Riministoria
©Antonio Montanari:
Romolo Comandini, storico della Romagna(Conferenza tenuta all'Accademia dei Filopatridi il 24.10.1993 e pubblicata nel Quaderno XVII della stessa Accademia.)
L
'Accademia dei Filopatridi custodisce da qualche tempo la Biblioteca personale e l'Archivio storico che Romolo Comandini ha costituito attraverso un'intensa attività di studio. I volumi della Biblioteca testimoniano il prevalente interesse di Comandini verso la storia della Chiesa e quella che egli definiva "la storia della pietà", cioè della religiosità popolare. (1) Lui stesso amava scherzosamente definirsi un "clericologo". (2)A questi argomenti fanno riferimento anche migliaia di carte raccolte nel suo Archivio. Le circa quattromila opere della Biblioteca sono state catalogate per benemerita iniziativa del dott. Luigi Ughi. Nei documenti dell'Archivio, esiste una miniera di importanti notizie, soltanto in parte utilizzate da Comandini nei suoi Saggi.
Quei documenti attestano un'appassionata ricerca di fonti orali e scritte, per comporre (come annunciato dallo stesso Comandini nel 1962), "una storia della cultura del clero nelle diocesi romagnole durante i pontificati di Leone XIII, Pio X, Benedetto XV", cioè dal 1878 al 1922. Queste parole si trovano nell'"Avvertenza" che introduce al Saggio intitolato Della varia fortuna dell'opera manzoniana in Romagna, primo contributo per costruire quella storia a cui Comandini pensava, e al quale seguirono altri importanti lavori. (3)
Le opere successive a questo Saggio "manzoniano", esaminano non soltanto l'argomento prefissato relativamente all'arco temporale tra fine Ottocento ed inizio Novecento, ma rivolgono l'attenzione pure a periodi storici anteriori. Alle pagine dedicate ai riflessi delle "novità della Francia" in età rivoluzionaria, ne seguirono altre su mezzo secolo di vita in Val di Conca "tra due rivoluzioni" (1797-1848), sull'epoca del tramonto di Gregorio XVI, e sull'antiprotestantesimo durante il Risorgimento. (4)
La figura di Romolo Comandini come studioso e scrittore merita attenta considerazione: l'incontro odierno ne è testimonianza, non solo come espressione di memore affetto. Parlando di lui come di uno "storico della Romagna", non si intende affatto ridurne l'importanza, bensì mettere a fuoco quell'elemento specifico che lo guidò nell'impostazione e nello sviluppo dei suoi studi.
È stato detto che Comandini cominciò tardi a produrre, a 45 anni, nel 1960. L'osservazione risponde a verità: ma non dimentichiamo che già nel 1949, lo troviamo, poco più che trentenne, tra i fondatori della Società di Studi Romagnoli. Nel '50, comincia ad esaminare il volume di Carlo Piancastelli sulla "Romagna nei promessi sposi", da cui Comandini riceverà un impulso fondamentale per la sua futura attività. (4 bis)
Quel "decennio di preparazione" che prelude alle sue prime pagine pubblicate, lo immaginiamo fervido di letture, documentazioni, analisi, che portano Comandini a studiare i fatti locali, collocandoli in un contesto non di semplice e ristretta erudizione provinciale, ma nell'ambito di un'ampia visione in cui confluisce la solida cultura dell'autore che indaga con correttezza, commenta con lucidità, ed interpreta fatti e personaggi con la sicurezza che possiede soltanto chi sa dominare la materia che tratta.
Nulla è più complesso nella sua genesi, di ciò che letterariamente appare semplice. La chiarezza con cui Comandini compone le proprie pagine, riflette quell'intelligenza critica che maturò in lui, senza la spinta frenetica dell'ambizione di rivelarsi immediatamente. Intelligenza critica che gli fu riconosciuta per primo da chi, vivendo nella scuola a stretto contatto con lui, come il preside Remigio Pian, lo spinse a scrivere per la "Collana di monografie dell'I.T. "R. Valturio" di Rimini", presso cui entrambi prestavano la loro opera di educatori. In quella "Collana di monografie" apparve il ricordato Saggio "manzoniano" del '62. (5)
Definire Comandini "storico della Romagna", significa cogliere due caratteri fondamentali della sua ricerca.
Il primo riguarda la volontà di esaminare temi inerenti a situazioni locali, che però rimandano al quadro generale della cultura e della storia non solo italiana ma anche europea.
