Riministoria.

Antonio Montanari

I giorni dell'ira.

Settembre 1943 - settembre 1944 a Rimini e a San Marino

Capitolo VII. Fascisti e tedeschi di casa sul Titano

Quando la sera del 25 luglio 1943 alle 22.45 la Radio italiana annuncia la caduta di Mussolini, all’albergo Titano (noto covo dei fascisti sammarinesi), si svolge la solita partita a poker dei capi locali. Il segretario di Stato Giuliano Gozi "rimase tranquillissimo", mentre suo fratello Manlio (segretario del pfs) "fu colto da emozione". Ricorda Federico Bigi che da Roma arrivò una telefonata del console sammarinese: Badoglio è nostro amico, non c’è nulla da temere. "La serata si chiuse con questo commento umoristico di Giuliano Gozi: "Allora vorrà dire che a Palazzo al posto del duce metteremo il ritratto del maresciallo Badoglio"". C’era poco da ridere, per la verità. Anche San Marino stava per cambiare aria. Ma non senza traumi. Anzi, la Repubblica dovrà vivere momenti assai dolorosi.

"L’ora della resa dei conti era giunta anche per questi parodianti buffoni, e vani risultarono gli espedienti posti in atto il giorno 26 luglio, colla pubblicazione di un manifesto della Reggenza del tempo, in cui alle suadenti e fraterne raccomandazioni di calma e disciplina, si aggiungevano minacce di applicare con rigore le leggi contro coloro che intendessero turbare l’ordine pubblico. Non mancava il pistolotto in elogio al Maresciallo Badoglio che lo si considerava un caldo amico della Repubblica. Questa ostentata premessa che mascherava una latente paura, non servì che a prolungare di poche ore la vita dell’infausto regime": è una testimonianza del dottor Alvaro Casali.

Gli antifascisti locali si riuniscono subito a Rimini, il pomeriggio del 26, nell’ambulatorio dello stesso dottor Casali, un socialista che nel ’40 era stato costretto ad emigrare in Francia, da dove era tornato dopo l’occupazione tedesca, aprendo due studi, uno a Borgo ed uno a Rimini. Da quell’incontro, nasce il progetto di una manifestazione popolare che si tiene il 28 luglio al Teatro del Borgo, alla presenza di una folla strabocchevole. La vedova del dottor Casali, Antonia Amadei, ricorda che da Borgomaggiore gli antifascisti in corteo salirono al Palazzo della Reggenza, "per chiedere le dimissioni del Governo e lo scioglimento del Consiglio fascista".

 

 

Il giorno prima, 27 luglio, è stato sciolto il partito fascista sammarinese. Nella riunione del 26 a Rimini, era nato il "Comitato per la libertà" che il 27 tiene una seconda riunione "nella quale si decise di rompere ogni indugio e di passar la sera stessa all’azione, soprattutto perchè nella stessa mattina i fascisti di San Marino avevano assunto un atteggiamento di sfida ed avevano promesso, siccome il loro vecchio sistema, bastonate e piombo ai loro oppositori", si legge in un numero unico del Comitato stesso, edito il 3 settembre ’43 con il titolo 28 luglio.

"La notte non si dormì", prosegue il foglio: "Giovani vibranti d’entusiasmo e di fede s’irradiarono per ogni frazione della Repubblica, chiamando a raccolta il popolo alla riscossa…". All’alba del 28 "una folla, forse non mai adunata nel nostro paese", invase "le anguste vie del Borgo, raggiante di sole e di gioia". Il comizio di Borgo fu presieduto da Francesco Balsimelli che poi guidò il corteo assieme all’avv. Teodoro Lonfernini e ad Alvaro Casali. "Si svolsero lunghe trattative dei dimostranti con i Capitani Reggenti che infine decretarono lo scioglimento del governo. A mezzogiorno fu costituito un governo provvisorio di venti membri, che nel pomeriggio fu poi allargato a trenta. Tra i quali mi ritrovai anch’io, ventitreenne", spiega Federico Bigi, noto esponente democristiano. Suonarono a festa tutte le campane. Alla testa del corteo c’erano le bande musicali, racconta una cronaca del tempo, dove si legge anche che i fascisti sammarinesi si erano illusi di tenere il potere pure dopo il crollo di Mussolini.

