Riministoria
© Antonio MontanariModelli letterari dell'autobiografia latina di Giovanni Bianchi
(Iano Planco, 1693-1775)
1. Anonimo ma non troppo
Il riminese Giovanni Bianchi (Iano Planco, 1693-1775) fu scienziato che nella Medicina, nella Filosofia e negli studi antiquari realizzò i suoi principali interessi culturali, per i quali fu noto in Italia ed in Europa.
Nel 1742 una sua Vita, apparsa nel tomo primo dei Memorabilia, curati da Giovanni Lami, venne presentata come opera di "autore anonimo". (1) In realtà si trattava di un'autobiografia in cui Planco proietta fedelmente i tratti caratteristici della propria personalità: esagerata considerazione di sé, spirito polemico, intolleranza verso le critiche e le opinioni contrarie alle sue. Era troppo fedele il ritratto rispetto all'originale perché l'autore fosse altri dal personaggio presentato in quelle pagine.
2. Dall'introduzione
Nel corso delle presenti pagine farò riferimento soprattutto alla parte iniziale dell'autobiografia di Planco. Ne riporto una mia traduzione:
Iano Planco Riminese nacque nell'anno del Signore 1693 il 3 gennaio; nello stesso giorno, come lui stesso è solito dire, in cui è nato M. T. Cicerone, secondo quanto sappiamo dalle Epistole ad Attico. Ebbe onesti genitori: da parte di madre faceva risalire la sua origine a Pandolfo Collenuccio, difensore di Plinio, e storico, che il Tiranno di Pesaro Sforza aveva crudelmente ucciso; dal lato paterno poi, come dicevamo, discendeva da gente onesta. Il nostro Planco inoltre, sebbene suo padre Girolamo fosse morto per volere del destino quand'era un fanciullo di appena otto anni, tuttavia subito rivolse l'animo allo studio delle Lettere, nelle quali si è nutrito per quasi tutta l'esistenza. E nelle quali, per la verità, non ebbe maestro alcuno, ma fu, come un tempo Gargettio, un autodidatta (2). Tuttavia nella sua città natale, presso i Loioliti soltanto fino agli undici anni, si applicò ai primi rudimenti del Latino, ma con saggezza e maturità abbandonò quelle minuzie e sciocchezze, e si dedicò alla lettura di Storici, Geografi, Botanici e Chimici, e di testi di varia erudizione [ ]. (3)
3. Percorsi inesplorati
Anche per l'autobiografia di Planco vale la constatazione fatta da Ezio Raimondi a proposito degli scritti di Benedetto Bacchini (1651-1721): "vi si cercano più notizie che idee". (4)
Nel caso di Planco ciò è accaduto sia con i suoi contemporanei, sia in età successiva, soprattutto per mano di Carlo Tonini. In vita Bianchi fu avversato da critici troppo spesso soltanto malevoli, che negarono i suoi pur evidenti meriti. In morte lo ha glorificato Carlo Tonini che, tuttavia, nell'ampio medaglione apparso nella sua celebre "Coltura" (5), non ha trascurato di ricordare i difetti di comportamento che caratterizzarono l'esistenza di Bianchi (6).
Ma Tonini, attento appunto più a raccogliere notizie che a ricostruire idee, non ha ad esempio approfondito gli aspetti legati alla formazione culturale del medico riminese. Le pagine di Tonini hanno condizionato gran parte degli ulteriori studi su Planco, la cui dimensione di filosofo oltre che di erudito è stata trascurata, nonostante i significativi suggerimenti che troviamo disseminati in numerosi luoghi dell'autobiografia del '42, restati come tracce di percorsi inesplorati. Per non aver prestato eccessiva attenzione alle idee piuttosto che ai meri fatti di cronaca, Tonini ha poi tralasciato di studiare l'abbondante materiale esistente tra le carte del Fondo Gambetti presso la Civica Biblioteca Gambalunghiana di Rimini.
In tali carte, una notevole serie di notizie avrebbe potuto fornirgli spunti nuovi per comprendere (ad esempio) il senso dell'esperienza umana ed intellettuale dell'età giovanile di Planco, che da quei documenti risulta del tutto diversa rispetto a quanto invece viene narrato nell'autobiografia. Le notizie contenute in quelle carte, poste a confronto con la Vita del '42, demoliscono una parte (piccola, ma molto significativa) del monumento eretto da Tonini a Planco. Monumento che coincide con l'autoritratto che Bianchi stesso ci ha lasciato con l'autobiografia.
I documenti del Fondo Gambetti ai quali sto riferendomi, sono le lettere famigliari di Planco. (7) Il silenzio di Planco sui difficili momenti della giovinezza (il padre -come si è letto- gli muore che ha appena otto anni), non meraviglia più di tanto, pensando che anche Vico tralascia di narrare di sé "debolezze ed errori" a cui accenna invece in lettere private. (8)
4. Il contesto storico
Due questioni preliminari s'impongono: a) il significato ed il valore del genere autobiografico nella prima metà del Settecento italiano; b) la posizione che l'autobiografia di Planco assume nel contesto del suo tempo.