Ciò gli permette di inserire, nel corso del testo, dei giudizi che rivelano con sincerità il suo pensiero, come quando (parlando nel citato Saggio sulla Val di Conca "tra due rivoluzioni"), dichiara che la successiva "proclamazione del regno d'Italia lasciò a dir vero sostanzialmente invariate le cose". (5) Per comprendere le idee di Comandini, soccorrono il lettore anche le citazioni che egli sceglie esemplarmente, al fine di illustrare il discorso storico. Nello stesso Saggio sulla Val di Conca "tra due rivoluzioni", ad esempio si parla dell'abate Gaetano Vitali di Montefiore, e di un suo (poi ripudiato) opuscolo rivoluzionario, dove Comandini però individua atteggiamenti più moderni che addirittura anticiperebbero il Concilio Vaticano II, sui temi della tolleranza, della libertà dei culti, della non-violenza. (6)
Questo collegare passato e presente, deriva in Comandini dalla lezione crociana sul "carattere di "storia contemporanea"" attribuito "a ogni storia". (7) E quello di Croce è un nome che incontreremo nuovamente, nella biografia di Comandini.
La preparazione e la perspicacia critica portano Comandini a collocare ogni episodio e ogni dato rintracciato, nella trama dei collegamenti che costituiscono lo sfondo generale su cui agiscono anche modesti personaggi della vita di provincia.
Il Saggio "manzoniano" del '62, è sotto molti aspetti illuminante circa il modo che guida Comandini nel comporre i suoi lavori: il testo, già di per sé esauriente, è arricchito da note che da sole costituiscono brevi monografie, in cui trovano sviluppo quei collegamenti. Tali note ci mostrano lo sforzo della ricerca di spunti originali nella documentazione, sia attraverso l'indagine bibliografica sia attraverso l'acquisizione di nuove fonti, attentamente scandagliate.
In un altro Saggio, quello delle "novità della Francia", Comandini ricorda che il terremoto del 1786 fu da alcuni spiegato "con ragioni di natura scientifica", e da altri come causato dai "peccati degli uomini, che hanno provocato le divine vendette". (8)
Della vivace polemica che si alimentò di furori rivoluzionari e reazionari nella Rimini di fine '700, questo di Comandini è il primo contributo moderno (in chiave critica e non soltanto aneddotica), per discutere dei rapporti tra religiosità e cultura, cogliendo analogie e differenze tra le situazioni locali e quello sfondo generale di cui si è appena detto. (9)
Nelle note, l'autore sviluppa il suo discorso su specifici aspetti dell'argomento in esame, oppure compila biografie di figure oscure che così ricevono la dignità di protagonisti di episodi altrimenti destinati ad essere dimenticati. Tali brevi ed esaurienti biografie offrono a Comandini la possibilità di fornirci osservazioni sul singolo personaggio, attraverso cui ricostruire vicende collettive: ma succede anche il contrario, che cioè il quadro generale serva a comprendere le individualità dei protagonisti.
Comandini è accurato nel sottolineare quelli che (in un Saggio sulla "fortuna" di Rosmini in Romagna), definisce gli "addentellati con la storia delle vicende politiche, religiose, culturali del nostro Paese". (10) La correlazione fra i fatti è importante, soprattutto in queste storie locali che non possono privilegiare la sintesi globale come fanno le storie generali, e che (quasi per forza di cose), debbono nutrirsi di analisi e, ci si passi la definizione, di "anatomie" critiche.
Nel Saggio "manzoniano", merita una citazione la nota che riguarda "i distratti letterati romagnoli" incapaci di comprendere le pagine dei Promessi sposi su Gertrude e su don Abbondio, perché orientati ad "esaminare gli eventi e giudicare gli uomini sub specie linguæ", secondo una mentalità in cui Comandini rintraccia aspetti politico-religiosi analoghi ai rilievi di Omodeo e Galante Garrone a proposito della Restaurazione in Francia.
Questa nota sui "distratti letterati romagnoli" ci introduce al secondo aspetto di Comandini "storico della Romagna": cioè la sua intenzione di cogliere e delineare i tratti della specificità dell'essere romagnoli, intenzione dimostrata e realizzata in molti passaggi dei suoi scritti.
