Riministoria - Il Rimino n. 21

Sette secoli di sanità romagnola

Anno II, n. 21, Rimini 01.05.2000

Webzine diretto da Antonio Montanari

Sette secoli di sanità romagnola

Vicende ospedaliere e culturali ricostruite da studiosi riminesi

 

Nel 1997 si è svolto a Cesena un convegno per celebrare il settimo centenario delle locali istituzioni ospedaliere. Ora, a cura di Stefano Arieti, Giovanni Camaeti e Claudio Riva, per le edizioni "Il Ponte Vecchio", ne vengono pubblicati gli atti, si iniziativa della locale Azienda Usl. Il volume interessa anche chi è "fuori area", perché oltre ad esaminare le vicende strettamente cittadine, affronta pure aspetti che interessano l’intero territorio romagnolo e tematiche nazionali. Al convegno hanno partecipato alcuni studiosi riminesi: diamo qui un breve resoconto dei loro lavori.

Stefano De Carolis tratta dell’Ospedale cesenate di San Lazzaro (pp. 53-60), che, come tutte le altre omonime strutture che sorgevano lungo la via Emilia (e quindi anche a Rimini), era destinato ad ospitare i lebbrosi. Lazzaro di Betania è il fratello di Marta e Maria, e fu resuscitato da Gesù: "il suo patrocinio sulla lebbra è frutto di confusione con la figura evangelica (Luca, 16, 19-31) dell’omonimo mendicante coperto di piaghe, respinto alla mensa del ricco epulone".

Questi ospedali per lebbrosi, scrive De Carolis, erano tutti "collocati in maniera strategica a circa tre miglia di distanza dalla città (da cui anche l’appellativo di ‘terciulae’) e ad oriente dell’abitato".

Angelo Turchini esamina i rapporti fra società civile ed ecclesiastica (nei secoli XVI-XVIII) a proposito dei luoghi pii (pp. 77-86): i "loca pia" sono "grandi e piccoli enti presenti ed operanti in tutte le comunità degli antichi stati italiani". Quelli amministrati dai laici "offrono numerosi esempi di resistenza opposta allo ‘ius visitandi’ preteso dal vescovo", in base alle deliberazioni del concilio tridentino.

Quando lo ‘ius visitandi’, osserva Turchini, "scivola nel controllo amministrativo degli ospedali, pure previsto, trova opposizioni, ostacoli talora artificiosi, e tutta una serie di difficoltà da parte dei membri preposti alla questione, da parte della comunità e dello stato".

Alessandro Buda (pp. 173-200) riferisce della svolta avvenuta, nel periodo compreso tra l’occupazione francese di fine Settecento e la Restaurazione, con il passaggio "dalla carità alla cura": egli inquadra il problema in un contesto più ampio di quello locale, anche per trovare documenti utili al discorso, il quale deve procedere in gran parte per via di ipotesi, come dimostrano le espressioni ricorrenti nel testo: "probabilmente, è possibile intuire, è così evidente, ciò che i documenti non dicono, è ben più credibile che, come presumibile…".

La novità fondamentale introdotta dai francesi, riassumendo il discorso di Buda, è che il malato non era più visto in una chiave di assistenza caritativa, ma come soggetto di diritto "legittimato da un ordinamento costituzionale". Il fatto costituisce un bel passo in avanti nella realtà storica nazionale, del quale non tutti sono a conoscenza, soprattutto i lodatori dell’"antico regime" come età dell’oro, mentre fu un periodo infame e terribile.

Anna Tonelli analizza l’ampio argomento di "Assistenza e carità in Romagna fra ’800 e ’900" (pp. 375-386). Vi si ricorda la figura di Gaetano Facchinetti, presidente della Congregazione di carità di Rimini. L’autrice sottolinea come in Romagna sia stata sempre molto forte "la volontà di arginare il potere della Chiesa sotto il profilo della carità prima e assistenza poi". E conclude che "la presenza dell’ospedale nella realtà romagnola" di inizio Novecento, significava "da una parte la sfida alla vecchia idea di carità ospedaliera come ‘atto di beneficenza fatto alle classi diseredate’ (A. Mangini, Rimini 1915), dall’altra diventava il simbolo delle nuove trasformazioni sociali in atto che provocavano modificazioni della qualità della domanda di assistenza sanitaria".

Il volume contiene pure un saggio di Anna Manfron sulla "biblioteca di Giovanni di Marco da Rimini, medico di Malatesta Novello e di Sisto IV" (pp. 417-434), il quale, vissuto nel XV secolo, volle lasciare tutto il suo ricco patrimonio di codici miniati alla Biblioteca Malatestiana, dove è tuttora conservato e dove di recente gli è stata dedicata una mostra.

A Rimini, come scoperto da Oreste Delucca, Giovanni di Marco abitò nella parrocchia di Santa Maria in Corte. Egli morì nel 1474 a Roma, dove fu sepolto in luogo ignoto.

"La decisione di Giovanni di Marco di lasciare i suoi preziosi libri alla biblioteca del convento cesenate fu in buona parte motivato", scrive la Manfron, "dal ruolo che egli svolse al fianco di Malatesta Novello nella scelta dei testi da acquistare per la libraria" (sì, allora dicevano "libraria": non è un errore di stampa) cesenate.

L’esempio di Malatesta Novello fu poi seguito dal fratello Sigismondo che affidò a Roberto Valturio l’incarico di cercare libri per la biblioteca che il Signore di Rimini aveva voluta presso il convento francescano della sua città.

Il saggio di Anna Manfron, con l’analisi delle opere possedute dal medico Giovanni di Marco, permette di ricostruire anche l’ambiente culturale delle corti malatestiane di Rimini e Cesena, oltre che documentare "un interesse collezionistico" verso "esemplari antichi, oltreché preziosi per la decorazione miniata, l’accuratezza della scrittura, la rarità del testo". Sulle miniature dei codici di Giovanni di Marco, riferisce Fabrizio Lollini (pp. 435-456).

Infine, segnaliamo il saggio di Giancarlo Cerasoli e Alessandra Banchini (pp. 457-504) sugli "ex-voto per guarigione da malattia", con inventari che citano anche Rimini. Una delle tavole più antiche (1560) si riferisce a "Malatesta de Malatesti da Rimino", e vi leggiamo: "esendo in Pavia gravemente opp(re)sso da u(na) sciatica feci voto ala M(adonn)a del Monte et p(er) sua gratia fui liberato".

Desideriamo segnalare un’altra opera uscita a Cesena, a cura di Claudio Riva, e dedicata ad una banca cooperativa locale, dal titolo "Da sempre con la gente". In essa si tratta della cultura e della politica dei cattolici romagnoli, e cesenati in particolare, fra Ottocento e Novecento. Dello stesso Riva, che è uno dei principali studiosi romagnoli, con profonda specializzazione, è da ricordare al proposito il capitolo dedicato ai "cattolici democratici" ed alle loro casse rurali, con particolare riferimento alla figura di Eligio Cacciaguerra ed alla prima Democrazia Cristiana.

Antonio Montanari

 

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