Il «caso Enrico Mattei», un complotto italiano Perse la vita anche il riminese Irnerio Bertuzzi Il quotidiano «La Stampa» del 6 marzo 2003 presenta un ampio servizio, che riproduciamo integralmente qui sotto [*] intitolato «Mattei un complotto italiano».
Il servizio è firmato da Francesco La Licata e Guido Ruotolo.
Il 27 ottobre 1962 cadde l'aereo guidato dal riminese Irnerio Bertuzzi su cui volava oltre a Mattei anche un giornalista americano, William Mc Hale.
Secondo le conclusioni del sostituto procuratore di Pavia, Vincenzo Calia, titolare delle indagini riaperte il 20 settembre 1994, si può formulare questa ipotesi, che però non si può provare: «L'esecuzione dell'attentato venne decisa e pianificata con largo anticipo, probabilmente quando fu certo che Enrico Mattei, nonostante gli aspri attacchi e le ripetute minacce, non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell'ente petrolifero di Stato. La programmazione e l'esecuzione dell'attentato furono complesse e comportarono - quanto meno a livello di collaborazione e di copertura - il coinvolgimento di uomini inseriti nello stesso ente petrolifero e negli organi di sicurezza dello Stato con responsabilità non di secondo piano».
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[*]Testo integrale dell'articolo:
6 marzo 2003 Mattei, un complotto italiano di Francesco La Licata e Guido Ruotolo inviati a PAVIA
ENRICO Mattei fu assassinato, vittima di un complotto tutto italiano. A queste conclusioni è arrivato il sostituto procuratore di Pavia, Vincenzo Calia, titolare delle indagini riaperte il 20 settembre del 1994, all'indomani delle rivelazioni del pentito di mafia Gaetani Ianni e poi di Tommaso Buscetta. Calia ha depositato le sue conclusioni, chiedendo l'archiviazione dell'inchiesta, ammettendo cioè di aver formulato un'ipotesi ma di non poter provare ciò che afferma di aver capito: «All'esito dell'indagine deve ritenersi in primo luogo acquisita la prova che l'aereo a bordo del quale viaggiavano Enrico Mattei, William Mc Hale (il giornalista americano, ndr) e Irnerio Bertuzzi (il pilota, ndr) venne dolosamente abbattuto nel cielo di Bascapè la sera del 27 ottobre 1962».
Chi ha sabotato l'aereo del presidente dell'Eni e su ordine di chi, il pubblico ministero Calia non è riuscito ad accertarlo, anche se l'ha intuito: «Le prove orali, documentali e logiche raccolte pur avendo consentito di delineare il contesto all'interno del quale maturò il delitto, non permettono l'individuazione degli esecutori materiali né, per quanto concerne i mandanti, possono condurre oltre i sospetti e le illazioni». Dunque, dopo quarant'anni dalla morte di Enrico Mattei si è in parte diradata la nebbia che ha avvolto uno dei grandi misteri italiani. Nella sua indagine monumentale, pur senza arrivare a una conclusione certa, il pm Calia ha scandagliato tutti gli anfratti più nascosti di questo mistero ricrivendo come un romanzo un pezzo di storia italiana: «L'esecuzione dell'attentato venne decisa e pianificata con largo anticipo, probabilmente quando fu certo che Enrico Mattei, nonostante gli aspri attacchi e le ripetute minacce, non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell'ente petrolifero di Stato.
La programmazione e l'esecuzione dell'attentato furono complesse e comportarono - quanto meno a livello di collaborazione e di copertura - il coinvolgimento di uomini inseriti nello stesso ente petrolifero e negli organi di sicurezza dello Stato con responsabilità non di secondo piano». L'inchiesta pavese ha documentato « depistaggi», «manipolazioni», «soppressioni di prove e di documenti», «pressioni e minacce» che sin da poche ore dopo la caduta del Morane Saulnier 760 I-SNAP dell'Eni hanno soffocato ogni tentativo di accertare la verità, per «nascondere il delitto».
