i possedimenti: «al signor Sismondo da la Marecchia in là e a Domenico Malatesta da la Marecchia in qua».


Antonia, la madre,
da Brescia a Rimini

Galeotto fu un principe mite ed amante della cultura, poco adatto all'attività politica. Era nato nel 1411 da Allegra de' Mori e da Pandolfo III divenuto signore di Brescia nel 1404 e vedovo di Paola Bianca Orsini (morta nel 1398 senza prole). Sigismondo e Domenico invece sono entrambi figli di Antonia da Barignano, nati rispettivamente il 19 giugno 1417 ed il 6 aprile 1418.

«Quando Pandolfo III e Antonia s'incontrano», scrive Orlandi, «lui è un uomo maturo, ricco e potente, lei una ragazza esuberante che ama circondarsi di arredi preziosi e oggetti raffinati; non lesina sulle spese, in particolare su quelle destinate all'abbigliamento». Per il primogenito Sigismondo, ordina «un corredino ricco di ricami, elegante, raffinato». Nel 1421 Antonia lascia Brescia al sèguito dello spodestato marito ed accompagnata dai propri quattro fratelli maschi che vengono a stabilirsi con lei nei possedimenti malatestiani.

Nei primi anni della sua permanenza in Romagna, Antonia vive prevalentemente a Rimini cambiando spesso di residenza, e frequenta Bellaria soprattutto nel palazzo sull'Uso, fiume lungo il quale possiede anche l'osteria «da le Smirre» provvista di capanno, orto e barca con diritto di traghetto e di riscossione del relativo dazio. Diritto che Antonia vanta pure sul Fiumicino (quello che Mussolini sancì essere il «Rubicone degli antichi»), secondo quanto scoperto da Falcioni e Claudio Riva.


Carattere deciso,
media tra i figli

Forte e determinata, la definì Falcioni [«Storia di Bellaria, II»], sottolineandone il carattere deciso che si riflette anche sui figli quando interviene come mediatrice per appianare i dissensi politici e militari che spesso li dividevano. Richiamando un atto notarile scoperto da Oreste Delucca, Orlandi ricorda che Antonia si mosse a compassione dell'indigenza di certi suoi debitori a cui cedette in uso quasi gratuito la casa che era stata loro confiscata a San Mauro.

Antonia, prosegue Orlandi, fu «molto legata ai suoi figli». A Sigismondo riserva una stanza nel palazzo di Bellaria, dove Novello muore quasi a testimoniare (come fu ipotizzato da Delucca) il suo bisogno di cercare rifugio e conforto presso la madre piuttosto che con la consorte Violante.


Violante bambina
promessa sposa

Sulle cause di questo bisogno, appaiono illuminanti le intense pagine di Bravetti Magnoni dedicate appunto a Violante. Nel 1434 il sedicenne Novello, per iniziativa di Sigismondo, firma il contratto di matrimonio con Violante che aveva soltanto quattro anni e mezzo: è la premessa ad un accordo politico fra le loro famiglie che si erano continuamente combattute. Le nozze giungono otto anni dopo, il 4 giugno 1442 a Gubbio, dove la corte feltresca ogni anno soggiornava a lungo.

Lui ha 24 anni, lei soltanto dodici. Per questa sua età immatura ai fini coniugali, dopo le gioiose feste pubbliche i due giovani sono costretti alla separazione. Violante resta ad Urbino, poi è spedita a Roma, mentre sullo sfondo si delinea un inquietante quadro politico: «Il costretto ed indecifrabile soggiorno di Violante a Roma» aumentava il dissidio tra lei ed il fratello Federico, dopo la morte del padre Guidantonio nuovo duca d'Urbino, contro il quale s'indirizzavano le accuse dei nemici d'aver cacciato la sorella dalla propria casa e dai propri beni.


Ed alla fine
va in convento

Violante, nella notte del 23 luglio 1444 quando venne ucciso suo fratello Oddantonio, fa voto di rimanere pura ed illibata per sempre. Immaginiamo quindi con quale spirito giunga tre anni dopo a Cesena, accolta dalla città come se le nozze fossero state celebrate il giorno prima. Passati pochi giorni Novello cade infermo per un'emorragia ad una gamba: l'imperizia del suo medico personale lo costringe a ricorrere alle cure di quello del fratello Sigismondo a Rimini. Scrisse Fantaguzzi che Domenico, «fattosi alazare una vena grossa d'una gamba», rimase storpiato.

Le cronache del tempo ricordano Violante bella quant'altri mai, semplice e mansueta, ma anche piena di ogni festevolezza. Nel 1458 avviene il dramma della sorella Sveva, accusata di adulterio e di tentato veneficio dal marito Alessandro Sforza, signore di Pesaro. Il fratello Federico, scrivendo al cognato duca di Milano, riesce a salvare Sveva dai malvagi tentativi del consorte (che per ben tre volte cercò di farle bere del veleno), rinchiudendola in un convento di Pesaro. «Profondamente scossa nell'anima, Violante volle farsi in qualche modo partecipe del dolore di Sveva», e decise di astenersi anche dal cibo. Ma pensò pure alla salute dei propri concittadini: il marito concordò con lei quando gli propose la demolizione del vecchio ospedale di San Gregorio fuori Porta cervese, per fabbricarne uno nuovo, detto del Crocifisso, nei pressi del duomo.

Novello muore nel novembre 1465 quando Violante ha 35 anni. Qualche tempo dopo, con il nome di suor Serafina, lei si ritira a Ferrara in un monastero dove scomparirà nel 1493. Violante, scrive Bravetti, aveva ricevuto una solida formazione umanistica alla quale si aggiungeva una ricca e precisa conoscenza dei testi sacri. Grazie a questa sua formazione, dovette partecipare con entusiasmo e competenza al progetto della biblioteca che ancor oggi costituisce un vanto tutto cesenate.


Le imposte
per i libri

La biblioteca nacque nel 1452 ed i lavori durarono sino al 1454. Osserva Fabbri che Cesena non aveva «all'interno della propria comunità le forze in grado di dare vita» al progetto, e che Novello destinò parte delle proprie risorse al finanziamento della costruzione dell'edificio. Risorse che provenivano dai possedimenti della famiglia e dalla riscossione delle imposte indirette.

Novello fece acquistare grandi quantitativi di pecore che avrebbero dovuto fornire la materia prima per lo «scriptorium», il luogo destinato alla ricopiatura dei testi su «carte ottenute mediante conciatura delle pelli» degli animali. Maiarelli spiega che Novello, «nonostante il rapporto strettissimo che lo lega ai Francescani ed al loro Studium» preferisce affidare le sorti della biblioteca non a loro ma alla tutela delle autorità comunali.

L'impegno rivolto da Novello all'edificazione ed alla dotazione della biblioteca, conclude Maiarelli, «ha permesso a Cesena di dotarsi di un'istituzione culturale di primissimo livello, che la città ha saputo conservare e valorizzare nel tempo, fino a farne l'unico e meraviglioso esempio di biblioteca umanistica ad oggi perfettamente conservato».

[Nel sito «Riministoria»,
all'indirizzo http://digilander.libero.it/monari/malatesti.indice.html si trovano le pagine sulla storia dei Malatesti pubblicate negli ultimi anni dal Ponte.]

Antonio Montanari


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735/24.12.2002