Antonio Montanari

I libri di Riministoria ©

LUMI DI ROMAGNA, libro integrale edito

 10.

Padre Giorgi, un cardinale mancato

 

Autunno 1743. Giacomo Casanova "profumato abatino diciottenne" (1), giunge a Roma da Napoli con una lettera di raccomandazione per il padre Agostino Antonio Giorgi: "Questo dotto monaco", racconterà Casanova nelle proprie Memorie, "godeva la stima di tutta Roma ed il Papa medesimo lo teneva in grande considerazione perché non amava i Gesuiti e non si mascherava per smascherarli, quantunque essi si ritenessero forti da poterlo disprezzare". (2)

Padre Giorgi ha 32 anni. È nato asfittico, a San Mauro il 10 maggio 1711: temendo che morisse, la levatrice Domenica Amati lo ha subito battezzato, imponendogli il nome di Francesco Maria. Fin da ragazzo, egli ha mostrato una straordinaria passione per i buoni libri, divorando qualsiasi testo capitasse tra le sue mani, come ricorderà l'abate Angelo Fabroni in una biografia postuma. A 12 anni gli è morto il padre Antonio. Aveva allora tre fratelli: Nicola, Anna Maria e Bartolomeo. Un quarto nacque tre mesi dopo: è Giacomo Antonio che scomparirà nel '65, pochi giorni prima della madre Antonia Semprini.

A 15 anni, Giorgi ha rinunciato a tutti i suoi beni in favore dell'avo paterno Gaspare, che "si obbligò e promise fare tutte le spese per la vestizione" del nipote, dice l'atto di Giacomo Antonio Venturucci (notaro a Savignano nonché sindaco di San Mauro). È poi entrato tra gli Agostiniani di Bologna, ed ha ricevuto gli ordini sacri dal cardinal Prospero Lambertini che, divenuto pontefice col nome di Benedetto XIV nel 1740, volle accanto a sé l'umile fraticello romagnolo. Per farlo conoscere a Roma, il papa lo incaricò di scrivere la difesa di un libro del cardinale Enrico De Noris relativo alla storia del Pelagianesimo, dottrina che afferma la capacità dell'uomo di salvarsi con le sole sue forze. Il volume era stato aspramente combattuto dai teologi spagnoli.

La conoscenza con Casanova avviene il 30 settembre '43. Giorgi gli spiega come procede la vita di Roma, "città di quelli che hanno solo un'infarinatura di tutto, che tirano a smascherarsi gli uni con gli altri e si fanno guerra di continuo": il giudizio ci è riferito dallo stesso Casanova. A cui suggerisce di non frequentare i caffè o le trattorie: "Se proprio vuole andarci", aggiunge, "ascolti ma non parli. Giudichi chi la interroga e se l'educazione la costringe a rispondere, eluda la domanda, se la ritiene insidiosa". (Sembra di ascoltare un Machiavelli in versione cattolica). E soprattutto il frate consiglia Casanova di mettersi a studiare immediatamente il francese, considerato "una lingua indispensabile".

Nel '46, padre Giorgi ottiene la cattedra di Sacra scrittura alla Sapienza. La conserverà sino al '62. A Roma, anche lui milita contro i Gesuiti, ma "sempre a viso aperto e in maniera leale, mentre i suoi avversari spesso usarono armi subdole e occulte".

Nell'autunno '49, il sammaurese torna per un breve soggiorno in Romagna. Ha forse l'ultimo incontro con la madre. Rivede anche il fratello Bartolomeo che dal '36 è entrato pure lui negli Agostiniani, con il nome di Tommaso Nicola: sarà due volte priore e anche padre provinciale. Nel '52, padre Agostino viene nominato direttore della Biblioteca Angelica: occuperà quel posto per 45 anni, fino alla morte nel '97.

Per restare accanto a papa Lambertini, rifiuta la cattedra di Teologia all'Università di Vienna. A Roma comincia a studiare la lingua tibetana, di cui pubblica un alfabeto nel '62 presso la Propaganda Fide. Nello stesso anno, arriva a Roma Amaduzzi che diventerà suo grande amico.

L'elezione di Ganganelli nel '69 fa sperare ai conoscenti di Giorgi in una porpora cardinalizia per il nostro frate. Rimini, in previsione dell'evento, gli conferisce la cittadinanza onoraria. Nel ringraziare, Giorgi ricorda con somma modestia la propria "povertà di natali, oscurità di nome, e scarsezza di talento e d'ingegno", aggiungendo: "I Giovanni Bianchi… sono rarissimi. Questi meritano da Voi tanto onore; ma non io, che sono un ben fiacco e basso viburno a paragone di sì alti e robusti cipressi…". Planco stesso, il 1° febbraio ’70, scrive ad Amaduzzi: "Bisognerebbe crear cardinali presto il Padre Giorgi, il Padre Abate Negrini, Mons. Marefoschi…". Anche Mons. Pasini, vescovo di Todi, è d'accordo: "Circa l'altro posto che la Santità Sua si… è riservata in petto, qui si dice comunemente, per relazione venuta da Roma, che possa essere il Padre Maestro Giorgi. Volesse Dio che fosse così! Io lo desidero ardentemente" (2. 2. '70).