Nel 1728 nella Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici di Angelo Calogerà, appare il Progetto ai letterati d'Italia per scrivere le loro vite, già circolante manoscritto dal 1721 ed opera di Giovan Artico di Porcìa. Nella stessa Raccolta e nello stesso '28, viene pubblicata la Vita scritta da se medesimo di Giambattista Vico, primo frutto del Progetto di Porcìa. (9)
L'intendimento principale di Porcìa, al di là delle semplici finalità documentarie, era di riabilitare quei "valorosi Moderni" protagonisti del nuovo pensiero filosofico, che venivano considerati "tinti d'Eretica macchia". (10) Questo aspetto attribuisce al Progetto di Porcìa una funzione innovatrice che coinvolge temi che vanno oltre la semplice questione dell'autobiografia come genere letterario. Con il suo intendimento Porcìa si accostava all'esperienza di Cartesio che quasi un secolo prima, nel 1637, aveva compilato una confessione non rivolta al versante spirituale bensì a quello speculativo, come dimostra il titolo di Discorso sul metodo. Il versante spirituale nel Seicento italiano, sotto l'influsso della "consuetudine introspettiva inculcata dalla pedagogia gesuitica" (11), è rappresentato dal Soliloquio di Paolo Paruta (1592-3) e dalla Vita del cardinal Roberto Bellarmino (1613).
A Cartesio si era chiaramente ispirato anche Ludovico Antonio Muratori per il titolo, Intorno al metodo seguito ne' suoi studi, di alcune pagine autobiografiche del 1721.
Ciò dimostra come, nella prima metà del Settecento italiano, si fosse attenti a trasformare l'esperienza individuale dei principali intellettuali del momento, in un esame paradigmatico di moduli e modelli formativi che avevano agito su quelle personalità. A questo scopo, come è stato osservato, Porcìa aveva proposto nel suo Progetto una specie di questionario che si prefiggeva "una finalità educativa oltre che storiografica". (12)
Un intendimento documentario più erudito, testimoniato pure dal ricorso alla lingua latina, nella quale i testi apparvero, è presente nei Memorabilia che ospitarono l'autobiografia di Planco. Il loro editore, Giovanni Lami (1697-1770) fu "uomo di formazione complessa" (13), lontano dai temi autarchici e polverosi di molti suoi contemporanei, ma pur sempre legato ad un concetto classico di cultura, attestato -nello stesso primo tomo dei Memorabilia - dalla chiusa della prefazione (14), in cui si esalta la grandezza dell'Italia ricorrendo alla parafrasi di un verso virgiliano (15) che dichiara un'attenzione maggiore al clima letterario piuttosto che a quello scientifico-filosofico, prevalente invece nel Progetto di Porcìa.
In contrapposizione alla citazione 'nascosta' del verso virgiliano, non va tuttavia dimenticato il passo della prefazione stesa da Lami, in cui s'incontra l'idea vagamente illuministica di uno studio letterario utile "per comprendere l'origine e il progresso delle dottrine". (16)
Lo scopo dei Memorabilia dichiarato da Lami ("soddisfare alla curiosità degli Eruditi"), coincide perfettamente con le intenzioni che guidano Planco nella stesura dell'autobiografia: documentare una geniale esperienza giovanile (che ora sappiamo, attraverso i già ricordati documenti del Fondo Gambetti, non corrispondente al vero), e la successiva brillante carriera scientifica. Anche sul piano personale, tra Lami e Planco corrono affinità riassumibili in quegli aspetti psicologici già sottolineati per il riminese. Pure Lami ebbe infatti grande stima di sé, un radicato gusto della polemica e della provocazione spinta sino all'ingiuria. (17) Ad attenuante, sia per Planco sia per Lami, vale la constatazione dell'Altieri Biagi: "Non ci possono essere convivenze pacifiche, nella storia della scienza". (18)
Qualcosa di simile al questionario allegato da Porcìa al suo Progetto, dovette essere lo "stampato" di cui abbiamo notizia dalla lettera che apre il carteggio (inedito) di Lami con Planco (19), datata 25 novembre 1741, e che trascrivo integralmente:
Io mi lusingo che V. S. Ill.ma sarà prosperamente arrivato in cotesta Città, e che non le mancheranno affari per essere impedito di attendere alla preghiera de' suoi buoni servitori e amici, quale io mi professo. Pure affidato nella sua ben cognita bontà e cortesia, ed in quella sua felice facilità di produrre i parti del suo cultissimo ingegno, la supplico a volermi favorire le Notizie promessemi della sua dottissima persona a tenore dello stampato accluso in quella estensione che più le gradirà, ed in Latino, avendo caro di adornare la mia impresa col suo aureo stile, che ancora io all'occasione cercherò di dimostrarmele quale invariabilmente mi soscrivo. Di V. S. Ill.ma dev.mo obb.mo serv.re Gio. Lami
5. Tra erudizione antica e ragione moderna
Per capire il significato dei richiami fatti sin qui al termine "erudizione", ed al suo uso agli inizi del 1700, ci soccorrono alcune preziose osservazioni di Ezio Raimondi a proposito di Muratori, nella cui posizione confluiscono, attraverso gli insegnamenti di Benedetto Bacchini, quelli del "galileismo malpighiano". (20) Se Bacchini ha sostenuto che Galileo è l'iniziatore della Filosofia moderna, Malpighi aveva portato alla nuova cultura un solido contributo, invitando a considerare non "così facile, come altri pensa" il mestiere dell' "osservatore" perché esso richiede, oltre a "grandissime cognizioni per dirigere il metodo, copiosissime serie d'osservazioni per vedere la catena e il filo che unisce il tutto, una mente disappassionata con una finezza di giudicio": "non è mestiere per tutti". (21) Con Malpighi s'impone quindi un'idea di cultura che oltrepassa il concetto umanistico di erudizione "oratoria o all'antica", per usare le parole di Raimondi.
