Antonio Montanari
I
libri di Riministoria ©LUMI DI ROMAGNA
, libro integrale edito8.
Carlo Goldoni, "galanteria senza scandalo"
"E gli uomini vanno ad ammirare le cime dei monti, gli sterminati flutti del mare, le impetuose cascate dei fiumi, la vastità dell'oceano, i giri degli astri e dimenticano se stessi". (1) Il celebre passo delle Confessioni di Agostino, scritto alla fine del IV sec., verrà riproposto mille anni dopo da Francesco Petrarca, in un'altrettanto famosa pagina, l'epistola dell'"ascesa al monte Ventoso": " chiusi il libro, irato contro me stesso perché ammiravo le cose terrene, io che da un pezzo avrei dovuto imparare dai filosofi pagani che nulla è degno di ammirazione all'infuori dell'anima ". (2)
Il Settecento italiano è il secolo dei grandi viaggiatori. Li agita uno spirito tutto opposto a quello che aveva ispirato Agostino e Petrarca. Alla ricerca di loro stessi, poeti e scrittori dell'età dei Lumi e del preromanticismo, sperano di trovare nell'esplorazione del mondo un rimedio alle loro inquietudini, ed una conferma alle loro speranze. Vagano per confermare quella verità che già Pascal aveva amaramente rivelato: "L'unica cosa che ci consola delle nostre miserie è il divertimento, e intanto questa è la maggiore tra le nostre miserie Il divertimento ci divaga e ci fa arrivare inavvertitamente alla morte". (3)
La Vita di Vittorio Alfieri (1749-1803), scritta a partire dal 1790, è forse l'opera che meglio esprime la tensione psicologica della solitudine interiore, a cui si cerca di sfuggire errando per ogni dove.
Esistono poi i viaggiatori che si muovono con intendimenti culturali. Nella seconda metà del XVIII sec., l'Italia diventa meta di un'élite europea che ha in Goethe (in visita al nostro Paese dall'86 all'88), il personaggio più conosciuto. Quando Bertola, a partire dall'84, comincia ad esplorare altre nazioni, sembra anche lui ripetere un'esperienza poco originale. Invece, sarà un innovatore. Con il suo Viaggio sul Reno, creerà un modello di quella letteratura che si nutre di descrizioni melanconiche e sentimentali. Memoria e natura si fondono in pagine che saranno attentamente lette e commentate da lettori comuni e da scrittori.
Negli stessi anni (1783-86), Carlo Goldoni, protagonista di una vicenda umana che l'autore ormai ottantenne ripercorre nel segno di un bilancio artistico, scrive a Parigi i Mémoires. Al posto delle immagini della natura presenti nella Vita alfieriana, inserisce l'osservazione dell'ambiente umano. (4) Due passi che riguardano Rimini, ci permettono di ricostruire alcuni scorci della vita nella nostra città.