Nel 1879, racconta Comandini, papa Leone XIII "sollecitava i pensatori cattolici a fare ritorno a San Tommaso [ ] Ma in Romagna la decisione leonina era stata prevenuta da tempo [ ] e questa sollecitudine è una nuova testimonianza della incapacità dei romagnoli ad assimilare e far proprie dottrine che richiedono sforzo ad esser comprese". (11)
Qualche pagina prima, Comandini aveva già accennato ad una "sostanziale incapacità dei romagnoli a comprendere le dimensioni del fatto religioso, sia quando supinamente lo fanno proprio, sia quando grossolanamente lo ripudiano". (12)
Il giudizio sembra a prima vista severo: ma a ben considerarlo, attraverso la documentazione che l'autore presenta, esso si rivela molto realistico. Con un'efficace pennellata che mescola serietà scientifica a quella sottile ironia che è sempre necessaria negli studi storici per non erigere monumenti inutili, e per non sbagliare la mira nelle revisioni critiche, quel giudizio coglie nel segno: trasferisce sul piano dell'indagine scientifica un dato che appartiene alla psicologia collettiva.
Leggendo osservazioni come questa appena citata, può sorgere il dubbio se l'autore sia stato spinto a quella conclusione da una specie di taglio positivistico nell'esame del problema.
Il dubbio, però, non ha motivo di esistere se, risalendo indietro nel tempo fino al secondo Settecento, soffermiamo l'attenzione su di un nome importante per questa Accademia, Giancristofano Amaduzzi. Coinvolto in una vicenda che lo vedeva accusato di eresia, Amaduzzi si difende con un documento inviato a Pio VI, nel quale tratteggia gli elementi tipici del carattere dei romagnoli, "uomini vivaci e liberi". Amaduzzi suggerisce gli elementi di una tipologia umana, facendo corrispondere gli aspetti del comportamento delle persone a quelli del luogo ove esse abitano: una terra "ridente per un clima felice", non può produrre altro che "un'indole lieta, vigorosa, ed ingenua", come quella di noi romagnoli. (13) E Pio VI, che era di Cesena, doveva comprendere le parole dell'abate savignanese.
In questo passaggio di Amaduzzi, possiamo incontrare un exemplum colto, intelligente, ma anche intensamente vissuto, che ci aiuta a comprendere meglio le osservazioni di Comandini.
Senza dubbio, Comandini conosceva il giudizio che il Visitatore Apostolico padre Tommaso Pio Boggiani, inviato nel 1907 in ispezione alla diocesi di Cesena, ritenuta in odore di Modernismo, formulava sul "carattere di questi romagnoli, ardente e incline alle sette". (14) Giudizio che, ancora una volta attribuiva agli abitanti di un territorio certe caratteristiche peculiari.
Comandini perviene a quell'opinione sui romagnoli partendo da un più ampio discorso affrontato da Carlo Piancastelli a proposito del rapporto tra Classicismo e Romanticismo. Diceva Piancastelli che "forse la coltura classica trovò nell'indole romagnola un terreno singolarmente fertile, perché pare che l'anima nostra si assimili solo le idee semplici e improntate sulle tradizionali, ed alle nuove sia impermeabile, finché non abbiano raggiunto la massima chiarezza e trasparenza". (15)
Il tema dei rapporti tra Classici e Romantici torna in una pagina inedita di Comandini del 17 marzo 1964, che commenta un precedente scritto (pure esso inedito) del 23 novembre '62, ove si parlava di don Mazzolari morente: mons. Bolognini "ebbe il coraggio di rivolgersi ad uno degli astanti -un ecclesiastico- per sapere se don Primo si era confessato". Scrive Comandini nel '64: "C'è da sentirsi venire la pelle d'oca, a sentire un vescovo esprimersi in questi termini. Ma non me ne meraviglio! Mons. Bolognini è [ ] cresciuto [ ] nell'atmosfera piana, integrista e intransigente! Per giunta appartiene alla Scuola classica, che io credevo morta e sotterrata da mezzo secolo!". (16) E se quel vescovo si proclamava carducciano e non manzoniano, spiega Comandini, non si trattava di una "battuta di spirito": "mons. Bolognini appartiene infatti a quella genìa di Romagnoli che non ha capìto in passato il Manzoni, e neppure lo capisce oggi, nella scia di una tradizione che si avvia ad avere un secolo e mezzo".