Bacchini ha trasferito il discorso che Malpighi aveva limitato alla Medicina -il cui fondamento il medico bolognese aveva individuato nella Filosofia (22)- dal piano della pura indagine scientifica a quello della formazione intellettuale del "letterato", al quale è necessaria un'"enciclopedia" del sapere che spazi tra "diverse scienze" ed "arti distinte" (23), e nella quale (come spiega Raimondi) "la presenza del discorso scientifico galileiano implica subito, senza bisogno di alcun commento, un forte impegno razionalistico, una schietta tensione, se non proprio inquietudine, dell'intelletto" (24). Esemplare traduzione di questi intendimenti fu il Giornale de' letterati promosso da Bacchini per diffondere uno spirito enciclopedico necessario ad assimilare quanto di erudito si pubblicava in Europa. (25)
Con Muratori infine, quest'idea di erudizione "di gusto moderno, sul tipo scientifico", aggiunge Raimondi (26), viene tradotta in metodologia innovativa, ribadendo di continuo "che non esiste erudizione che non sia legata allo spirito critico e nutrita di ragione moderna" (27), con la volontà altresì di operare per il bene di tutti.
Il "letterato" di cui ha parlato Bacchini, con il suo sapere enciclopedico articolato tra scienze ed arti, pare quasi proporsi come modello ideale per l'"erudito" al quasi si rivolge Lami nella prefazione ai Memorabilia. All'uomo dotto di Lami che vuol decifrare il "progresso delle dottrine" (leggendo inevitabilmente -immaginiamo- anche Galileo), ma che non tralascia la cultura latina ed i suoi lasciti, rassomiglia a sua volta lo stesso Planco, o almeno l'immagine che il riminese vuole accreditare di sé al lettore, quando narra la propria educazione e l'esperienza compiuta nei circoli intellettuali della città di Bologna, nella cui Università, il 7 luglio 1719, Planco si laurea "in Medicina, & in Philosophia" (28), dopo due anni di studi.
Se l'insegnamento scientifico di Malpighi perviene a Planco attraverso la Scuola bolognese, altrettanto non succede per la lezione morale dello stesso Malpighi che di sé aveva detto: "[ ] nelle mie cosette ho procurato d'esprimere li miei sentimenti con la dovuta modestia e senza giattanza, anche con mio svantaggio, portando le cose con snervatezza". (29)
Non si tratta di una semplice differenza di carattere o di personalità: in Planco sembra mancare la spinta ideale a percorrere le strade che toccano i difficili sentieri della riflessione morale, dove si scopre che, al di là di scienza acquisita e di comportamenti naturali (per non dire innati), c'è la regola che ci impone di confrontarci sempre e comunque con la realtà che ci circonda. Quest'osservazione può trovare conferma nell'impianto complessivo dell'autobiografia di Planco, che vuol essere l'esposizione di elogi e meriti acquisiti, non una riflessione sulla posizione dello scienziato e del letterato nella nuova società che stava profilandosi nella vita italiana.
Planco appare completamente estraneo a questi temi che invece caratterizzano il dibattito culturale di Bologna, la cui Università è stata ravvivata nel 1711 dalla nascita dell'Istituto di Scienze per iniziativa del generale Luigi Ferdinando Marsili che, scolaro del Malpighi, nella nuova istituzione seppe far rivivere lo spirito del maestro. Attorno all'Istituto ruotano personaggi come Iacopo Bartolomeo Beccari (titolare nell'ateneo felsineo della prima cattedra di Chimica istituita in Italia), Lelio Trionfetti (botanico) e Pier Jacopo Martello (poeta). Dell'amicizia di costoro, Planco si vanta nell'autobiografia. (30)
6. "Farsi degli Amici e non de' nemici"
L'autobiografia di Planco conclude il primo tomo dei Memorabilia, aperto dalla Vita di Benedetto xiii (1649-1730), e contenente anche gli Elogi di L. A. Muratori (nato nel 1672, vivente al momento della pubblicazione), Benedetto Bacchini (scomparso nel '21) e Scipione Maffei (1675-vivente): nomi che costituiscono un'eletta schiera la quale illumina di riflesso la figura di Planco. (31)
Al di là delle polemiche che lo scritto di Planco suscitò per i ricordati toni di eccessiva autocelebrazione, resta il dato di fatto della presenza del riminese a fianco di personaggi che furono protagonisti della vita culturale nazionale. Il che è un elemento da non trascurare, ai fini della valutazione dell'attività culturale e scientifica di Planco.