Chi erano gli uomini del fascio sul Titano? "Praticamente un unico personaggio con i suoi famigliari riassumeva tutti i poteri effettivi. Si tratta di Giuliano Gozi, al quale non si perdona d’esser stato accentratore assolutista, despota, segretario al Ministero degli Interni; egli assunse anche quello degli Esteri, vale a dire l’intero Gabinetto sammarinese che si compone appunto di due soli Ministri", prosegue quella cronaca. Come un dittatore, "S.E. Gozi nominò vice cancelliere un suo cugino, Enrichetto Gozi, e Segretario del partito fascista sammarinese il fratello Manlio".

 

 

Il primo agosto, il "Comitato per la libertà" creato dall’assemblea del 28 luglio, esulta: "È caduta la tirannia che per oltre un ventennio ha deviato la Repubblica dal suo millenario cammino". I cittadini sono invitati "a mantenere quell’attitudine di calma che è lo spettacolo più grande che possa dare un popolo offeso nelle proprie prerogative ma sicuro del proprio diritto".

Il 10 agosto lo stesso Comitato cancella tutti i provvedimenti presi dal governo sammarinese tra primo aprile 1923 e 27 luglio 1943. Ne destituisce i vecchi componenti. Nomina un Sindacato straordinario "che indaghi sulle responsabilità politiche e amministrative di tutti gli esponenti del governo e del partito fascista ed applichi le eventuali sanzioni a norma di legge". Ed invita la repubblica a girare pagina: non più arbitrii, abusi, privilegi, immunità, connivenze "create da un regime dispotico e incontrollato".

Il 5 settembre vengono convocati i Comizi elettorali a lista unica per scegliere i sessanta componenti del Consiglio Grande e Generale che, nella prima seduta del 16 settembre, ascoltano il discorso dell’anziano leader socialista Gino Giacomini, mandato esule a Roma dal fascismo: "Noi non abbiamo né vendette da compiere né collere da sfogare. Esse sarebbero una meschinità e una degradazione indegna di noi e della nostra Terra". Ci si affidava ad una "giustizia alta e serena" che accertasse "le responsabilità del malgoverno, che ha trascinato il Paese a tante funeste contingenze". Sembrava che il peggio fosse passato per sempre.

 

 

Il 5 ottobre 1943 un reparto di SS con tre autoblinde entra in territorio sammarinese, guidato dai fascisti del luogo, per arrestare gli esponenti più rappresentativi del "Comitato per la libertà" e per "abbattere il Governo Democratico sorto dalla caduta del fascismo", come narrerà Alvaro Casali in una sua "Memoria storica". Le SS "dopo aver forzato e prelevato tre prigionieri alleati ivi internati, arrestarono alcuni cittadini notoriamente antifascisti e li trascinarono oltre confine sotto la minaccia della fucilazione", scriverà Casali che, quella mattina del 5 ottobre 1943, riesce a sottrarsi alla cattura.

Le SS andarono poi al Palazzo del Governo e "minacciarono con le armi i Capitani Reggenti ingiungendo loro di cedere il potere agli spodestati fascisti che erano accorsi in veste di salvatori del Paese", racconta ancora Casali. Le SS provenivano da Pesaro, precisa Gildo Gasperoni, aggiungendo che della presenza dei tre prigionieri inglesi "venne a conoscenza un fascista repubblichino di Verucchio". Ecco perchè si può ritenere che le SS siano state chiamate dai repubblichini riminesi. (Secondo la vedova Casali, il "fascista di Verucchio" era un veterinario di quella località.)

Tedeschi, repubblichini italiani e sammarinesi perlustrano San Marino, da Borgo a Città. Sono circa le 7, ricorda la vedova Casali, quando vede dalla finestra della propria abitazione, i militari tedeschi che entrano nella casa dell’avv. Teodoro Lonfernini che sarà poi arrestato. Le SS arrivano anche nell’appartamento di Casali. Tra gli accompagnatori dei tedeschi, la moglie del medico riconosce Marino Berti, e lo rimprovera: "E tu non ti vergogni a girare con questi tipi". Per tutta risposta i nazisti le puntano una pistola al petto e perquisiscono la casa. I repubblichini ed i tedeschi trovano soltanto un revolver a tamburo, che sequestrano. Usciti dall’abitazione, SS e fascisti tentano di bloccare i figli di Casali, che hanno diciotto e sedici anni. I due ragazzi riescono a scappare.

"Quel giorno per i sammarinesi fu di confusione, di paura", spiega la signora Casali: "Ricordo che mio marito, come tanti altri antifascisti cercati dai fascisti sammarinesi, da quelli italiani e dai tedeschi, era scappato per le campagne, e dal suo nascondiglio mi aveva mandato un messaggio di stare tranquilla". Qualche giorno dopo Giordano Giacomini avvisa i Casali "che nella notte sarebbero venuti i tedeschi a portare via gli uomini", racconta ancora la signora: "Allora mio marito Alvaro, Gino e Remy Giacomini con Doro Lonfernini scapparono di casa". Trovano rifugio ad Acquaviva dal suocero di Lonfernini, poi vanno a Torriana da Sandrino Tosi ed infine a Rimini, dove sono ospitati da Giovanni Grossi e da Aldo Pelliccioni.