Annota il pm Calia: «E' facile arguire che tale imponente attività, protrattasi nel tempo, prima per la preparazione e l'esecuzione del delitto e poi per disinformare e depistare, non può essere ascritta - per la sua stessa complessità, ampiezza e durata - esclusivamente a gruppi criminali, economici, italiani o stranieri, a " sette (..o singole..) sorelle" o servizi segreti di altri paesi, se non con l'appoggio e la fattiva collaborazione - cosciente, volontaria e continuata - di persone e strutture profondamente radicate nelle nostre istituzioni e nello stesso ente petrolifero di stato, che hanno eseguito ordini o consigli, deliberato autonomamente o col consenso e il sostegno di interessi coincidenti, ma che, comunque, da quel delitto hanno conseguito diretti vantaggi». Quarant'anni dopo il «disastro» di Bascapé, l'inchiesta del pm Calia ha «permesso di ritenere inequivocabilmente provato che l'I-SNAP precipitò a seguito di una esplosione limitata, non distruttiva, verificatasi all'interno del velivolo».
«Tale carica esplosiva, equivalente a circa cento grammi di Compound B, fu verosimilmente sistemata dietro il cruscotto dell'aereo, a una distanza di circa 10-15 centimetri dalla mano sinistra di Enrico Mattei, e probabilmente fu innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelloni di chiusura dei suoi alloggiamenti». Prosegue il magistrato pavese: «E' infatti provato che l'esplosione si verificò durante il volo e non in coincidenza o dopo l'impatto col suolo; che il serbatoio, i motori e la bombola d'ossigeno non esplosero». A queste conclusioni, Calia è arrivato sulla base di diverse perizie, affidate al medico legale Carlo Torre, all'ingegnere Donato Firrao, al capitano dei carabinieri Giovanni Delogu, all'esperto esplosivista della Marina militare italiana, Giovanni Brandimarte. Il 21 giugno 1996 furono riesumate le salme di Enrico Mattei e di Irnerio Bertuzzi, «allo scopo di ricercare e analizzare eventuali tracce di qualsiasi natura riferibili alle modalità e alle cause del disastro aereo, o comunque rilevanti per le indagini».
Inoltre, sono stati consegnati ai periti i reperti dell'aereo. Il primo quesito posto agli esperti, riguardava la possibilità di trovare tracce «riconducibili a esplosione» sui reperti metallici dell'aereo. La risposta dei periti è stata la seguente: «Mediante una serie di analisi metallografiche condotte sulle viti d'acciaio inossidabile dell' "indicateur triple" (viti di fissaggio dello strumento al cruscotto dell'aereo, ndr), è emerso che in queste viti sono presenti cristalli che mostrano fenomeni di geminazione meccanica riconducibili ad esplosione; analoghi fenomeni di geminazione meccanica sono stati riscontrati nelle lamiere sottoposte a prove di scoppio... i confronti effettuati sull'intensità della fenomenologia hanno permesso di ipotizzare all'interno dell'aereo sul quale viaggiava Enrico Mattei, la presenza di una carica poco superiore a 100 grammi di Compound B.
I fenomeni di geminazione meccanica nelle viti di accaio inossidabile sono compatibili con le pressioni originabili dallo scoppio di una carica equivalente a circa 100 grammi di Compound B in un ambiente confinato, quale quello della cabina dell'aereo oggetto di indagine». La perizia sui resti di Enrico Mattei si è incentrata sulla «individuazione e sul recupero di materiali metallici, in varia maniera rimasti inglobati nei resti della vittima, e nel loro studio metallografico alla ricerca di tracce di esposizione a onda d'urto o ad altri fenomeni fisici collegati a un'eventuale esplosione». Dei vari pezzi o frammenti metallici recuperati nella bara di Enrico Mattei, ne sono stati scelti e sottoposti a indagine sei: «Tutti i reperti - scrivono i periti - risultano essere costituiti da leghe utilizzate nelle costruzioni aeronautiche. Nei primi due reperti dell'elenco sopra riportato si sono riscontrati evidenti segni derivanti da slittamenti multipli causati da esposizione a onda esplosiva».