Planco aveva conosciuto personalmente Bacchini a Padova nel 1720. (32) Bibliotecario dell'Estense di Modena dal 1697 al '99, Bacchini fu maestro di L. A. Muratori che gli successe all'Estense dal 1700 fino alla morte avvenuta nel '50.
Sui rapporti tra Muratori e Planco, e circa il ruolo svolto da Planco nella cultura del Settecento italiano, va citata una lettera di Muratori al riminese: "Mi rallegro [ ] al vedere che non passa letterato per Rimini, che non faccia capo a lei". (33) Possiamo immaginare come quest'epistola muratoriana sollecitasse l'orgoglio di Planco. E in antitesi a ciò, ricordiamo gli scrupoli di Muratori dovuti al timore di cedere alla vanità nel dettare le pagine autobiografiche ricordate. (34) Scrupoli che non s'intravedono affatto per il medico riminese, a proposito della propria persona, e non soltanto per quanto riguarda l'autobiografia.
La saggezza muratoriana emerge anche da alcune lettere indirizzate a Planco: "Dio le ha dato talento per giovare al pubblico colle sue osservazioni e colla sua penna. Bisogna coltivare, o per dir meglio trafficar questo tempo. Solamente si studj di non isprezzar gli altri, ed anche i minori, e di farsi degli Amici e non de' nemici". (35)
Di Bacchini va infine ricordato che la sua autobiografia, stesa nel 1705, apparve postuma nel Giornale de' letterati del 1721-22 (pp. 295-319). Ad essa fece seguito, nello stesso foglio, un aggiornamento sino alla morte, stampato nel '23. Da entrambi gli scritti (autobiografia ed aggiunta), emerge un'attenzione così acuta verso le più varie esperienze intellettuali, da farne quello che è stato definito un "vero maestro d'interdisciplinarità". (36)
Nella figura e nell'opera di Bacchini forse Planco individuò un exemplum culturale e letterario da imitare. Nel '23, quando appare la parte conclusiva della biografia di Bacchini, Planco ha trent'anni, ed è già laureato da quattro: proprio nel '23 comincia a peregrinare per l'Italia contattando luminari, e allacciando rapporti di lavoro. Non tralascerei poi un particolare non certo secondario: Bacchini, oltre che studioso di Filosofia e Matematica, si occupò pure di Anatomia, disciplina insegnata da Planco all'Università di Siena dal 1741 al '44. La complessità di interessi presenti in Bacchini, documentata sia nell'autobiografia sia nell'aggiunta, agì probabilmente come modello, o suggerimento magari inconscio, non soltanto nella concreta esperienza scientifica di Planco, ma anche nel lavoro di stesura del proprio autoritratto.
7. Con stile 'alto', e senza modestia
Planco costruisce l'inizio dell'autobiografia non come documento storico, ma quale pagina sapientemente letteraria che appare strutturata su due piani. Il primo è quello della narrazione dei fatti in terza persona. Il secondo è costituito dalla scenografia che fa da sfondo, ed il cui scopo principale è di far risaltare la figura del protagonista, affascinando il lettore non tanto con la verità dei fatti raccontati, quanto con la splendidezza dei richiami introdotti. Non si tratta di un giuoco narrativo fine a se stesso. L'autore vuole proiettarsi su scenari antichi, in un giuoco d'incastro tra passato e presente, rivolto a nobilitare il presente grazie alla luce del passato.
Mancando del tutto al nostro quella "dovuta modestia" a cui si era richiamato Malpighi, Planco sceglie uno stile 'alto' con cui ricamare la pagina. C'è molta solennità, proprio subito all'inizio, quando Planco dichiara di esser nato nello stesso giorno in cui era venuto al mondo Cicerone. La notizia non aggiunge nulla sul piano della narrazione storica, ma suggerisce parecchio su quello dell'invenzione letteraria.
Non ci sono riscontri per estendere il discorso all'ipotesi astrologica, come se Planco avesse voluto vedere in una specie di oroscopo indizi favorevoli ad una gloria simile a quello dello scrittore latino. Resta la constatazione che, quale incipit, il ricordo di Cicerone può avere un suo valore, e certo appare di effetto e ben riuscito. Ma da dove trae origine questo richiamarsi all'antico?
L'intendimento di Planco di costruire un testo letterariamente notevole, è confermato dallo scarto che esiste tra le notizie ricavabili dal materiale documentario sulla sua giovinezza, e l'immagine autobiografica intessuta nell'opera pubblicata da Lami. Per questo fatto, molte altre informazioni in essa riportate, vanno prese con beneficio di inventario, come quelle sulla sua carriera scolastica.