Primavera del 1719. Carlo Goldoni deve lasciare Venezia: suo padre Giulio (che nei documenti appare come Guldoni) lo chiama a Perugia dove esercita la professione di medico con la sola facoltà, concessagli dalla sua corporazione tre anni prima a Roma, di vendere balsami e medicine. "La nostra casa era legatissima con quella del conte Rinalducci di Rimini che allora stava a Venezia con moglie e figlia. L'abate Rinalducci, benedettino, fratello del conte, doveva andare a Roma; accettò di passare a Perugia e di portarmi laggiù". (5) Per la prima volta, Carlo giunge a Rimini, via mare. "Alla foce della Marecchia", lo attendono i cavalli per lui, per l'abate don Pietro Felice Modesti Rinalducci degli Olivetani, e per i domestici di quest'ultimo: "in sei giorni giungemmo a Perugia". Carlo ha 12 anni, e viene messo a studiare nel collegio dei Gesuiti, ove frequenta di malavoglia il corso di Grammatica e Retorica: per la sua impreparazione diventa "lo zimbello dei compagni". Tre mesi dopo, agli esami di Latino, fa un'insperata bella figura, diversamente dal padre che, non guardato di buon occhio dai colleghi umbri, decide "di avvicinarsi alle paludi dell'Adriatico". Giulio Goldoni, come racconta il figlio, agli inizi della carriera aveva cercato di "evitare le malattie che non conosceva". Carlo si ritrova così a Rimini con il padre, la madre Margherita Salvioni, la zia Maria Salvioni ed il fratello Giampaolo di otto anni. La famiglia del conte Rinalducci li riceve "con trasporti di gioia". (6)
È il luglio 1720. Per il giovane Goldoni deve iniziare una nuova stagione di studi. Il padre vuol farne un medico, più preparato di lui: e quale miglior cosa della Filosofia serve per aprire la mente di un ragazzo ai segreti della scienza? A Rimini è famosa la scuola di San Cataldo, nell'antico, severo e grande convento dei Domenicani. Sulla porta della chiesa un solenne San Tommaso attribuito a Giotto, introduce al mondo del pensiero chiuso entro quelle mura: tra i Padri, emerge la figura del professor Candini, a cui il conte Rinalducci presenta Carlo Goldoni. (7)
Il soggiorno in casa del conte dura poco, Goldoni non precisa quanto: "Il signor conte non mi poteva tenere in casa, perciò mi misero in pensione presso il signor Battaglini, negoziante e banchiere, amico e compaesano di mio padre". Giulio Goldoni è di Modena, dove adesso ritorna, mentre sua moglie va a Chioggia. (8)
Carlo resta a Rimini, a vedersela prima col vaiolo "benigno" (che gli lascia il viso butterato), poi con "quel professore, quel famoso uomo" che lo "annoiava da morire; era dolce, savio, erudito; aveva grandi meriti, ma era tomista nell'anima, non poteva scostarsi dal suo solito metodo". Goldoni trova insopportabile la logica aristotelica che gli viene insegnata, ed i sillogismi che deve imparare: "Andavo a scrivere sotto la sua dettatura, ma invece di ripassare i quaderni a casa, nutrivo nello spirito una filosofia più utile e dilettevole", leggendo autori del teatro classico. La "lungaggine" del padre Candini lo "stancava e rivoltava". (9) "Per mia sventura mi trovavo soggetto a persone che si facevano una legge di tiranneggiare il mio spirito". (10)
Alla noia, Carlo rimedia frequentando una compagnia di comici dell'arte, d'infimo ordine. "Era la prima volta che vedevo una donna sulla scena". Finora ha sempre assistito a rappresentazioni di soli uomini, anche per le parti femminili. La legazione di Ravenna appare più tollerante del governo romano. Goldoni fa amicizia con quelle attrici e con il direttore della compagnia, Florindo de' Maccheroni, soprannominato così per il suo amore verso questo tipo di pasta che portava sempre con sé in tasca, pronta per soddisfare l'appetito. È l'aprile del 1721. Le recite avvengono nel teatro pubblico che allora era posto nell'ex salone delle Arringhe o dei Parlamenti, in palazzo comunale. (11)
A quattordici anni, Carlo già sente il "prurito di comporre per il teatro". Non tarda a comunicare la sua passione artistica a quelle attricette che gli danno subito l'incarico di comporre appositamente per loro, scene e monologhi: "Ogni sera andavo provveduto di fogli scritti che mi venivano ricompensati con gentilezze e con libero ingresso alla porta, nella platea, nel palco e nelle loro case particolari", racconta con malcelata malizia il nostro scrittore. (12) Battaglini, che lo ha amorevolmente curato nel periodo del vaiolo , è preoccupato per questa condotta: Carlo antepone ai suoi doveri di studente i piaceri del divertimento. Per la mentalità di un banchiere, una vocazione letteraria che sta sorgendo appare soltanto una perdita di tempo. Di qui, rimproveri, ammonizioni, predicozzi e ramanzine al povero giovane che "soffriva i rimbrotti e seguitava a fare" a modo suo. (13)