«Assolutamente positive» sono risultate le «analisi metallografiche e frattografiche» eseguite sull'anello e sull'orologio da polso di Enrico Mattei: «Sono stati ritrovati segni di esposizione a esplosione derivante da detonazione di una carica sull'anello in oro di Enrico Mattei; si è anche calcolato che la mano sinistra che portava l'anello si trovava a 10-15 centimetri dalla carica esplodente. Anche sul quadrante, sulle lancette, sui segni delle ore dell'orologio di Enrico Mattei sono stati ritrovati segni (frammenti di vetro infissi più o meno profondamente, formazione di microgeminati meccanici nell'ottone del quadrante) che si possono far risalire ad esposizione a onda esplosiva». Infine, il pm Calia aveva chiesto ai periti se vi era stata una esplosione in coincidenza o dopo l'impatto col suolo del velivolo Eni.
Senza possibilità di equivoci la conclusione della perizia: «Si può escludere, con ragionevole certezza, che dopo l'impatto si sia verificata un'esplosizione di gas all'interno della buca e anche un'esplosione in ambiente non confinato». Se, dunque, di omicidio si tratta, chi e perché ha deciso l'eliminazione del presidente dell'Eni? Tra i sostenitori della tesi del sabotaggio dell'aereo di Mattei è sempre stata prevalente l'idea che dietro la decisione di eliminare il presidente Mattei vi fossero le "Sette Sorelle" - le compagnie petrolifere Standard Oil of New Jersey, Royal Dutch Shell, Gulf Oil, British Petroleum, Standard Oil of California, Socony Mobil Oil, Texas Oil - che avrebbero armato la mafia per portare a termine l'attentato. Una eliminazione come risoluzione violenta di un conflitto: l'Eni di Mattei rischiava di spezzare il monopolio delle Sette Sorelle; l'Italia di Mattei stava per diventare il varco attraverso cui sarebbe passato il flusso dell'energia a basso costo dall'Algeria al vecchio continente; il petroliere Mattei stava per modificare le condizioni (dal 50 al 75%) degli utili netti del petrolio estratto in concessione per i paesi produttori.
Ad alimentare questa tesi, c'erano poi state le dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta, secondo cui la mafia americana chiese a Cosa nostra il favore di eliminare Enrico Mattei «nell'interesse sostanziale delle maggiori compagnie petrolifere americane». L'inchiesta del pm Vincenzo Calia confuta questa tesi e lo fa portando a sua difesa diverse testimonianze. La prima, quella di Mario Pirani,grande giornalista, oggi editorialista di «Repubblica»; allora, nel 1961, assunto all'Eni per tenere i rapporti tra Mattei e il governo provvisorio della Repubblica Algerina: «All'epoca della morte di Enrico Mattei erano ormai superate le ragioni di contrasto tra l'Eni e le cosiddette Sette Sorelle. C'era già stato un incontro tra Mattei e gli americani tale da smussare le residue ragioni di significativi contrasti».
Concorda con questa interpretazione anche Giuseppe Restelli, capo del personale Eni in quegli anni. Fu in altri termini il Mattei protagonista della vita politica italiana, e non il petroliere eversore del sistema internazionale, a meritare considerazione. Fu l'uomo ormai in grado di sfuggire a ogni controllo che assunse rilevanza politica, poiché in grado di usare «il suo enorme potere economico, insieme al ricatto e alla corruzione, per intimidire il governo italiano e minacciare così il funzionamento proprio della democrazia italiana», annota il magistrato. Dunque, non gli americani, non i francesi o l'Oas e neppure la mafia, intesa perlomeno come mandante. E allora chi e perché ha ucciso Enrico Mattei? Le conclusioni dell'inchiesta del pm Calia non offrono risposte certe: da questo momento in poi si muovono nel campo di pure ipotesi.
Evocano fatti, personaggi, interpretazioni. Ipotesi che si fermano, appunto, a «sospetti», a «illazioni». Scenario «tutto italiano». Due giorni dopo il «disastro» di Bascapé, il 29 ottobre del 1962, un «appunto» trasmesso dal Sismi riferisce, a proposito della morte di Enrico Mattei: «Nei circoli di sinistra sia della Dc che degli altri partiti (Psi-Psdi-Pci) il rincrescimento per la sua scomparsa è profondo. Per la destra - cioé il settore politico ed economico - per quanto doloroso affermarlo, si è rilevata una certa soddisfazione, non certo per la morte, ma per la scomparsa di persona che dava e stava dando fastidio». Mattei finanziava la politica, era il «nemico» di certi circoli economici e politici, anche dell'estrema destra, svolgeva un ruolo parallelo di ministro de facto degli Esteri, con i suoi progetti e rapporti con l'Algeria, con l'Unione Sovietica, i paesi del Mediterraneo.