8. Rimandi alla cultura classica
Planco narra che fino agli undici anni frequentò il collegio riminese dei Gesuiti, per apprendere la lingua latina. Probabilmente i suoi studi alla scuola dei Loioliti furono più profondi di quanto Planco abbia voluto accreditare, per presentarsi come genio precoce capace di autogestirsi. (37) Forse in quell'ambiente egli ebbe un primo approccio con l'epistola petrarchesca Posteritati, che risulta rispondente in modo perfetto ai modelli pedagogici dei Gesuiti, miranti al ripiegamento su se stessi, esemplificato anche nelle Confessioni di Sant'Agostino che ritornano proprio nell'esperienza del poeta del Canzoniere. (38)
Nell'epistola Posteritati, il cantore di Laura narra di discendere "d'antica famiglia come di sé dice Cesare Augusto". (39) Petrarca nel richiamo a Cesare Augusto si rifà ad un passo di Svetonio in cui si legge: "Da parte sua Augusto scrive semplicemente di essere nato da una semplice famiglia equestre, antica e ricca". (40) Sia Svetonio sia Petrarca si ispirano ad un principio di modestia, accentuato nell'autore del Secretum da una prospettiva cristiana di autoanalisi, presente immediatamente prima del passo citato quando si definisce "omiciattolo mortale".
Per Planco, l'inserimento nell'autobiografia dell'accenno ad origini antiche della sua famiglia, è invece motivo di smisurato orgoglio: come si è visto nella citazione qui riportata all'inizio, uno dei suoi antenati sarebbe stato (per parte materna), Pandolfo Collenuccio, umanista e politico del xv secolo.
Se ogni pagina letteraria ha in sé segrete armonie e sottili corrispondenze, nulla di più utile a rendere accorto il lettore, ai fini della comprensione del personaggio (auto)biografato, è questo rimando alla cultura classica. Rimando duplice, considerando anche l'accenno alla data di nascita in comune con Cicerone. Per confermare la discendenza da Collenuccio nulla è possibile incontrare nei documenti, al di là delle dichiarazioni di Planco, la cui veridicità potrebbe essere ridotta a pura coincidenza di nomi, così come esiste quella di date, per la nascita, tra Bianchi e Cicerone.
Tra i documenti inediti del Fondo Gambetti, Miscellanea Manoscritta Riminese della Gambalunghiana, si trova la Polizza Matrimoniale della Sig.ra Candida Cattarina, madre di Iano Planco e figlia di Bartolomeo Maggioli di Rimini e di Lucia Gulinucci. Nelle Memorie mss. autografe del suo sposalizio, e delle nascite dei suoi figli dal 24 aprile 1690 al 3 Nov. 1699 (dello stesso Fondo Gambetti, M. M. R.), Girolamo Bianchi seniore, il padre di Planco, definisce i suoceri "Ambi de' Borghi", località indicata nella Polizza relativamente a proprietà concesse in dote a Candida.
In margine a questa citazione documentaria è possibile avanzare due osservazioni. La prima. Il cognome Gulinucci poteva derivare benissimo da Collenuccio. Ancor oggi nel Cesenate s'incontrano Collinucci, Golinucci e Gollinucci. Ma nessuna 'prova' esiste sulla discendenza della madre di Planco (nata nel 1672 o '73) dal dotto umanista pesarese. Per cui propenderei per l'ipotesi di un'invenzione letteraria -da parte di Planco- al fine di realizzare una pagina autobiografica di stampo classico, secondo quegli influssi che potevano derivargli da una superficiale lettura della Posteritati di Petrarca, e dal clima che ispira l'operazione erudita di Lami; e che lo portarono ad una ricerca dell'antico come ingrediente retorico. Seconda osservazione. Anche al tempo di Planco, nel Cesenate, Collenuccio è cognome attestato: ne ho trovato traccia in una lettera (41) di Lucrezia Bianchi, cognata di Planco e vedova di Filippo Bianchi, spedita da San Martino in Converseto il 9 novembre 1769. Ciò nulla significa però ai fini della conferma o meno di quanto ipotizzato nel punto precedente: la differenziazione tra Gulinucci e Collenuccio potrebbe infatti derivare da fattori diversi e indipendenti dall'appartenenza allo stesso ceppo. La sopravvivenza del cognome Collenuccio (citato da Lucrezia Bianchi), o del Collenucci [suor Celeste Collenucci di Roncofreddo] che s'incontra nel ms. 974, il Commercium epistolicum di Planco (42), potrebbe invece diventare una prova 'psicologica' per comprendere e giustificare l'invenzione letteraria di Planco, riguardo alla discendenza materna.
9. Vico, Epicuro, Laerzio, Gassendi
A proposito della propria origine Planco dice che "ebbe onesti genitori". (43) Già Vico aveva spiegato di esser nato "da onesti parenti" (44), secondo una formula che è uno stereotipo del genere autobiografico (45).