Gli arrestati del 5 ottobre vengono portati a Montelicciano. Ricordando quel periodo, Federico Bigi parla di "premonitrici incursioni armate nel nostro territorio di tedeschi e repubblichini italiani". Nazisti e brigatisti neri cercano di esportare sul Titano la guerra civile di Salò. Rientra nella logica repubblichina l’attacco ad alcuni protagonisti del 28 luglio, che erano nel "Comitato per la libertà" della Repubblica.

Un’altra testimonianza di Alvaro Casali: "Dalla vicina Rimini, quasi ogni giorno gruppi di brigatisti facevano le loro incursioni sul territorio della Repubblica, abbandonandosi a sistematiche sopraffazioni, perquisizioni domiciliari, requisizioni di generi alimentari, rapimenti di elementi rifugiati, spari di armi e continue minacce di rastrellamenti. I Tedeschi, pur non mostrando simpatia per il governo, non arrivarono mai a simili eccessi...". Aggiunge lo storico Cristoforo Buscarini: "I fascisti sammarinesi, forti della complicità di quelli italiani e delle truppe tedesche, si abbandonarono a rilevanti atti di violenza fino al tentato omicidio".

 

 

Il governo sammarinese riesce ad ottenere la liberazione dei propri concittadini arrestati il 5 ottobre ’43. L’ambasciatore tedesco a Roma il 22 ottobre viene informato dal ministero italiano degli Affari esteri su "alcuni incidenti verificatisi nel territorio della Serenissima Repubblica di San Marino mediante procedimenti arbitrari da parte di Autorità Militari Germaniche". Il console tedesco a Venezia esprime a San Marino il rammarico dell’ambasciatore, e comunica che "sono stati impartiti ordini precisi" per far rispettare la neutralità sammarinese: "Inoltre sono stati dati ordini di rendere responsabili i colpevoli".

Questo documento, trascurato finora, è importante per due motivi. Anzitutto, perché riconoscendo che gli incidenti erano da condannare come violazioni della neutralità di San Marino, implicitamente scaricava la responsabilità dell’accaduto sui repubblichini riminesi che avevano guidato le SS nel territorio del Titano, istigandole alla cattura di antifascisti locali che nulla avevano che fare con la situazione italiana. Secondo motivo. La comunicazione all’ambasciatore tedesco è del 22 ottobre. Il 25 dello stesso mese sale a San Marino il feldmaresciallo Erwin Rommel, per quella che non fu una semplice visita da turista.

Precisa Casali: "Per allontanare altri pericoli, il Governo sammarinese credette opportuno di prendere contatti coi vicini Comandi Tedeschi e mentre le trattative si stavano avviando", ecco arrivare Rommel. Dalle domande rivolte da Rommel a Federico Bigi, si deduce che era un’ispezione vera e propria per verificare la situazione politico-militare di San Marino, e la dotazione di armi e munizioni. Non si trattava di una gita.

Dopo le chiare risposte di Bigi ("Non esiste munizionamento" per i quattro cannoni donati dal re d’Italia nel 1907, che sparano a salve tappi di legno e polvere nera; per i pochi fucili modello ’91, i caricatori sono chiusi nelle casse, e quindi è come se quelle armi fossero non usabili), Rommel propone un ‘modus vivendi’: i tedeschi avrebbero rispettato San Marino, se San Marino avesse garantito che nessuna azione di sabotaggio provenisse dal suo territorio. I profughi inoltre non dovevano possedere armi.

A Rommel, chiede il segretario di Stato avv. Gustavo Babboni: "E i fascisti?". Rommel dà una risposta precisa, riferita da Bigi: "I fascisti, sammarinesi o italiani, devono essere tutti disarmati anche loro". Non fu così, invece. Il ‘modus vivendi’, commenta Bigi, "seppure con qualche eccezione, resse fino al settembre 1944". Sostiene invece Gildo Gasperoni: "Le promesse del grosso personaggio dell’armata tedesca non servirono tuttavia ad interrompere le scorrerie dei fascisti repubblicani".