Quei comici, venuti a sapere che Goldoni aveva casa a Chiozza, "mi esibirono di condurmi colà nella loro barca. Accettai il partito, mi congedai dal mio albergatore, poco di me soddisfatto, e diedi un addio per sempre alla stucchevole, scolastica Filosofia". (14) L'episodio viene sviluppato in una celebre pagina delle Memorie, con un grazioso apparato scenico: "Comincio col parlarne al mio ospite, che si oppone assai vivacemente; insisto, lui ne informa il conte Rinalducci; tutti mi sono contrari. Fingo di cedere, sto quieto; il giorno stabilito per la partenza metto due camicie e un berretto da notte in tasca; vado al porto, entro nella barca per primo mi nascondo ben bene sotto la prua; avevo con me il mio scrittoio tascabile, scrivo al Battaglini, gli faccio le mie scuse; è la voglia di rivedere mia madre che mi trascina ". (15)
Dal 1721 saltiamo al giugno 1743, quando Carlo Goldoni torna a Rimini assieme alla moglie Nicoletta Conio, figlia di un notaio di Genova, sposata nel '36. (16) Sono i giorni in cui in Europa infuria la guerra di successione austriaca (1740-48). Con Goldoni è Antonio Ferramonti, celebre Pantalone che veniva nella nostra città con in tasca l'ingaggio da parte di una compagnia di comici al servizio dell'esercito spagnolo che ha occupato Rimini una prima volta il 25 febbraio '42. Il 10 agosto sono giunti in città gli austrosardi, rimpiazzati il 3 ottobre ancora dagli spagnoli, che prima fanno passaggi e soste più o meno lunghe, e poi alla fine di marzo del '43 s'insediano stabilmente.
Goldoni avrebbe voluto andare a Modena alla ricerca del duca Francesco III "per far saltar fuori denaro in ogni modo". (17) Il duca, come lo ha informato Ferramonti, si è trasferito appunto a Rimini nell'accampamento spagnolo: "il principe mi ricevette con bontà", ma appena "pronunciai i nomi di banca ducale e di rendite arretrate dopo due minuti l'udienza ebbe fine. Non c'era niente da sperare ". Goldoni si butta "dalla parte dei comici", più seri del duca di Modena. Ma deve pur sempre fare i conti con i militari: il conte di Grosberg, brigadiere delle guardie di Valona, gli chiede di scrivere qualcosa per Francesco Bigottini, "buon attore" nei panni di Arlecchino, "ma straordinario nelle metamorfosi e nelle trasformazioni". (18) Goldoni adatta per lui una farsa francese, Arlecchino imperatore nella luna, e poi prepara due lavori, l'Alloggio militare e Lo speziale (ovvero La finta ammalata). In quest'ultimo, sviluppa una vicenda accaduta sotto i suoi occhi nella "Farmacia della Morte": una servetta andava a chiedere ogni giorno di un medico per la padrona, la quale non era ammalata bensì innamorata del dottore, che la voce pubblica indicava in Giovanni Battista Brunelli. (19)
"Finito il carnevale, il teatro fu chiuso", scrive Goldoni. Il notaio Ubaldo Marchi, un cronista del tempo che (come Battaglini) non doveva amare molto il mondo dello spettacolo, ricorda nelle proprie Memorie Ariminesi manoscritte, che quelle "stucchevoli rappresentazioni" fatte da "una Compagnia ben pessima d'Istrioni", si erano protratte ben oltre il carnevale fino al luglio '43, e che il teatro cessò la sua attività per altri motivi. Le recite non hanno soddisfatto né i riminesi né gli ufficiali spagnoli. I riminesi, più che la compagnia imposta dal conte di Grosberg (che Marchi definisce "cavagliero particolare nelle sue idee e violento nell'operare"), non sopportano tutti quei soldati che in città spadroneggiano come a casa loro: per protesta, rifiutano di andare agli spettacoli e di cedere i loro palchi. Gli spagnoli se li prendono con la forza, ottenendo così quello che non ha concesso neppure il cardinal Marini Legato di Romagna, al quale si è rivolto Grosberg. Alla violenza dei militari, si accompagna la rabbia dei comici, ("canaglia senza convenienza, riguardo e rispetto" li chiama Marchi), i quali distruggono scene e teloni "per adattarli alle loro pessime rappresentazioni". (20) Il teatro, ormai inagibile, viene serrato.
