Riministoria© Antonio Montanari
Sigismondo Pandolfo Malatesti
 

In occasione delle celebrazioni per il 550° anno dalla sua fondazione e del 50° della sua riconsacrazione dopo i restauri postbellici, il Tempio Malatestiano è protagonista della mostra "Il tempio di Sigismondo, grafica malatestiana fra Rinascimento e Novecento".
L'esposizione si tiene nella sezione malatestiana del Museo della Città dal 23 settembre 2000 al 7 gennaio 2001.
Per informazioni:
Segreteria della mostra Museo della CittaÕ di Rimini:
Dott.sa Angela Fontemaggi, Dott.ssa Orietta Piolanti
Via Cavalieri 26
47900 RIMINI, ITALY
Tel: +0541.55414, tfax: +0541.28692
e.mail: musei@comune.rimini.it
 

SEZIONI DELLA MOSTRA
I. Alla «riscoperta» di Sigismondo
fine XVI - XVII secolo
II. L'erudizione intelligente
il Settecento
III. Ottocento positivista e sentimentale
l'Ottocento
IV. Glorie locali
il Novecento
V. Finire il non finito
ricostruzioni ideali del Tempio

I. Alla «riscoperta» di Sigismondo
fine XVI - XVII secolo

Dopo molti decenni di oblio, in parte tormentati da lotte intestine fra papisti e pandolfeschi, alla fine del Cinquecento si ricomincia a considerare con una certa curiosità ed un certo interesse la storia «malatestiana» della città e a ripensare con nostalgia alla sua passata indipendenza ed alla sua gloria di città capitale, ormai definitivamente perdute. Le prime storie della città vengono preparate alla fine del Cinquecento e vedono la luce all'inizio del Seicento: la più importante, quella del Clementini, si propone esplicitamente, fin dal titolo, di ripercorrere la storia malatestiana

.

II. L'erudizione intelligente
il Settecento

Gli eruditi del Settecento danno un forte impulso agli studi locali e molti ottimi contributi positivi alla ricostruzione della storia malatestiana, e specialmente di Sigismondo. Ricercano medaglie e monete, pubblicano scritti degli umanisti di corte, esaminano documenti d'archivio, rilevano monumenti con intelligente, operosa curiosità. L'indagine degli eruditi investe biblioteche e archivi pubblici e privati, e non si fa scrupolo nemmeno di frugare nelle stesse tombe dei «grandi» di cui si occupa; da essa emergono figure di grande interesse, come Sigismondo, Isotta, Basinio, e ambienti di singolare complessità e fascino, come quello della corte letteraria malatestiana. Il Tempio Malatestiano viene ormai considerato importante quanto i monumenti romani della città; e si comincia a disputare polemicamente sul suo «significato» cristiano e pagano.
 
 

III. Ottocento positivista e sentimentale
l'Ottocento

Allo spirito positivista dell'Ottocento si debbono indagini di tutti i tipi sul «Rinascimento malatestiano», nella scia di quelle settecentesche: l'arte, l'architettura, la storia, la genealogia interessano molto gli studiosi. Il Tempio Malatestiano, universalmente ammirato per la sua sobrietà classica, continua ad essere ripetutamente esaminato e misurato, proposto all'ammirazione degli studiosi e dei viaggiatori, ed alla riflessione degli studenti di architettura. All'ammirazione dei francesi di Napoleone si deve, proprio all'inizio del secolo, la sua «promozione» a cattedrale della Città. Ma tutto questo interesse riguarda un ambiente «internazionale» e pur ristretto di uomini di cultura «alta», e non sembra trovare eco sensibile nella comune opinione. Dagli ultimi decenni del secolo la letteratura erudita sembra decisamente sopraffatta da una pubblicistica più interessata al «sentimento» che alla ricerca storica, una pubblicistica che fantastica di grandi passioni e di grandi delitti, mentre il Tempio Malatestiano diviene quasi un simbolo di erotismo e di eresia.
 

IV. Glorie locali
il Novecento

All'inizio del Novecento Gabriele D'Annunzio e Adolfo Venturi hanno una parte considerevole nel diffondere un'immagine romantica delle vicende e dell'arte malatestiana, intrisa di sentimentalismo, sganciata dalla storia e pronta a trasformarsi in mito. E il mito presto entra facilmente nel circuito popolare, subendo una facile riduzione a chiacchiericcio e a pettegolezzo e nascondendo le voci di molti seri e attivissimi studiosi (come Aldo Francesco Massera, Giovanni Soranzo, Carlo Grigioni, Giuseppe Gerola, Corrado Ricci), generalmente ritenuti accademici, eruditi, insensibili al sentimento della vita. La pubblicistica locale usa il mito malatestiano come «gloria locale», ma con parsimonia e in funzione sempre più marginale, per una propaganda che batte altre strade: quella della romanità, se politica, quella degli svaghi marini, se turistica. L'antica vicenda malatestiana viene ridotta a storia di paese, scollegata anche dalle grandi scoperte artistiche di valenza nazionale che si venivano compiendo (come per esempio la "scuola riminese del Trecento"). Non meraviglia, dunque, nell'immediato dopoguerra, la sorpresa dei riminesi alla notizia di una generosa offerta degli «americani» per ricostruire il Tempio Malatestiano, distrutto dalle loro stesse bombe («ma era proprio così importante?»).
 
 

V. Finire il non finito
ricostruzioni ideali del Tempio

Del Tempio Malatestiano è sempre stata lamentata l'incompiutezza. Fin dal Seicento storici, eruditi, artisti si sforzarono di ipotizzare il suo compimento; più di una volta furono richiesti progetti «concreti» di completamento che fanno supporre una volontà positiva, fortunatamente frustrata da una congenita mancanza di fondi. Poche sono state, invece, le indagini archeologiche che hanno tentato di acquisire dati per supportare le ipotesi progettuali. Il «gioco» della ricostruzione ideale continua ancora oggi, in maniera più o meno seria e con mezzi più o meno moderni: ma sostanzialmente si basa ancora sull'unico documento in nostro possesso, costituito da una celebre (e piccola) medaglia raffigurante una prima ipotesi progettuale di Leon Battista Alberti, interpretata da Matteo de' Pasti intorno alla metà del Quattrocento.
 

 
 

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