Il presidente dell'Eni era consapevole di essere a rischio: in quel periodo aveva ricevuto diverse minacce. Alla moglie, alla vigilia del viaggio in Sicilia, il 26 e 27 ottobre del 1962, confidò: «Può anche darsi che io non torni più». La decisione di dotarsi di una scorta personale di cui fidarsi, la scelta di decidere sempre all'ultimo momento i suoi spostamenti, gli itinerari e orari sono la conferma dei suoi sospetti. Anche nell'ultimo viaggio verso la morte, Enrico Mattei tentò di «depistare» i nemici, portandosi in Sicilia due Morane Saulnier della flotta aerea dell'Eni, e lasciando sino alla fine aperta la destinazione del suo viaggio di ritorno: Roma o Milano. Ma sono soprattutto i depistaggi, le soppressioni di prove e documenti, le ingerenze e le pressioni documentate dall'inchiesta del pm Calia la conferma della pista tutta italiana. Nelle conclusioni della sua inchiesta decennale, il magistrato pavese dedica un importante capitolo a Eugenio Cefis, che all'indomani della morte di Mattei, prima come vicepresidente operativo dell'Eni e poi, nel giugno del 1967 (e lo sarà fino all'aprile del 1971), come presidente «assunse pertanto tutti i poteri» all'interno della holding fondata da Enrico Mattei. Il 1962 è un anno cruciale per le vicende dell'Eni e dei suoi protagonisti.
Il primo gennaio, Cefis si dimise dall'ente petrolifero italiano. La vera ragione di quell'allontantamento resta ancora oggi un mistero. Si legge in un appunto riservato dell'Ucigos del 1971: «In base a quanto riferito da fonti confidenziali, si è appreso quanto segue: Italo Mattei (fratello di Enrico, ndr) avrebbe la prova che l'allontanamento di Cefis dall'Eni, alcuni mesi prima del disastro aereo di Bascapé, non fu un gesto spontaneo, ma fu imposto dal defunto Enrico Mattei in quanto questi avrebbe scoperto che il Cefis faceva il doppio giuoco ed era collegato coi servizi segreti americani». Un'altra testimonianza (Nicola Melodia, ex vicedirettore generale dell'Agip) adombra divergenze tra Mattei e Cefis sulla costruzione (e il sostegno dell'Eni) della corrente di Base della Dc.
Lui, Eugenio Cefis, così motivò il suo abbandono: «Lasciai l'Eni perché mi ero reso conto che il momento di grazia dell'ente era finito e che con l'avvento del centrosinistra stava per venire a mancare la possibilità per l'Eni di portare avanti quello che ritenevo un giusto programma di sviluppo, anche in presenza di un diverso parere ufficiale del governo e della contrarietà delle forze politiche». Ancora un rapporto dell'Ucigos, del 9 dicembre del 1970: «Fonte fiduciaria ha riferito, in forma strettissimamente confidenziale, quanto segue: le recenti polemiche sulla morte di Enrico Mattei avrebbero indebolito la posizione di Eugenio Cefis, per i sospetti ingenerati sulla sua condotta passata. Sembra che, anche all'interno della stessa Eni, non manchi chi crede veramente che la morte di Mattei sia stata tutt'altro che fortuita».
Il Sisde nel 1998 consegna al pm Calia un vecchio appunto del 1979, forse quello più inquietante: «Da una ampia azione informativa e di sondaggio, sviluppata in collaborazione di alcune fonti "qualificate", in ordine alle recenti uccisioni dell'avvocato Giorgio Ambrosoli, liquidatore della "Banca Privata Italiana" di Michele Sindona, e del vicequestore Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo, sono emerse le seguenti indicazioni: (omissis); Si vocifera che il defunto vicequestore Giuliano si occupava, quasi a titolo personale, cercando di evitare ogni indiscrezione, della scomparsa del noto giornalista Mauro De Mauro, eliminato, si afferma, per aver trovato il bandolo della matassa sull'incidente aereo che costò la vita all'onorevole Enrico Mattei.