Goldoni tesse l'elogio del capitano generale, il conte fiammingo don Juan Bentura de Gages che "imponeva a tutto l'esercito il massimo ordine e la disciplina più rigorosa: niente giuochi, niente balli, niente donne sospette. Si viveva a Rimini come in convento". (21) Goldoni idealizza molto i fatti, in un racconto che rischia di non essere fedele.
Altro motivo di attrito tra i cittadini e l'esercito occupante, è il continuo corteggiamento da parte dei militari alle donne locali, le quali secondo Goldoni "erano ben contente vedendo i figli di Marte in ginocchio davanti a loro. C'erano varie riunioni, ma senza rumore, e la galanteria brillava senza scandalo". (22) Il vecchio Goldoni racconta quei lontani giorni attutendo gli echi degli avvenimenti. Più vicina alla realtà è la vicenda teatrale dell'Amante militare, in cui Goldoni rispecchia, pur nell'immancabile trasfigurazione artistica, "il trambusto, il rivolgimento che reca" in una piccola città di 10 mila abitanti, l'invasione di 40 mila soldati, con i cittadini che "gemevano sotto il peso di tante amare inquietudini", mentre il bel sesso "non dissimulava il suo entusiasmo" per quei conquistatori che, "dopo aver angariate e spogliate le popolazioni, rubavano anche i cuori femminili". (23) Quindi, "galanteria" senz'altro: ma anche qualche ventata di "scandalo" doveva pur esserci, almeno in quella parte della popolazione plebea o borghese, più legata a certi valori e meno abituata alle stranezze dell'aristocrazia che Goldoni stesso mette in caricatura nel momento in cui essa è una classe in declino.
Un uomo del popolo come Arlecchino, rozzo ma in buona fede, s'ingaggia nel reggimento dell'Amante militare, per "magnar e bever, esser vestido, calzado, e no far gnente a sto mondo" (a. I, sc. 14). Quando l'esperienza del soldato lo stanca e vorrebbe abbandonarla, son botte. Un tentativo di diserzione gli è infine fatale. Arlecchino viene fucilato. Dalla vita del teatro al teatro della vita: il destino della maschera non è diverso da quello di alcuni riminesi che, arruolatisi tra gli spagnoli e poi fuggiti, vengono ripresi e condannati a morte. Marchi, alla data dell'8 aprile 1743, registra che un disertore fu moschettato sulla piazza del Corso, davanti alla Rocca malatestiana, in luogo deputato alle esecuzioni capitali anche nell'Ottocento.
La carriera militare attira parecchie persone, come nella stessa commedia spiega Brighella (a. II, sc. 7): "In do maniere l'omo se pol avanzar, colla penna e colla spada; ma colla penna se va de passo, e colla spada se va de galoppo".
Con la sua penna, Goldoni rimedia un bel gruzzolo per rasserenarsi l'esistenza. Nelle Memorie, a proposito di soldi si legge soltanto che il conte di Grosberg era "protettore generoso". (24) Più particolareggiato il racconto sulla vita mondana: "Godevo anch'io come tutti di questa dolce tranquillità, frequentavo le migliori case, giuocavo con le signore con il nobile contegno spagnolesco, qualche volta con allegria italiana vedevo la mia comare " (25), un'attrice della compagnia dei comici, Angela Bartozzi, la Colombina "brunetta, fresca e piccante" di cui parla nelle stesse Memorie. Angela, moglie di Lorenzo Bonaldi, il 14 luglio partorisce una bimba a cui Goldoni, compare di battesimo, fa imporre il nome di Margherita, lo stesso di sua madre.