Prosegue Gasperoni: i repubblichini "anzi intensificarono le loro gesta provocatorie nel cercare […] di incoraggiare i fascisti locali a svolgere opera di spionaggio sui fatti politici sammarinesi […]. Così i fascisti di Rimini, capitanati dal famigerato Paolo Tacchi, provocavano ogni giorno incidenti di rilievo con requisizioni di derrate, perquisizioni in abitazioni di famiglie che ospitavano gli sfollati (in quel tempo erano centomila) e forse più sequestri di automezzi".

 

 

Quando sale a San Marino, Erwin Rommel è già famoso. Nato nel 1891, combattente nella prima guerra mondiale, dopo aver aderito al nazismo, compie una fortunata carriera militare. Nella seconda guerra mondiale combatte in Polonia e in Francia, poi nel ’41 viene posto a capo dell’Afrika Korps in Libia. Qui rivela grandi doti di strategia, conquistando Tobruk e spingendosi fino ad El-Alamein. Quest’ultima impresa gli vale il titolo di feldmaresciallo. Ma la lunga avanzata, determinando un allontanamento dalle basi, consentì la controffensiva del maresciallo inglese Montgomery, che lo costrinse ad una sia pur abile ritirata in Tunisia (1942). Rimpatriato, combatte in Italia ed in Normandia, dove rimane gravemente ferito. Sospettato (pur essendo ancora degente) di partecipazione all’attentato del 20 luglio ’44 contro Hitler, si ucciderà per evitare il processo.

Il generale Eisenhower su Rommel dà un giudizio poco benevolo, affermando che scappò velocemente dalla Tunisia per mettere in salvo la pelle. Per il colonnello delle SS Eugenio Dollmann, Rommel era un uomo molto duro. Secondo Montemaggi, quando si reca a San Marino, "Rommel non andava d’accordo col collega, feldmaresciallo Albert Kesselring. Il disaccordo era in fase acuta. Rommel voleva abbandonare l’Italia peninsulare e impostare le difese del Terzo Reich proprio sulla ‘Linea degli Appennini’ - con San Marino come punto cruciale della sua linea difensiva. Kesselring voleva invece difendersi lungo tutta la penisola, logorando i nemici anglo-americani metro per metro". Anche questo commento di Montemaggi conferma che il viaggio di Rommel a San Marino fu una vera e propria ispezione militare.

 

 

Dopo la ‘visita’ di Rommel i fascisti locali riprendono fiato, rammenta Giordano Bruno Reffi. Il 28 ottobre ’43 nel Consiglio di Stato (una specie di governo d’emergenza), sono inseriti su nomina della Reggenza anche cinque cittadini non appartenenti al Consiglio Grande e Generale uscito dalle elezioni di settembre. I nomi di questi cinque, sono suggeriti da Giuliano Gozi, il duce di San Marino, che pone anche se stesso nella lista. Il provvedimento passa alla storia come il "patto di pacificazione cittadina" che, negli intenti, doveva risolvere tutti i guai. Gli avvenimenti successivi daranno ragione a quanti erano contrari. Non si tratta soltanto di critiche postume, ma di polemiche che divisero allora il fronte antifascista sammarinese, tra coloro che accettavano il patto e chi invece rifiutava, come Gasperoni, "qualsiasi compromesso con il fascismo".

Per neutralizzare i fascisti, puntualizza Bigi, "sarebbe stato necessario che San Marino disponesse di corpi armati agguerriti ed efficienti, mentre avevamo solo i fucili da caccia". La "pacificazione" favorì unicamente i capi del disciolto regime fascista che furono messi "al riparo di qualsiasi rischio penale per le responsabilità assunte nel Ventennio", mi dice Cristoforo Buscarini.

Il patto, si legge nel verbale dello stesso 28 ottobre ’43, era nato dalla volontà di giungere ad una tregua "nelle competizioni di parte al fine di fronteggiare, da sammarinesi, la triste situazione". Si auspicava così che non si ripetessero quei "dolorosi fatti" come l’arresto degli antifascisti del 5 ottobre, "fatti che hanno turbato la pace cittadina". In pratica si premiava la violenza fascista dimostratasi un abile grimaldello per far rientrare nel governo della Repubblica, personaggi usciti di scena dopo la caduta del regime, il 28 luglio. Questo particolare aspetto non sfuggiva ai partigiani riminesi sfollati a San Marino, come Angelo Galluzzi, secondo il quale il comportamento dei cittadini della Repubblica era "decisamente, favorevole ai nazisti e ai fascisti".