Non mancano anche in altre pagine, accenni ironici a quella Scuola classica romagnola che Comandini considera "legata a doppia mandata alla tradizione arcadica settecentesca" (17), e della quale Manara Valgimigli considerava "una emanazione diretta" anche Carducci. (18)
Comandini fa risalire all'influsso di quella Scuola, l'abitudine, anzi la "mania del clero [ ] romagnolo, in ispecie" del "far versi" a getto continuo, per cui "non c'era evento politico, religioso, familiare che non fosse commentato dalla facile musa" di questi "versaioli di provincia", talora preti sfaccendati perché emarginati dalla burocrazia ecclesiastica, e talora sacerdoti che, impegnati nel servizio pastorale, consideravano lo scrivere "una riposante ed innocua dilettanza". (19)
In un altro Saggio, quello relativo alla vita religiosa in Val di Conca tra 1797 e 1848, Comandini riferisce delle polemiche sul rigorismo religioso, i cui sostenitori venivano tout-court bollati con l'accusa (infamante nelle intenzioni di chi la pronunciava), di essere dei "giansenisti". (20)
Un protagonista di quel momento, è "il ben noto abate Luigi Nardi (1770-1837)" che però, scrive Comandini, era originario "della Val Rubicone; per la precisione, di Savignano, la raffinata cittadina romagnola nella quale, nella scia degli Amaduzzi e degli Amati, vigoreggiava tutt'altro tipo di cultura". (21)
In questo punto del suo Saggio, Comandini inserisce un'annotazione curiosa, ma significativa: essa tocca un aspetto che, nel momento in cui l'autore scriveva, non riceveva dagli studiosi in generale la dovuta attenzione. È l'aspetto che in breve si può definire del rapporto tra storia e geografia, oggi invece molto accuratamente indagato, dopo la pubblicazione nel 1967 presso Einaudi del noto volume di Carlo Dionisotti, intitolato Geografia e storia della letteratura italiana. Scrive Comandini: "Il clero, a seconda della provenienza ideologica e (risum teneatis!) topografica, parteggiava per soluzioni diverse od opposte dei problemi di natura teologica, filosofica, politica". (22)
Quest'intuizione di Comandini (e più che di intuizione, dovremmo forse parlare di scoperta documentaria), è esposta nel contesto del Saggio, con la consapevolezza che si tratta di un'idea nuova, e che pertanto potrebbe essere scambiata per un'opinione stravagante. Ecco perché l'autore, con modestia e una strizzatina d'occhio, invoca i lettori a trattenersi dal ridere: risum teneatis!.
Il Saggio "manzoniano" del '62 termina con alcune osservazioni sulla cultura religiosa in Romagna tra fine Ottocento ed inizio Novecento, che non interessano tanto per la comprensione del tema trattato, quanto perché anticipano un argomento profondamente caro al nostro studioso che scrive: "Per i preti lo svegliarino era stato costituito dalla Rerum Novarum [ ] In particolare, di tre fatti i preti romagnoli sentirono l'influsso: la predicazione murriana [ ]; il travaglio generato dalla crisi modernista [ ]; finalmente, il quotidiano contatto dei cattolici politicamente impegnati con socialisti e repubblicani, che li induce a rinnegare, prima che altrove, le aspirazioni degli intransigenti e degli integralisti". (23)
Su "questi tre fatti", Comandini indagò a lungo. Lo dimostrano le carte da lui raccolte: lettere, interviste, appunti, articoli, recensioni. Come disse Augusto Campana, dove "appariva un paesaggio grigio ed uniforme, oggi per merito suo si incomincia a vedere una scena varia e viva [ ]". (24)
Sul Modernismo, Comandini redasse numerose schede biografiche dei sacerdoti più in vista nel movimento. Soprattutto la figura di Romolo Murri, ben conosciuta nella Romagna del primo Novecento, sembra esercitare un particolare fascino su Comandini che volle interrogare quegli "ultimi testimoni della vicenda modernista", dei quali parla in conclusione di questo Saggio "manzoniano", con una dichiarazione programmatica che lui stesso seppe tradurre in pratica storiografica: "Un documento d'archivio non potrà mai sostituire una voce che parla ex abundantia cordis". (25)
Tra le Carte di Comandini, ora conservate dall'Accademia, ho trovato ampio materiale su Murri e sul cosiddetto Modernismo romagnolo, che in piccola parte ho citato in una biografia di don Giovanni Montali, noto parroco di San Lorenzo in Strada a Riccione. (26) In un dattiloscritto del '66, Comandini ricorda questo episodio: Don Montali, quand'era in Seminario a Rimini agli inizi di questo secolo, "fu ripreso dal rettore per aver acquistato molte copie della Rerum Novarum da diffondere tra i suoi colleghi. Don Pallotta gli disse in tono burbero: "Questa non è lettura da seminaristi"". (27) In una lettera finora inedita di don Montali, risalente al 1957, troviamo conferma come il sacerdote riccionese e Comandini si fossero incontrati, per cui non è azzardato ipotizzare che quella testimonianza sulla Rerum Novarum ostacolata in Seminario (da nessun altro testo riportata), il nostro storico l'abbia raccolta proprio dalla voce del protagonista dell'episodio. (28)
Della Romagna, Comandini non fu soltanto studioso ma anche narratore, in quella specie di terra di nessuno che confina da una parte con la storia e dall'altra con l'autobiografia; e dove continuamente ci si interroga, alla ricerca delle proprie sorgenti psicologiche e dei propri nutrimenti spirituali.
