Riministoria © Antonio Montanari

1914, Romagna rivoluzionaria
A Rimini il 25 luglio repubblicani a convegno


Rimini, 25 luglio 1914. I deputati repubblicani si riuniscono nella nostra città per esaminare la situazione italiana nel contesto internazionale. Il 13 luglio Benito Mussolini ha scritto un articolo nell’«Avanti!» (che dirige) sulla questione serba, tornata drammaticamente alla ribalta con l’uccisione a Sarajevo, il 28 giugno 1914, dell’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando e di sua moglie. Secondo Mussolini, un nuovo conflitto nei Balcani potrebbe significare «la guerra europea». Il 25 luglio dalle stesse colonne del giornale socialista, Mussolini ripete che la situazione è «oltremodo critica», ma rinuncia «a formulare ipotesi catastrofiche». Il giorno successivo, dopo il rifiuto di Belgrado di accettare integralmente l’ultimatum di Vienna, Mussolini sostiene l’«assoluta neutralità» italiana, gridando «Abbasso la guerra!»: nel caso di un allargamento dello scontro sarebbe toccato al «proletariato d’Italia» di muoversi, per non farsi condurre «al macello un’altra volta».

L’«altra volta» di cui parla Mussolini è la guerra di Libia: il 5 agosto 1911, Mussolini da Forlì aveva lanciato un appello a mobilitarsi con uno sciopero generale contro eventuali avventure militari. In un articolo pubblicato su «Lotta di classe», di cui era direttore, Mussolini aveva definito la patria una «menzognera finzione che ormai ha fatto il suo tempo». Il 23 settembre aveva sostenuto che «l’avventura di Tripoli doveva essere per molti un ‘diversivo’ che distraesse il paese dal porsi e risolvere i suoi complessi problemi interni».

Lo sciopero generale nazionale invocato da Mussolini, ed indetto per il 27 settembre, fallisce. A Ravenna, socialisti e repubblicani litigano tra loro. Soltanto a Forlì lo sciopero riesce per l’accordo dei due movimenti rivali: ricorda Elio Santarelli che è assalita la stazione, invaso lo zuccherificio, sono divelti pali telegrafici; non c’è però «spargimento di sangue fra forze dell’ordine e dimostranti, come era purtroppo capitato negli anni passati e nel susseguirsi degli scioperi e delle dimostrazioni in tante parti d’ Italia».

«Ancora qualche anno di buona propaganda e questa folla sarà capace di grande eroismo, di sacrifici fecondi», commenta orgoglioso Mussolini: il successo dello sciopero (che è anche un suo successo personale), preoccupa il governo il quale fa arrestare lo stesso Mussolini ed il repubblicano Pietro Nenni, segretario della Federazione Braccianti della «Nuova Camera del Lavoro» di Forlì, per attentato alla libertà di lavoro, resistenza alla forza pubblica ed eccitamento all’odio di classe. Condannati in primo grado il 23 novembre, essi sono trasferiti in carcere a Bologna ad attendere l’appello, dibattuto il 19 febbraio 1912: la sentenza infligge sette mesi e mezzo a Nenni, cinque mesi e mezzo a Mussolini, con la sua immediata scarcerazione. (Nenni, ad un altro processo, quello per la «Settimana Rossa», dirà: «Io credetti con Giuseppe Mazzini che la vita è missione e che noi siamo qui a collaborare alla lotta dell’umanità verso una società di liberi e di uguali»).

Dunque, per Mussolini non si doveva nel 1914 ripetere il «macello» della guerra di Libia, quella per cui Giovanni Pascoli aveva invece scritto: «La grande proletaria si è mossa». Quando il 25 luglio 1914 convengono a Rimini i deputati repubblicani, anch’essi decidono di sposare la linea della resistenza all’intervento a fianco dell’Austria.