Il 25 ottobre, armi e bagagli, gli spagnoli lasciano Rimini alla volta di Pesaro e di Fano, mentre stanno avanzando gli austriaci sotto il comando supremo del principe Giovan Giorgio Cristiano di Lobkowitz, i cui Ussari raggiungono il nemico (ma senza attaccarlo) sulla via Flaminia, alla Colonnella. Con gli spagnoli se ne va anche Giampaolo Goldoni, che s'era arruolato sotto quelle insegne. Carlo invece si ferma provvisoriamente a Rimini, "ma più impacciato che mai": suddito del duca di Modena (e console di Genova a Venezia, cioè legato a due Stati che parteggiavano per i Borboni), ha ragione di temere che gli austriaci lo prendano "per uomo sospetto". Alcuni conoscenti riminesi lo consigliano di abbandonare la città. Con dei mercanti stranieri che erano nella stessa condizione, parte per mare alla volta di Pesaro: "Il tempo era bello, la notte però era stata tempestosa, il mare era ancora mosso. Le donne soffrivano molto, la mia sputava sangue; ci fermammo nella rada di Cattolica, a metà strada dell'itinerario stabilito; continuammo per terra, su una carretta da contadini. Lasciammo le nostre robe in custodia ad alcuni nostri domestici, che ci avrebbero dovuti raggiungere a Pesaro; e giungemmo in quella città stanchi, indolenziti, senza conoscenze, senza alloggio: ed era il minore dei mali che ci aspettavano".
A Pesaro "regnava la confusione". Goldoni non riesce a trovare una dimora, ma il conte di Grosberg si offre di ospitarlo in casa propria. Il 27 ottobre, gli Ussari occupano Cattolica. Barca, robe e domestici della comitiva finiscono nelle loro mani: "ed eccoci senza camicia", commenta Goldoni. Ma ancora una volta, lo soccorre il conte di Grosberg ("forse per sbarazzarsi di me", commenta il nostro), con un passaporto ed un vetturino "assai svelto e furbo", precettato dai militari. Alla partenza tranquilla ed allegra segue un vero e proprio colpo di scena: percorse tre miglia, "un bisogno urgente costringe mia moglie a scendere". Mentre i coniugi Goldoni vanno verso "un tugurio in rovina", il vetturino scappa lasciando la coppia sola con sei miglia da percorrere a piedi prima di arrivare a Cattolica, con il guado di un torrente ed il traghetto di un altro su di una provvidenziale barca da pesca. Dopo la sosta ad un'osteria, ecco l'incontro con gli Ussari.
Un sergente esamina il passaporto, dà una scorta di due soldati fino al quartiere del colonnello comandante che conosceva di fama il commediografo: "Ma come, voi siete il signor Goldoni?". Un austriaco che conosceva così bene il teatro italiano, non deve meravigliare. A Vienna, il poeta cesareo era Metastasio. Il colonnello interroga Goldoni ("Che interesse vi lega agli spagnoli?"), poi ordina che gli vengano restituiti i bagagli perduti, assieme al domestico che era stato arrestato, col patto che non vada a Pesaro. Ecco un altro ritorno a Rimini. (26)
Ancora una volta, la sua penna deve fare i conti con i militari: il generalissimo austriaco Lobkowitz (conosciuto -dice Muratori- come soldato barbaro e feroce), su raccomandazione del proprio primo segretario Borsari, compatriota di Goldoni, garantisce allo scrittore un'occupazione. "Vi daremo un lavoro: c'è una compagnia discreta", gli ha promesso Borsari. Goldoni a Rimini ritrova così quei comici che, partiti in barca per seguire gli spagnoli, erano stati costretti al rientro da venti contrari. E ritrova quella servetta che era la sua comare Angela. Lobkowitz gli offre "il progetto di una festa" per le nozze tra l'arciduchessa Marianna d'Austria ed il principe Carlo Alessandro di Lorena. (27)