A Comandini questa nostra Romagna ed i suoi luoghi d'origine, ispirarono brani delicati: "Quando tornavi ai tuoi monti col cuore che ti scoppiava in petto dalla gioia [ ]". È l'inizio di dodici paginette inedite, datate "Lathen 31-3-44". (29) Sono i giorni della prigionia di guerra, allorché (come scrisse Eugenio Montale) "distilla veleno una fede feroce". (30)
Il pensiero di Comandini va a Roncofreddo. Ricorda: "Io ero soldato [ ] quando per una licenza ritornai al paese nativo e a porgermi il consueto saluto non vidi più la vecchia porta, sentii una stretta al cuore". (31)
Quelle pagine sono raccolte da una copertina (della stessa carta), con il titolo "La porta abbattuta". (32) All'interno del fascicoletto ho trovato due ritagli di carta, in formato minore, provenienti da qualche registro dei sorveglianti del campo, come attestano le scritte in tedesco: sul primo, con una data di poco anteriore ("28-3-44"), c'è una specie di sommario: "Provincia in provincia / uomini - cose - abitudini". (33) Seguono i titoli o argomenti da sviluppare nelle singole parti. Questo manoscritto indica il progetto di un'opera narrativa, confermato da quanto si legge nel titolo della "Cartella 84", al cui interno quelle pagine sono state collocate dallo stesso Comandini: "Spunti e notazioni varie per una storia fantastica della vita roncofreddese da intitolarsi "La porta abbattuta"". (34)
Su di un foglio protocollo ad uso scolastico (con timbro dell'Istituto R. Serra di Cesena, ma datato "Rimini 5.IX.1960"), si legge come intestazione: "Note che possono servire per il libro "La porta abbattuta" (o "Provincia in Provincia")". Seguono otto facciate di incerta lettura, per una grafia difficile.
Su di un altro foglio protocollo (con lo stesso timbro), è ripetuto il titolo "La porta abbattuta", con un testo pensato probabilmente come introduzione al libro: "Ora che la porta non c'è più, è più facile uscire: e immigrazione e spopolamento. Chi parte non ritorna più. Io resto. [ ] Senza la porta, entrarono facilmente i Tedeschi, prima, e gli Indiani Gurka, dopo; ma molto più buoni i nemici di prima".
Anche per questo lavoro, Comandini raccolse annotazioni, spunti, osservazioni. Sono memorie di famiglia (sette facciate protocollo sotto il titolo "Mia nonna"). Sono ritratti di personaggi locali (diciotto facciate per "La Cincina"). Sono appunti tematici per descrivere la vita antica (la mungitura, il butirro, la schioppa, l'emigrazione), vecchie costumanze, superstizioni ("I colpi di luna: bocca torta", come diceva sua nonna), o i rimedi della medicina popolare. Sono tutte le tessere di quel mosaico che fa da sfondo alla sua non facile infanzia.
Nato a Roncofreddo nel 1915 in una famiglia d'operai poi emigrata in Francia, egli vive prima con una prozia e quindi nel collegio della Consolata nei pressi di Torino, negli anni del ginnasio. Prosegue gli studi nei Seminari di Pennabilli e Fano. Frequenta l'Istituto magistrale Valfredo Carducci di Forlimpopoli, dove si diploma nel 1936. Nello stesso anno inizia il lungo servizio militare, prima di leva poi, fino al '41, come "trattenuto in zona di affrontamento (Frontiera Giulia)". (34 bis) Nell'ottobre del '41 ritorna all'insegnamento elementare. Si laurea in Lettere al Magistero fiorentino, nello stesso '41.