 

 

Per tradurre in pratica l’accordo con Rommel e rispettare il "patto di pacificazione", il 20 dicembre 1943 come "contentino verso l’esterno" per calmare i tedeschi (dice Bigi), fu approvata una legge che comminava una condanna sino a dieci anni per chi prestasse in qualsiasi modo aiuto a prigionieri di guerra, militari disertori (gli ‘sbandati’) e partigiani. Fu un cedimento ai tedeschi? Bigi sostiene di no, perchè "non si deve dimenticare che San Marino ha ospitato e salvaguardato Comitati di Liberazione al completo, numerosissimi antifascisti ed ebrei, numerosi militari alleati, un numero enorme di disertori italiani, oltre i centomila profughi". I primi a violare il patto di pacificazione saranno i repubblichini, con il ferimento di Alvaro Casali il 6 febbraio ’44. Gli spareranno al cuore, ma non lo uccideranno. Sbagliarono mira per due soli centimetri.

Con il patto del 28 ottobre, viene richiamato in patria il dottor Ezio Balducci, a cui sono affidati i difficili compiti di Ministro plenipotenziario ed Inviato straordinario presso gli Stati belligeranti. Si trovava in esilio. Nel 1934 i fratelli Gozi, per liberarsi di lui, lo avevano accusato di "complotto contro lo Stato" e fatto condannare a venti anni di lavori pubblici.

Sul processo contro Balducci, presento parte di un documento, "La Repubblica in gramaglie", dell’avv. Ferruccio Martelli che fu assieme allo stesso Balducci tra i condannati. Il 26 marzo ’34, giorno in cui fu emessa la sentenza sul famigerato "complotto", resterà "come uno dei più vergognosi degli ultimi dieci anni di storia nel nostro Paese", come un disonore per la Repubblica, scrive Martelli. "A San Marino la giustizia è morta": "solo in tristissime epoche può capitare di vedere, in un processo, svilupparsi tanto artificio, tanta impudenza, tanta malafede". Non prove ma falsificazioni hanno guidato la giustizia, soltanto per "mettere gli avversari fuori causa".

"La sentenza di questo processo rimarrà nella storia di San Marino bollata a lettere di fuoco, quale documento di perfidia ed infamia", concludeva l’avv. Martelli da Roma il 10 aprile ’34.

 

 

Il partito fascista repubblichino di San Marino viene costituito il 4 gennaio 1944. Giuliano Gozi ne assume la segreteria, più che per stare a galla per non rimanere il solo capro espiatorio della situazione. "Calcolo non errato", spiega Bigi, come si vedrà nel dopoguerra. E nel dopoguerra Gozi si giustificherà: "Lo feci per evitare incursioni ed aggressioni di fascisti italiani a San Marino". È un’autodifesa, ma nello stesso tempo una grave accusa verso i repubblichini riminesi di Tacchi.

Domenica 6 febbraio ’44 il socialista Alvaro Casali è aggredito e ferito a colpi di pistola. Conserverà quel ‘ricordo’ in corpo per tutta la vita. Casali è assalito da Marino Gatti. Fra loro, per separarli, si mette Gildo Gasperoni. Così Casali può fuggire. Chi ha sparato? Gatti o Marino Berti che era sopraggiunto nel frattempo? Gasperoni non sa rispondere.

La vedova di Casali accusa Berti: "Anch’esso armato, si mise all’inseguimento e sparò su mio marito che, raggiunta la porta di casa, mentre stava per entrare, fu colpito da una pallottola del Berti sotto l’ascella". Ma Berti ha dalla sua le sentenze che parlano di un calibro 7.65, quello dell’arma usata da Gatti. La rivoltella di Berti era infatti una calibro 9.

Quella mattina resta ferita anche la signora Pia Michetti, moglie dell’avv. Lonfernini, la quale ricorda: "Gatti con la bocca cercava di strappare la linguetta di una bomba a mano, come se volesse gettarla in mezzo alla piazza gremita di gente che usciva dalla messa delle 11. Ad un certo momento... cominciò a sparare contro di me... poi non contento di avermi sparato si mise ad inseguirmi mentre io cercavo di andare a rifugiarmi nella Farmacia del dottor Fausto Amadori... Mi sono ritrovata di fronte al Gatti, con la sua rivoltella spianata verso di me". L’intervento del prof. Manlio Monticelli salva la signora Michetti.

Racconta la vedova del dottor Casali che alla vigilia della sparatoria "il 5 febbraio, quando a San Marino è la festa di Sant’Agata patrona della Repubblica, era giunta da Faenza una squadra di camicie nere guidata dal dottor Marino Fattori" di San Marino. Fattori, come abbiamo visto, era solito condurre spedizioni punitive dei repubblichini italiani.