Lobkowitz vuole che i riminesi si divertano, ma palchi e poltrone continuano a rimaner vuoti. Il generalissimo, temendo una fronda politica, protesta con i Consoli della città, i quali convincono dame e cavalieri ad ubbidire: e così, narra Marchi, il 7 novembre il teatro si riempie, anche se senza allegria e conversazioni. Il 9 novembre, Lobkowitz fa arrestare nella sua villa del Covignano il marchese Giambattista Diotallevo Buonadrata, colpevole di aver seguito de Gages a Pesaro. Buonadrata è il proprietario del palazzo dove gli spagnoli hanno posto il loro comando nel '42 con il duca di Montemar, e dove de Gages nell'aprile '43 si è rifiutato di andare ad abitare, preferendo casa Garampi. Nel palazzo Buonadrata, Lobkowitz dopo ogni recita, e quando il teatro è chiuso, organizza ricevimenti a cui i nobili sono obbligati a partecipare, con piena soddisfazione del loro ospite. E sono proprio i nobili che ottengono da Lobkowitz la liberazione del povero marchese inviato in ceppi a Cesena. (28)
I riminesi di ogni classe sociale, non ne possono più di quei soldati che hanno occupato le case private, costringendo la gente a dormire per terra, hanno insozzato le strade con i loro cavalli che poi portano a dormire nelle chiese trasformate in stalle, e che hanno invaso pure i conventi, come quello di San Cataldo: "le orde di Lobkowitz trattavano Rimini come paese di conquista". Per le donne, ora c'è soltanto scandalo, e non più galanteria. (29) Secondo Goldoni invece tutto andava bene: "Rimini era irriconoscibile: c'eran divertimenti di tutti i generi, balli, concerti, giuochi popolari, conversazioni brillanti, ragazze galanti: c'eran divertimenti per tutti i caratteri e tutte le condizioni; volevo bene a mia moglie, con lei dividevo i piaceri, e lei mi accompagnava dappertutto". (30) "Ci godevamo i più bei giorni del mondo", confessa nella premessa all'Amante militare.
Nel giorno delle nozze tra Marianna e Carlo, il 7 gennaio 1744, in un teatro illuminato a giorno viene rappresentata la Cantata ordinata a Goldoni, con un buon compenso, da Lobkowitz. Marianna è sorella di Maria Teresa, allora regina d'Ungheria e non ancora imperatrice. Carlo è fratello del marito di Maria Teresa, Francesco di Lorena. La duchessa Marianna morirà il 16 dicembre dello stesso anno, a Bruxelles.
La frequentazione dell'ambiente militare ed il suo porsi al servizio ora di questo ora di quell'esercito senza mai una scelta di campo, forse allontanano da Goldoni le simpatie degli intellettuali cittadini. Garampi scrive della Cantata a Planco (che si trovava a Siena), senza citarne l'autore. Marchi nelle sue Memorie annota soltanto che fu eseguita una "serenata composta dal Signor Avvocato Carlo Goldoni Poeta Veneto, che in questo tempo trovavasi in Rimino, ed ove si trattenne per più mesi". Emilio Renzetti, dopo aver detto che "i cronisti" non fanno alcun cenno "né in bene né in male", alle commedie di Goldoni rappresentate a Rimini, aggiunge: "Ciò fa supporre che anche in quei dì regnasse, come oggi, la congiura del silenzio contro quanti non seguivano le loro orme". (31)
Goldoni poneva "sulla scena, con verità, i costumi ridicoli licenziosi della decadente nobiltà", che "non poteva tollerare di essere così crudemente toccata sul vivo, perciò anche le Dame incipriate, imbellettate, si irritavano e si univano, in coro, ai consorti che spietatamente criticavano i lavori del Goldoni, e perfino negavano con odio feroce, ogni artistico valore" a quelle opere. (32)
La sera del 7 gennaio '44, la rappresentazione della Cantata termina alle otto. La festa continua in palazzo Buonadrata. In una sala illuminata da un barocco lampadario che raffigurava il sole, e di fronte ad un ritratto di Maria Teresa, trovano posto ufficiali, dame e cavalieri. Nel centro, in piedi, i cittadini. Nell'anticamera, su ordine di Lobkowitz, barili di vino sono a disposizione dei servitori e del popolino. Chi paga? Senza dubbio, la città di Rimini costretta ad ospitare quelle truppe.