Nel '42-43, richiamato alle armi, si trova ad operare in zona di guerra, in Jugoslavia: "[ ] se si guardano i bimbi", scrive in un inedito, "un nodo sale alla gola: sono ombre di se stessi. Hanno fame. Vedo alcune madri che colle mani sgranano spighe di grano, che poi viene macinato tra due pietre". (34 ter). È il 13 giugno 1943, giorno di Pentecoste, nel villaggio di Zaton in Dalmazia, verso le 10 del mattino: i soldati italiani spartiscono con quelle madri e quei bimbi il loro rancio. La VII Compagnia comandata dal tenente Comandini è poi inviata in una località vicina. Nel frattempo, tredici donne (la più giovane ha 17 anni), vengono passate per le armi da altri militari italiani: con loro, sono fucilati anche un ragazzo di 16 anni e quattro uomini. Tutte le diciotto vittime sono ufficialmente considerate "favoreggiatori ribelli", e responsabili dell'uccisione di alcuni appartenenti a bande anticomuniste italiane, avvenuta ad otto chilometri da Zaton, villaggio da cui non si poteva né entrare né uscire, per ordine delle nostre autorità.
Fatto prigioniero, Comandini è deportato in Germania, dall'ottobre '43 all'agosto '45. Ritornato in Italia, insegna alle Elementari (fino al '49), alle Medie Inferiori e Superiori. A Roncofreddo, dal '46 al '51, è consigliere comunale repubblicano, e corrispondente del Giornale dell'Emilia.
Ha cattedra di Lettere a Rimini, alle Medie "Panzini", dal '49 al '57. Per un anno ('57-'58), insegna all'Istituto Tecnico di Istambul. È al Tecnico "Valturio" di Rimini dal '58 al '66. Divenuto preside, dirige il Tecnico di Cento per tre anni e, infine, quello di Forlì. La morte lo strappa agli studi, quando sta per conseguire la Libera docenza in Storia della Chiesa, il 28 luglio 1971 a Bologna, mentre presiede una commissione d'esami di Maturità.
Educatore appassionato, colto ed intelligente, seppe farsi amare da tutti. Come ricordò Carlo Alberto Balducci, Comandini ebbe un temperamento "incapace, non dico di risentimenti e di odii, ma nemmeno di antipatie e di estraniazioni". (35)
Uomo che aveva vissuto dolorosamente il dramma della guerra, Comandini fu convinto assertore della necessità della pace. Riascoltiamo queste sue parole, pronunciate a Roncofreddo il 1° settembre 1968, nella "commemorazione di due armistizi", quello del 4 novembre '18 e quello dell'8 settembre '43: "Anche quando la guerra nasce giusta (e non è detto che ciò non sia accaduto più volte), strada facendo si trasforma in ingiusta; ecco perché nella Scrittura noi leggiamo l'imprecazione: "Siano dispersi i popoli che vogliono la guerra"". (36)
Tra i fogli dell'Archivio, nella "Cartella 84", merita attenzione una breve memoria in cui Comandini elenca i momenti fondamentali "per una storia per la sua nascita alla democrazia": "1933. Un prete romagnolo, don Luigi Asioli, agli alunni di seconda liceo assegna un tema: "Libertà vo' cercando ch'è sì cara". 1934. Un prete siciliano, dando inizio al corso di storia del Risorgimento ai suoi alunni di terza liceo, porta in classe il volume rosso mattone laterziano Storia d'Europa, un cui capitolo s'intitola: "La religione della libertà"". È il celebre libro di Croce, apparso nel '32. Poi un altro libro, letto nel '37, Con me e con gli Alpini di Pietro Jahier. Infine, il contatto diretto e drammatico con quella storia in divenire che è il vivere quotidiano: "1937. Sul ponte di Sussak vedo uno slavo che tenta di gettarsi nella Rieka, ha i polsi tagliuzzati. La polizia lo afferra. Chi era? Si disse un perseguitato politico slavo o filo slavo". (37)
Per lo stesso 1937, Comandini annota: "Un mio congiunto, cui non sarò mai troppo riconoscente per un'infinità di ragioni, senza studi, ma dal profondo sentire democratico, mi scrive dalla Francia dove viveva: i tuoi studi non t'hanno fatto ancora comprendere il valore della libertà".