Ma c'è un altro punto della Vita di Vico che ci interessa, là dove (46) il filosofo napoletano si racconta come "fanciullo maestro di se medesimo". Planco a proposito della propria prima giovinezza, ricorda di aver rivolto l'animo agli "studia litterarum" nei quali "non ebbe maestro alcuno, ma fu come un tempo Gargettio, completamente un autodidatta", secondo quanto si è letto nella citazione qui riportata all'inizio. In un passo di Boccaccio della Genealogia deorum gentilium si trova un "nemine docente". (47) Ma, rispetto a Boccaccio, resta più vicino a Planco -come fonte immediata- Vico, la cui Vita è registrata tra le opere possedute dal riminese nella propria biblioteca. (48) Va precisato, a proposito di autori di autobiografie, che il nome di Vico non appare nell'Epistola Apologetica di Planco, dove invece è mentovato Muratori, accanto a Cardano e Maffei, Giulio Cesare e Sant'Agostino. (49)
Il Gargettio citato da Planco quale esempio di autodidatta, è il filosofo Epicuro, così detto dal demo di origine, come si legge nelle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio. (50) Dalla medesima opera si apprende che Epicuro "nella lettera ad Euriloco afferma di essere autodidatta" (51): a questo passo rimanda inevitabilmente come fonte diretta, il passaggio incontrato in Planco. Nella biblioteca di Planco troviamo elencate tre edizioni delle Vite di D. Laerzio, edite nel 1505, 1596 e 1739. (52)
Non tralascerei, a proposito di Vico e Planco, e del loro esser stati fanciulli maestri di se medesimi, un'osservazione di carattere generale di Arnaldo Momigliano: "La cultura italiana rimane nel primo Settecento una cultura d'autodidatti". (53)
Circa la diffusione del pensiero di Epicuro nell'età di Planco ed in particolare a Rimini, è lo stesso Bianchi a narrare di averne fatto conoscenza attraverso padre Giovanni Bernardo Calabro, presso il convento cittadino dei padri Minimi. Dice Planco che però ben presto a padre Calabro venne ordinato, dal padre Generale del suo Ordine, di allontanarsi dai "giardini di Epicuro" e di passare nell' "accampamento dei Peripatetici". (54)
Il "Giardino" fu detta la scuola di Epicuro, perché sistemata in un edificio con giardino (anzi un orto), nei sobborghi di Atene: le espressioni "quelli del Giardino", "i filosofi del Giardino" divennero sinonimi di seguaci di Epicuro. Il richiamo di Planco al Giardino passa ancora attraverso Laerzio, ove si legge che "gli amici venivano a lui da ogni parte e vivevano insieme con lui nel giardino", (55) ed ove è riportato anche il testamento di Epicuro: "a patto che assegnino -come loro dimora per lo studio della filosofia- il giardino e i suoi accessori [ ]". (56)
Nell'Autobiografia di Vico, leggiamo che, già sul finire del '600, "si era cominciata a coltivare la filosofia d'Epicuro sopra Pier Gassendi". (57) L'espressione usata da Vico rimanda al De vita et moribus Epicuri, testo contenuto nell'Opera omnia di Gassendi (tomo v, libro x), della quale ho trovato elencate, nel catalogo antico (Gambetti) alla Gambalunghiana, due edizioni in sei tomi ciascuna, del 1658 e del 1727. Planco possedeva quella del 1727. (58)
In Planco il ricordo di Epicuro avviene così in due modi. Anzitutto, con la citazione diretta del nome del filosofo greco, quando si tratta di rammentare la censura che colpisce l'insegnamento riminese di padre Calabro. E poi, con la citazione criptica del soprannome (Gargettio), riservata a quegli eruditi a cui voleva rivolgersi Lami, secondo lo spirito colto di uno stile 'alto' che organizza la tessitura della pagina di Bianchi, quando si tratta di identificare la sua esperienza con quella di un personaggio del passato, illustre ma scomodo come poteva essere il maestro del Giardino. In Planco forse agivano timori di censure o di peggio, giustificabili alla luce delle persecuzioni napoletane (1691-93) contro i pensatori che si erano richiamati a Democrito ed Epicuro. (59)
C'è un'altra consonanza tra l'autobiografia di Vico e quella di Bianchi. Vico narra di esser stato "disertore degli studi", a causa di certe astruserie in essi incontrate. (60) Planco (come si è già letto) incrimina "minuzie e sciocchezze" dei Loioliti nell'insegnargli il Latino, che poi abbandona, sempre seguendo l'esempio di Gargettio, per dedicarsi "alla lettura di Storici, Geografi, Botanici e Chimici, e di testi di varia erudizione". Planco proietta così l'enciclopedismo bacchiniano nell'antica Grecia.
Anche Epicuro aveva avuto disprezzo per i suoi maestri di scuola, e grazie ad esso (secondo la testimonianza di Apollodoro, suo seguace), sarebbe approdato alla Filosofia. (61) Alla "buona Filosofia" si rivolge Planco a diciotto anni (62), allacciando amicizia con il filosofo e medico Antonio Leprotti, e diventando segretario dell'Accademia voluta dal vescovo di Rimini Antonio Davìa, un bolognese che era stato allievo di Malpighi. Sarà Leprotti a convincere Planco a studiare Medicina.