La compagnia dei comici è partita a metà del dicembre '43. Il carnevale, iniziato il 26 di quel mese, si protrae fino al 18 febbraio '44. "All'inizio della quaresima il feldmaresciallo austriaco convocò tutte le truppe accampate in Romagna". Per Goldoni, uomo di teatro, è una situazione ovviamente scenografica: "Così potei godere dell'incantevole spettacolo d'una rivista generale di quarantamila uomini". (33) Il 7 marzo, gli austriaci sgomberano Rimini. Goldoni ha in testa le idee della sua riforma teatrale e della Donna di garbo.
Si consulta con la moglie, ben lieta che si sia tolta dai piedi quella "fresca e piccante" Colombina della compagnia dei comici. I coniugi Goldoni decidono di partire per Firenze, passando per Forlì e Rocca San Casciano. È l'aprile o il maggio del '44. Negli stessi giorni, arriva a Rimini Giacomo Casanova (1725-98): nelle Memorie, racconterà di evirati cantori e di situazioni di miseria non soltanto morale. Teresa è una giovane bolognese, figlia di un povero impiegato, avviata alla carriera artistica, in sostituzione di un giovane riminese defunto, Bellino. Costui era stato sacrificato dal padre come voce bianca, per mantenere una numerosa famiglia. Sullo sfondo, Casanova colloca vecchi preti che fanno rapporto al vescovo che tutto è in regola, prima che Teresa (spacciata per Bellino) possa salire sul palcoscenico. Vengono in mente le amare parole manzoniane su Gertrude: "L'esaminatore fu prima stanco d'interrogare che la sventurata di mentire ".
Note al cap. 8
(1) Agostino, Le confessioni, Ed. Paoline, Roma 1954, X, viii, pp. 386-387.
(2) F. Petrarca, Familiari, IV, i, 27-28.
(3) B. Pascal, I pensieri, n. 171, Ed. Paoline, Milano 1961, p. 216.
(4) G. Getto, Storia della letteratura italiana, Rizzoli, Milano 1972, p. 387.
(5) Cfr. C. Goldoni, Memorie, trad. di Piero Bianconi, Bur, Milano 1961, p. 21.
(6) Ibidem, pp. 21-26.
(7) L'imponente isola dei Domenicani, con il Tribunale del Sant'Uffizio, sorgeva in fondo a via Gambalunga (Oriolo della Fontana), verso il centro: occupava il rettangolo che ora comprende le vie Vittime Civili di guerra e M. Tonti, affacciandosi sulla via San Domenico. Tale strada, corrispondente oggi all'incirca alle vie Oberdan e Tosi, collegava l'attuale via Clodia (allora San Sebastianino) con l'odierna via Roma (Strada delle Mura che proseguiva fino agli attuali Bastioni settentrionali che giungono al porto, allora corso del fiume Marecchia). Cfr. ne Il terremoto di Rimini, cit., la carta storica delle pp. 110-111. La chiesa di San Cataldo è stata demolita nel 1816.
(8) Il palazzo Battaglini si trovava lungo il corso d'Augusto (Strada maestra), all'angolo con la via Serpieri (allora Martinelli), ove ora sorgono i grandi magazzini. E. Renzetti, in C. G. e la sua dimora in Rimini, Tip. Commerciale, Rimini 1925, precisa che allora (1925) il palazzo era di proprietà degli eredi della signora Costanza Mattioli, vedova del n. h. conte Sallustio Ferrari (cfr. p. 10). La casa del conte Rinalducci era all'angolo tra le attuali vie Serpieri e Leon Battista Alberti.
(9) Cfr. C. Goldoni, Memorie, cit., pp. 27-28.
(10) Cfr. prefazione di Goldoni al tomo IV delle sue commedie, ed. Pasquali, citata da A. Lazzari, C. G. in Romagna, I.V.A.G., Venezia 1908, p. 13.