Quando Clemente XIV, quasi per consolarlo, nomina Giorgi consultore del Santo Uffizio, Amaduzzi continua a sperare e considera l'incarico "un prodromo di porpora". Lo scrive in una lettera inedita del 18. 7. ’72, dove riferisce al proposito un curioso episodio, noto peraltro attraverso una fonte diversa: "Ieri mattina egli [padre Giorgi] fu a ringraziare il Santo Padre, ma comecché egli [il papa] passava l'acqua, non gli disse altro che "i bestemmiatori si mandavano al Sant'Uffizio, che esso era tale, e che perciò quello era il luogo suo", né a Lui lasciò dire neppure una parola. Vedete che Papa bizzarro!". (3) Forse Clemente XIV alludeva "scherzosamente alle polemiche" sostenute da Giorgi con i Gesuiti. (4)

Più tardi, altri si lamenteranno per quella nomina non fatta: "Al Padre Giorgi si doveva una Berretta Rossa" (Lodovico Coltellini, Cortona, 5. 4. 1784), "Padre Giorgi… sarà inoltre in perpetuo a Roma stessa un eterno argomento di vituperio e d'ingratitudine per esser stato posposto nella Porpora a tanti altri tanto a Lui inferiori" (Gregorio Fontana, Pavia, 22. 6. 1786).

Nell'86, Amaduzzi si mostra indignato per la mancata elezione di Giorgi a padre generale degli Agostiniani: "È stato eletto… un certo Frataccio Bellisini, oscuro, indotto ed intrigante", mentre è stato dimenticato il sammaurese che era "tanto… superiore per dottrina, per probità e per fama", ed aveva "per sé il suffragio… di tutti i religiosi di coscienza".

Girolamo Ferri di Longiano aveva scritto ad Amaduzzi nel '73: "Ossequiatemi il Padre Reverendissimo Giorgi, che voglio sentir chiamare quanto prima Eminentissimo". Amaduzzi rispose a Ferri che Giorgi, a sentire questi auguri, arrossiva: "Tu conosci la singolare modestia di quel grand'uomo". Il canonico Angelo Battaglini, altro riminese trapiantato a Roma (come bibliotecario della Vaticana), scriveva a Rimini, al fratello Francesco Gaetano che l'"impareggiabile" frate era "degno veramente della porpora, del triregno e di monumenti i più durevoli". (5)

Gli ultimi anni della sua vita, vedono impegnato Giorgi in una ricerca relativa ai simboli delle arti liberali nel Tempio malatestiano di Rimini: allargata al tema della musica presso i greci, essa non verrà conclusa. Come dimostra quest'ultima sua fatica letteraria, Giorgi non dimenticò mai la terra di origine. Ne abbiamo conferma anche in un altro episodio: "Disponendo di un proprio risparmio assegnatoli dall'Ordine,… in Rimini aveva acquistato un podere. I frutti" del quale "aveva destinato parte alla Biblioteca Angelica e parte all'acquisto di libri per il convento agostiniano di San Giovanni Evangelista di Rimini".

 

 

Note

 

(1) Cfr. E. Pollini, Padre Agostino Antonio Giorgi nel 180° Anniversario della morte, Quaderno XI-1977, Rubiconia Accademia dei Filopatridi di Savignano sul Rubicone, pp. 41-60. Tutte le citazioni successive non altrimenti indicate, sono tolte da questo saggio, da cui ricaviamo la trama del capitolo, e le notizie di fondo.

(2) Ibidem, note pp. 58-60.

(3) La lettera fa parte di un carteggio amaduzziano conservato alla Rubiconia Accademia dei Filopatridi, di cui parleremo più diffusamente nel cap. "Monsieur l'Abbé, carissimo Fratello". (Dell'Accademia ci occupiamo nel cap. Gli "Incolti" lettori di Savignano). Le frasi attribuite al papa, sono sottolineate nell'originale. L'episodio è ricordato anche da E. Pollini, Giorgi, cit., p. 52.

(4) Ibidem.

(5) I Battaglini sono personaggi importanti: Angelo (1759-1842) studiò e visse a Roma, si fece sacerdote e curò varie edizioni di testi letterari. Francesco Gaetano (1753-1810) è noto per le Memorie istoriche di Rimino e de' suoi signori artatamente scritte ad illustrare la zecca e la moneta riminese, 1789.

 

 

Sommario

Presentazione

1. Giovanni Bianchi, il Planco furioso

2. Giovanni Antonio Battarra, Filosofia e funghi

3. Giuseppe Garampi, tra i Grandi della politica

4. Giovanni Cristofano Amaduzzi, "talpa" giansenista a Roma

5. Aurelio de' Giorgi Bertola, un poeta per l'Europa

6. L'insonnia di Papa Ganganelli

7. Ruggiero Boscovich e la questione del porto canale

8. Carlo Goldoni, "galanteria senza scandalo"

9. "15 mila soldati, compresi i cavalli"

11. "Monsieur l'Abbé, carissimo Fratello"

12. Gli "Incolti" lettori di Savignano

 

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