10. Le lettere di Lami a Planco
L'epistolario di Lami indirizzato a Bianchi, come si è visto, inizia nel '41 con la proposta di collaborare ai Memorabilia con un contributo autobiografico. (63) Successivamente (23 gennaio 1745), Lami scrive a Planco: "Io ho ripreso a dar fuora il secondo Tomo delle Vite degli Eruditi Italiani; se V. S. Ill.ma avesse da mandarmi la vita di qualche erudito di codesti Paesi, ve la inserirei volentieri". Il 30 gennaio '45 Planco risponde a Lami:
"Quattro o cinque vite di Eruditi Riminesi le potrò mandare, i quali si sono resi noti al Mondo anche con le stampe, e questi sono Monsig.r Marco Battaglini, che scrisse la Storia de' Concilj, gli Annali Ecclesiastici, e altre cose. Il dott. Giuseppe Malatesta Garuffi e il dott. Silvio Grandi, che stamparono ciascuno moltissime cose; e due Gentiluomini miei Amici il Sig. Andrea Battaglini, e il Sig. Giovanbattista Gervasoni, i quali hanno stampato veramente poche cose, ma erano molto dotti. In primo luogo io le manderò la Vita del Sig.r Andrea Battaglini, ma bisogna che lasciamo passare questo freddo, il quale più che gli intrichi de' malati ora m'impedisce a fare qualunque cosa e massimamente a scrivere". (64)
Delle cinque promesse, Planco scriverà soltanto due biografie. La Vita di Andrea Battaglini venne pubblicata come seconda, dopo quella di Marco Battaglini, nel tomo II,i dei Memorabilia. (65) La scelta di scrivere per prima quella di Andrea Battaglini, derivava forse da certi temi che tale biografia ha in comune con quanto Planco narra di sé: l'insofferenza verso gli studi imposti dai Gesuiti, l'esperienza da autodidatta, l'interesse nei confronti della Filosofia. (66) E probabilmente derivava pure dal fatto di poter parlare ancora di sé. (67)
L'epistolario di Lami non tocca temi culturalmente importanti. Dominano due registri. Quello contabile, con elenchi di stampe vendute, scambi, e i discorsi sugli abbonati riminesi o romagnoli delle Novelle, oltre alle notizie sul rapporto di lavoro con Bianchi. C'è poi il livello 'pettegolo', con suggerimenti polemici a Planco, oppure inviti alla moderazione fatti soltanto in nome del proprio particulare. Certi giudizi di Lami sui letterati italiani risultano particolarmente duri e sprezzanti. Nelle lettere non si trovano mai approfondimenti sulle intenzioni e sui programmi editoriali di Lami. Le risposte di Bianchi a Lami, come risulta dal cit. ms. 974 Commercium epistolicum, sono molto frequenti. (68)
11. Conclusioni su Planco scrittore
Il quadro che si è cercato di delineare finora, permette di trarre alcune conclusioni su di un aspetto particolarmente importante della figura di Planco: la sua attività di scrittore.
Nell'autobiografia pubblicata da Lami, egli mirava ad un ritratto ideale in cui le disarmonie incontrate nella propria vita, nella scuola, nella società, fossero superate in un equilibrio garantito in due modi: anzitutto, dall'intima essenza della pagina letteraria la quale, con la sua stessa esistenza attesta una realtà a sé che, per quanto lontana da quella vissuta in concreto, è giustificata da una 'regola' che bene spiegherà Leopardi: "L'immaginazione [ ] è la base della letteratura strettamente considerata" (69); e poi, dalla stessa genialità di Planco, capace di trasformare un anonimo giovane di provincia nel dotto da tutti ammirato. In questo modo Planco utilizzava i successi conseguiti ed il credito acquisito come un manto solenne su cui esporre anche gli antefatti della giovinezza, senza appunto preoccuparsi, per il valore ideale dell'autoritratto, che essi corrispondessero ai veri eventi.
Non volontà di menzogna spinge il nostro, bensì soltanto lo spirito di un letterato colto e capace di condurre a termine il proprio disegno, ma non dotato però di un sufficiente autocontrollo per evitare gli eccessi in cui inevitabilmente finì, quando il testo complessivo assunse la tinta predominante dell'esagerazione, subito denunciata dalle altrui invidie e gelosie.
Planco, nell'attribuire al proprio autoritratto un valore ideale, fu forse anche influenzato dal Progetto di Porcìa: i "valorosi Moderni" che Porcìa intendeva riabilitare, sono gli stessi autori studiati da Bianchi, il quale poteva sentirsi benissimo difensore della nuova Filosofia nella disputa con i vecchi Aristotelici. Questo ruolo emerge chiaramente dalle pagine autobiografiche del riminese.