In proposito, un magistrato della Procura di Roma, collegando l'intera vicenda, avrebbe confidato a persona amica che, secondo il suo giudizio, l'eliminazione di De Mauro, dell'onorevole Mattei e del vicequestore Giuliano, gli richiamerebbe il nome dell'ex presidente della Montedison, Eugenio Cefis». Boris Giuliano, Michele Sindona, Sicilia, Milano, Stati Uniti, i grandi misteri italiani, la P2. Questa volta è il Sismi a ipotizzare scenari incredibili: «Notizie acquisite il 20 settembre del 1983, da qualificato professionista molto vicino ad elementi iscritti alla Loggia P2, dei quali non condivide le idee: la Loggia P2 è stata fondata da Eugenio Cefis che l'ha gestita sino a quando è rimasto presidente della Montedison (luglio 1977, ndr)».
Fin qui la ricostruzione del «complotto», le ipotesi che non trovano prove, il lungo «depistaggio». Per il magistrato la cornice è chiara: Milano, l'imprenditoria, la finanza, il potere economico ancora largamente schierato a destra. E poi Roma, il Parlamento con le sue Lobbies, la Dc con le sue correnti intrecciate e finanziate dagli Enti di Stato. Oltre, naturalmente a Piazza del Gesù. Il pm Calia non lo scrive, ma fa capire chiaramente di pensarlo: l'ordine partì di lì. Resta solo da capire, nell'incredibile romanzo di questo magistrato, perché un potere politico e un partito così avvezzi ad «assassinare» politicamente i suoi governi, al ritmo di uno all'anno, e i suoi leader, ogni due o tre, si sarebbe dovuto risolvere a un vero delitto per liberarsi di un uomo come Mattei, che si vantava di usare tutti i partiti «come dei taxi».
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La testimonianza della nipote
«Reale, ministro di Grazia e Giustizia mi disse: fu fatto fuori da quei tre»
PAVIA, 6/3/2003 Testimonianza di Rosangela Mattei, nipote di Enrico, figlia di Italo, raccolta nel 1971 dai magistrati di Palermo che indagavano sulla scomparsa di Mauro De Mauro: «Nel luglio del 1966, ovvero 1967, mi trovavo in Sassotetto, Hotel Hermitage, per ivi trascorrere un periodo di villeggiatura. Ricordo che una notte, verso le ore due circa, scesi dalla mia camera nella hall dell´albergo per cercare un rimedio al mal di stomaco che in quel momento mi affliggeva. Il portiere si accinse ad approntarmi una camomilla e io mi sedetti in attesa. Entrò nel frattempo nella hall dell´albergo l´onorevole Oronzo Reale, allora ministro di Grazia e Giustizia, il quale era reduce da una cena. L´onorevole Reale chiese al portiere chi fossi io, e avendo quegli detto che ero la nipote del povero Mattei, il ministro si avvicinò a me dicendo: "Ah, la nipote di quello che fu fatto fuori da Girotti, Cefis e Fanfani"».
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Gli 007 pochi mesi prima
«Secondo Saragat quando il centrosinistra sarà consolidato, l´Eni sarà normalizzato»
PAVIA, 6/3/2003 Appunto del Sismi del 28 marzo del 1962, sette mesi prima dell´incidente di Bascapé: «Nel quadro del "nuovo corso politico" nazionale, l´onorevole Giuseppe Saragat ha testé inviato un rapporto al Bureau dell´Internazionale Socialista sulla situazione politica generale italiana. Nel contesto del rapporto è detto che, "non appena il Governo" di centrosinistra si sarà consolidato, sarà normalizzata la gestione Eni attraverso il ridimensionamento delle sue pretese autonomistiche dei controlli effettivi dello Stato e la sostituzione del suo Presidente, ing. Enrico Mattei. Sulla sostituzione dell´ing. Mattei, il leader socialdemocratico italiano sostiene di essere d'accordo con il Presidente del Consiglio dei Ministri, on. Fanfani, il quale sarebbe propenso a bloccare e annullare l'appoggio che il Presidente dell´Eni discende dalla segreteria di Piazza del Gesù e dal Quirinale. Una delle condizioni necessarie per estromettere l´ing. Mattei dalla presidenza dell´Eni, secondo l´on. Saragat, sarebbe rappresentata dalla non rielezione del Presidente Gronchi».
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