Infine, sotto la data del fatale 1940 registra: "A Vipacco, nel goriziano, pochi istanti dopo che la truppa inquadrata -non un civile!- ha ascoltato nella piazzetta del paese l'annuncio della dichiarazione di guerra, un giovanotto sloveno ci fila accanto in bicicletta, e ci sussurra: "È arrivata l'ora di pagarle tutte"".
L'"euforia" che "aveva preso tutti gli Italiani [ ] nei mesi della campagna etiopica", come scrive Comandini a proposito del 1935, cede il posto a ben altri sentimenti. In quel '35, Comandini aveva ascoltato dalla "postina intelligente" di Roncofreddo, Caterina Fabbri, queste "semplici parole": "Per stare meglio non è giusto infilare le mani nelle tasche del più ricco vicino". (38)
Così nacque, Comandini, alla democrazia. Per merito di Dante, di Croce, di un parente "senza studi", di una "postina intelligente" e di "un giovanotto sloveno". Così è la Storia: fatta non soltanto dai grandi personaggi, ma anche da quel popolo semplice che Comandini amò, da vero romagnolo.
NOTE
(1) Cfr. R. Comandini, Atteggiamenti del clero riminese di fronte alle novità della Francia (1789-1796), Age, Reggio Emilia 1966 (estratto da "L'Emilia nel periodo Napoleonico", Atti e memorie del Convegno di Reggio E., 17-18 ottobre 1964, Istituto per la storia del Risorgimento Italiano, Comitato di Reggio E.), p. 127.
(2) Cfr. C. A. Balducci, Tre schede per R. C. e quasi un profilo, "L'Avvenire d'Italia", pagina locale "L'Antenna Riminese", 27. 3. 1966.
(3) Cfr. Della varia fortuna dell'opera manzoniana in Romagna, "Collana di monografie dell'I.T. "R. Valturio" di Rimini a cura del Preside Remigio Pian", Lega, Faenza 1962, pp. 5-6. Nell'anno successivo, al VI Congresso Nazionale di Studi manzoniani, Lecco 4-8 ottobre 1963, Comandini tenne una relazione su Antimanzonismo di chierici romagnoli nell'ultimo quarto dell'Ottocento, raccolta poi in volume. Il periodo 1878-1922 è così suddiviso per i tre pontefici: Leone XIII [1878-1903], Pio X [1903-14], Benedetto XV [1914-22].
(4) Si tratta del Saggio di cui alla nota 1, e dei seguenti lavori (in ordine di pubblicazione): Vicende riminesi al tramonto del regno di Gregorio XVI, "Quaderno 6 - Panorama 1966", a cura del Circolo della Stampa di Rimini, pp. 41-47; Antiprotestantesimo di prelati cattolici negli Stati della Chiesa durante il Risorgimento, "Bollettino Museo del Risorgimento", XI, Bologna 1966; Tra due rivoluzioni. Mezzo secolo di vita religiosa in Val di Conca (1797-1848), "Studi Romagnoli", XVIII (1967), pp. 107-148.
(4 bis) Ricavo la notizia da una lettera di sollecito della Biblioteca Gambalunghiana di Rimini a Comandini, del 26 giugno 1950, per la restituzione del testo di Piancastelli, preso in prestito. Cfr. nella "Cartella 40" dell'Archivio, s. v. "Documenti eterogenei".
(5) Cfr. Tra due rivoluzioni, cit., p. 107.
(6) Ibidem, p. 121.
(7) Si tratta dell'inizio del cap. II del volume di B. Croce, La storia come pensiero e come azione, p. 11, ed. ec. Laterza, Bari 1966.
(8) Cfr. Atteggiamenti , cit., p. 140, nota 3.
(9) (9) Ibidem, pp. 118-119.
(10) Cfr. Appunti per una storia della fortuna di Rosmini in Romagna (1828-1846), in "Rivista Rosminiana", LXII (n. s., anno II, 1968), I, p. 35.
(11) Cfr. Della varia fortuna , cit., pp. 34-35, nota 30.
(12) Ibidem, p. 18. Nel suo Antimanzonismo , cit., Comandini parla della "congenita incapacità dei Romagnoli ad accogliere e comprendere un messaggio religioso": cfr. p. 3. In tale lavoro, l'argomento è sviluppato con ulteriori analisi, partendo dalla documentazione raccolta in Della varia fortuna .
(13) Il brano è in G. Gasperoni, Settecento italiano (Contributo alla Storia della Cultura), I, L'ab. Giovanni Cristofaro Amaduzzi, Cedam, Padova 1941, p. 325-329.