(11) La trasformazione del salone in teatro è del 1681. Nel 1857 sarà poi aperto il Vittorio Emanuele, ribattezzato Amintore Galli nel 1947, dopo le distruzioni belliche (cfr. A. Montanari, Rimini ieri 1943-46, Il Ponte, Rimini 1989, p. 125).
(12) Cfr. la prefazione al tomo V, nel cit. A. Lazzari, C. G. in Romagna, p. 15.
(13) Ibidem.
(14) Ibidem.
(15) Cfr. C. Goldoni, Memorie, cit., p. 29.
(16) Un altro ricordo di Rimini nelle Memorie: "La prima notte di matrimonio ecco che mi piglia la febbre, e il vaiuolo che già avevo avuto a Rimini da ragazzo viene ad attaccarmi per la seconda volta. Pazienza!" (p. 179, cit.).
(17) Cfr. C. Goldoni, Memorie, cit., p. 192.
(18) Ibidem p. 201.
(19) Cfr. E. Renzetti, C. G. e la sua dimora in Rimini, cit., p. 16. La "Farmacia della Morte" era posta in piazza S. Antonio (oggi Tre Martiri), ove si trova ora il bar Dovesi.
(20) Il racconto di Marchi (il cui manoscritto è conservato nella Biblioteca Gambalunghiana di Rimini, SC MS 179-182), viene ripreso da A. Lazzari, C. G. in Romagna, cit., p. 64.
(21) Cfr. C. Goldoni, Memorie, cit., p. 202.
(22) Ibidem.
(23) Cfr. A. Lazzari, C. G. in Romagna, cit., pp. 69-71. Lazzari parla di 11 mila soldati. Marchi (p. 158, tomo I delle Memorie Ariminesi), invece cita 40 mila uomini, tra cui 30 della truppa. La stessa cifra di 40 mila unità è riportata da Goldoni nelle Memorie, p. 210. Nel corso del '700, gli abitanti della città di Rimini oscillano tra gli 8.250 del 1708, i 9.777 del '23 ed i 9.205 del '38. In diocesi, si passa dai 54.225 del 1720, ai 48.355 del '23, e ai 62.892 del '75. Dati ricavati dalle relazioni per le Visite ad Limina, e presentati da G. L. Masetti Z. in "Vane osservanze" e pratiche magiche, cit., p. 16.
(24) Cfr. C. Goldoni, Memorie, cit., p. 201.
(25) Ibidem, p. 202.
(26) Ibidem pp. 202-207.
(27) Ibidem, p. 208.
(28) Cfr. A. Lazzari, C. G. in Romagna, cit., pp. 82-83. Il palazzo Buonadrata si trova lungo il Corso d'Augusto, ed è la sede del Ginnasio Liceo "Giulio Cesare". Quello Garampi, sotto la torre dell'orologio (rifatta da Giovanni F. Buonamici tra 1757 e '59), nell'attuale piazza Tre Martiri: cfr. qui il cap. su Garampi.
(29) Ibidem, pp. 84-85.
(30) Cfr. C. Goldoni, Memorie, cit., pp. 209-210.
(31) Cfr. E. Renzetti, C. G. e la sua dimora in Rimini, cit., pp. 31-32.
(32) Ibidem, p. 32.
(33) Cfr. C. Goldoni, Memorie, cit., p. 210.
Sommario
1.
Giovanni Bianchi, il Planco furioso2.
Giovanni Antonio Battarra, Filosofia e funghi3.
Giuseppe Garampi, tra i Grandi della politica4.
Giovanni Cristofano Amaduzzi, "talpa" giansenista a Roma5.
Aurelio de' Giorgi Bertola, un poeta per l'Europa6.
L'insonnia di Papa Ganganelli7.
Ruggiero Boscovich e la questione del porto canale9. "
15 mila soldati, compresi i cavalli"10.
Padre Giorgi, un cardinale mancato11. "
Monsieur l'Abbé, carissimo Fratello"12. Gli "
Incolti" lettori di Savignano
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