Dietro ad ogni scrittore, c'è quasi sempre un attento lettore. La biblioteca personale di Planco era molto ricca, così come la conoscenza, da parte di Bianchi, di autori, testi e argomenti dibattuti ai suoi giorni negli ambienti universitari ed accademici. (70)
Una buona memoria poteva permettere a Planco l'assimilazione della conoscenza filosofica, che però non approfondì mai in un'analisi completa ed accurata. Ecco perché, ad esempio, si può parlare di Planco come di un "galileiano a metà". (71) Ecco perché un suo illustre allievo, Giancristofano Amaduzzi, nel descrivere l'attività intellettuale di Bianchi, fece un'osservazione pungente: "Mancò di un certo criterio, per il che fu soggetto talvolta a qualche paralogismo", cioè a sillogismi falsi con apparenza di verità. (72)
Planco scrittore poteva rimproverare ai colleghi di Siena d'insegnare una "anatomia cartacea", allo stesso modo in cui Galileo aveva parlato di "astronomia cartacea". E poteva scrivere a Muratori: "Io vorrei che i giovani, fino che sono in una certa età, non si divagassero tanto nella lettura di molti libri, ma vorrei che, avendo coltivato lo studio delle lingue erudite, cioè della greca, della latina e anche della nostra vulgare, stassero intenti a studiare unicamente per alcuni anni il bel libro della natura, i cui caratteri sono gli angoli, i triangoli, i quadrati, i circoli, le ellissi, i coni, i cubi, i cilindri e l'altre figure tutte, sì piane che solide. Con questo abecedario e con gli esperimenti e con le osservazioni prese dalla notomia, dalla buona chimica, dalla astronomia e da tutte l'altre arti utili al genere umano, si pongono certi fondamenti per le scienze tutte, senza de' quali è vano ogni nostro sapere [ ]". (73)
Ma questo più che Planco, è proprio il Galileo del Saggiatore (cap. 6), là dove si legge che l'universo è il "grandissimo libro [ ] scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intendere umanamente parole; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto".
La differenza tra lo stile di Galileo così lucidamente sintetico, e quello enumerativo di Planco, non è soltanto letteraria. Dietro, c'è una diversità di mente e di metodo. Planco appare retoricamente barocco, all'opposto della chiarezza concettuale della nuova Scienza.
Come scrittore Planco rivela soprattutto una capacità imitativa che metterà a frutto anche nelle novelle boccaccesche di cui si sono perse le tracce. (74) Come pensatore, resta al di qua delle grandi tematiche della nuova Scienza, alla quale pur si riferiva. Si veda ad esempio il testo delle Leggi dei rinnovati Lincei riminesi, dove si dice: "[ ] niente è migliore e più utile che diligentemente indagare su quanto, per un dato argomento, hanno espresso i dottissimi filosofi e gli uomini eruditissimi: tuttavia, ai loro pareri, e l'investigazione della stessa natura, e le proprie osservazioni, e il confronto su tutte le cose, e l'uso di discutere singolarmente su quella parte che sia più vera, aggiungano anche il giudizio" [nostro]. (75) Dunque: prima vengono i pareri dei "dottissimi filosofi", poi "l'investigazione della stessa natura". È la negazione del metodo della "sensata esperienza".
La ripetizione di concetti altrui da parte di Planco, come nella lettera a Muratori, non garantisce il pieno possesso della relativa dottrina. Se dal campo filosofico passiamo a quello della esperienza letteraria, possiamo chiederci: il suo modus operandi nei confronti della Filosofia, significa qualcosa anche in quello dell'attività di scrittore? La risposta mi pare debba essere affermativa. Se manca nella pagine di Planco quell'esame intellettuale o spirituale che troviamo nelle autobiografie di altri scrittori, ciò è dovuto alla caratteristica che emerge dal suo tipo di lavoro culturale, documentato a proposito dei pensieri filosofici, ed improntato ad imitazione superficiale e non a perfetta assimilazione. Per Planco potremmo ripetere un giudizio autobiografico di Antonio Genovesi: "Sapeva imitare quei ch'io stimava". (76)
Di conseguenza, il problema se il testo autobiografico corrisponda alla verità dei fatti, è altro da quello relativo alla genesi e alla struttura dell'opera di Planco. L'invenzione letteraria dimostra che è sorpassata la condanna pronunciata sic et simpliciter da saccenti e non disinteressati suoi avversari contemporanei. E non dimenticherei neppure che, se la verità cede il passo all'invenzione, ciò accade per motivi non soltanto di imitazione letteraria, ma pure esistenziali. I documenti 'ritrovati' del Fondo Gambetti, ci parlano di Planco come di uno studente svogliato e più propenso a frequentare cattive compagnie, piuttosto che star chiuso in casa, chino sui libri. Tutto l'opposto di quello che Bianchi narrò di sé. (77)
Tali documenti, se ci svelano da un lato un personaggio più umano, dall'altro ci obbligano ad esaminare l'autobiografia latina non soltanto come semplice espressione di un doctor gloriosus, un dottor vantone, ma pure quale opera dotata di una complessità di non facile decifrazione, dove c'è un continuo rimando dialettico tra la 'menzogna' esistenziale e l'invenzione letteraria. Con in mezzo il bisogno di una rimozione psicologica di momenti vissuti (e ripensati) soprattutto con umiliazione e dolore.
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