Il 28 luglio Vienna dichiara guerra alla Serbia. Il 4 agosto il conflitto coinvolge le maggiori potenze europee e la Germania ha già invaso il Belgio. Il 5 agosto Mussolini scrive sull’«Avanti!»: «La neutralità del Belgio è stata violata», solidarizzare con la Germania significa «servire la causa del militarismo nella sua espressione più forsennata e criminale». (Maria José, figlia di Alberto re del Belgio, sposerà nel 1930 Umberto di Savoia, il «re di maggio».)

Il 22 agosto Mussolini grida: «Il proletariato offre la materia bruta, la carne da cannone colla quale gli Stati fanno la loro storia». Per ora sono parole di condanna. Più avanti diventeranno il suo comandamento politico (e la rovina dell’Italia). Mussolini è forte del successo elettorale socialista alle Amministrative tenutesi dopo la «Settimana Rossa» in più di trecento comuni tra i quali Milano e Bologna. La predicazione della violenza e della lotta ha dimostrato di poter raccogliere frutti.

In Romagna si fanno i conti con le conseguenze politiche e giudiziarie della «Settimana Rossa». A Savignano sul Rubicone il sindaco socialista Giovanni Vendemini è sospeso dalla carica.

Il 21 settembre a Roma, la direzione socialista approva un manifesto preparato da Mussolini, che ribadisce l’«antitesi profonda ed insanabile fra guerra e socialismo»: «la guerra rappresenta la forma estrema, perché coatta, della collaborazione di classe, l’annientamento dell’autonomia individuale e della libertà di pensiero».

Il 18 ottobre Mussolini cambia rotta. Sull’«Avanti!» inventa una formula nuova: «Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante». Così facendo, si distacca dalla linea ufficiale del suo partito, che lui stesso aveva delineato. Contro questa sua svolta, si esprime la direzione socialista il 20 ottobre a Bologna. Mussolini si dimette da direttore dell’«Avanti!». Il 15 novembre egli tiene a battesimo il suo nuovo giornale, «Il Popolo d’Italia», che si dichiara favorevole all’intervento. Mussolini intravede nella guerra l’occasione per realizzare la rivoluzione che aveva sognato durante la «Settimana Rossa». Il 31 luglio ha scritto su «Utopia»: «L’Italia ha bisogno di una rivoluzione e l’avrà».

«In Romagna un tempo», osserva Gaetano Arfé, «eran corse coltellate per tener ferma la distinzione tra la rivoluzione dei socialisti e quella dei repubblicani. Mussolini salta il fosso. La sua è una rivoluzione senza aggettivi, è la sua rivoluzione». Sulla testata del «Popolo d’Italia» appare una frase di Napoleone: «La rivoluzione è un’idea che ha trovato delle baionette». Mussolini in anni avvenire, ne cercherà otto milioni, di baionette. Per il momento ha cercato (in Francia) soltanto i finanziamenti al suo giornale che, nel primo numero, lancia «una parola paurosa e fascinatrice: ‘guerra’».

«Salta il fosso», Mussolini: ma la sua rivoluzione resta «senza aggettivi» soltanto per poco tempo: «quali che fossero in quel momento le sue intenzioni e le sue illusioni», precisa Giorgio Candeloro, Mussolini «divenne oggettivamente uno strumento delle forze di destra». Così la sua rivoluzione diventerà «fascista», senza timore di smentita.

«Nel rapido volgere di pochi giorni», ha scritto Giorgio Lotti, «dell’atmosfera della Settimana Rossa non» rimane «più niente»: ben presto essa appare «lontana e sfocata», mentre un’amnistia generale cancella anche le conseguenze penali per chi vi aveva partecipato (a dicembre, per la nascita di una principessa reale). Ma gli eventi romagnoli, e la loro «esplosione tellurica» (conclude Lotti), proiettano «egualmente conseguenze di incalcolabile portata» sulla politica italiana, durante e dopo la guerra, con la radicalizzazione della lotta politica «dalla quale saranno infrante e distrutte le garanzie della libertà».

Il 5 novembre 1914 il foglio cattolico riminese «L’Ausa» definisce Mussolini «un ciarlatano ombroso e un arrivista qualunque» da fischiare e spazzar via.

Antonio Montanari





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