(14) Cfr. A. Montanari, Una cara "vecchia quercia" - Biografia di don Giovanni Montali, Il Ponte, Rimini 1993, p. 26.
(15) Cfr. Della varia fortuna , cit., pp. 12-13. Il volume di C. Piancastelli è citato nell'"Avvertenza": si tratta de I promessi Sposi nella Romagna e la Romagna nei Promessi Sposi, Bologna 1924.
(16) Cfr. nella "Cartella 84" dell'Archivio cit., intitolata Spunti sulla natura della religiosità romagnola, presso l'Accademia dei Filopatridi.
(17) Cfr. Atteggiamenti , cit., p. 133.
(18) Cfr. Della varia fortuna , cit., p. 11.
(19) Cfr. Atteggiamenti , cit., pp. 133-134.
(20) Cfr. Tra due rivoluzioni , cit. p. 129.
(21) Ibidem, p. 130.
(22) Ibidem.
(23) Cfr. Della varia fortuna , cit., pp. 52-53. Sul Modernismo, vedi R. Comandini, Echi della crisi modernista in un carteggio inedito di Gerardo Meloni con Antonio Fogazzaro, Studia Patavina, XVI, 1, 1969, pp. 60-96.
(24) Conferenza tenuta a Sant'Agata Feltria l'8 agosto 1971. Il dattiloscritto, intitolato Ricordo di Romolo Comandini, è conservato presso la Biblioteca dell'Accademia dei Filopatridi.
(25) Cfr. Della varia fortuna , cit., p. 59, nota 62.
(26) È il volume cit. nella nota 14, Una cara "vecchia quercia".
(27) Cfr. il dattiloscritto Traccia di una conversazione sul Modernismo Romagnolo (1966), ricordato nel cit. Una cara "vecchia quercia", p. 22, nota 1; l'episodio è stato ripreso a p. 40 dello stesso volume.
(28) La lettera di don Montali (del 23.10.1957), è diretta all'Arciprete Semprini di Borghi, che in IV facciata fa un'aggiunta diretta allo stesso Comandini, del 28.10: "Caro prof. Comandini, abbia la gentilezza di farsi vivo presso Don Montali, altrimenti io ci faccio la figura di un prete!".
(29) Il formato delle pagine è di mezza facciata protocollo, all'incirca quello di un normale quaderno scolastico.
(30) Cfr. E. Montale, Dora Markus, vv. 57-58.
(31) Cfr. alle pp. 5/6 del manoscritto.
(32) Sopra il titolo, c'è l'indicazione "Lathen, 1-4-44".
(33) Il titolo originale era Provinciale in provincia, poi corretto in Provincia in provincia.
(34) In un altro foglio della "Cartella 84", una scheda su mons. Scozzoli poi diventata una pagina autobiografica, Comandini dice di inserirla tra gli "appunti destinati alla storia fantastica della mia fanciullezza".
(34 bis) Dati ricavati da una scheda personale per la carriera scolastica, nell'Archivio, "Cartella 40", s. v. "Documenti eterogenei".
(34 ter) Da una lettera di Comandini del 19 marzo 1947. Le altre notizie non virgolettate sono riprese da altri documenti, conservati da Comandini nella "Cartella 40", sotto il titolo "Eccidio di Zaton in Dalmazia (Giugno 1943)".
(35) Cfr. C. A. Balducci, Ricordo di Romolo Comandini in "Atti del XXIII Convegno di Studi Romagnoli" (1972), pp. 427-443. Ivi, in appendice, è presentata la bibliografia completa di R. Comandini.
(36) Cfr. Due discorsi di Romolo Comandini, pubblicati a cura dell'Amministrazione Comunale di Roncofreddo, in occasione delle onoranze a Lui rese il 12 Novembre 1972, con introduzione di C.A. Balducci, Cesena 1972, p. 4.
(37) Il titolo completo del foglio è: "Jalons" per una storia per la mia nascita alla democrazia.
(38) Ibidem.
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Prima Media
Salutammo il nostro insegnante,
Romolo Comandini,
regalandogli un libro, le
Lettere dei condannati a morte della Resistenza.
Il professore lo aprì
e ne lesse alcune pagine, piangendo.
Era la primavera del 1954.
Per la prima volta scoprimmo
il vero volto della Storia,
con atrocità e tragedie.
[
Antonio Montanari, "Rimini ieri", 1989]Vai all'
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