Riministoria© Antonio Montanari

Le "Notti" di Aurelio Bertòla. Storia inedita dei Canti in onore di Papa Ganganelli

 

Capitolo VII

Bertòla: "Mi nuoce esser poeta"

 

 

 

 

L’aggiunta degli Idilli di Gessner tradotti dall’Olivetano riminese [66], voluta da Caraccioli nell’edizione di Parigi delle Notti, serviva a documentare l’interesse di Bertòla verso la poesia tedesca [67], testimoniato anche dal suo studio intitolato Idea della poesia alemanna del 1779 [68], del cui progetto Amaduzzi gli chiede notizie il 4 marzo 1778 [FPS, 8.256], aggiungendo un’interessante pagina autobiografica: Amaduzzi ha appena pubblicato il discorso sulla Filosofia alleata della Religione, tenuto in Arcadia l’8 gennaio dello stesso 1778, per il quale vien "accusato all’Inquisizione con una formal delazione […] passata in mano dello stesso Pontefice, il quale la rimise indi al Tribunale dell’Inquisizione".

"Questa stampa stà ancora in occulto non so, se per prudenza, o per troppa cautela" scrive Amaduzzi: "Comunque sia, io sono contento di mostrarmi docile ai consigli degli amici. Per altro siccome non deve mai essere, che fanatici, ed ignoranti mi abbiano a soverchiare in un punto così ragionevole, così io mi vado munendo di saldi presidi contro la stessa prepotenza. Sentite cosa ho fatto. Ho mandato un esemplare della mia Orazione agli E[minentissi]mi Banditi, e Bandi, e questi mi hanno in seguito scritto lettere di piena commendazione, ed il primo in ispecie si esprime con tale effusione di bontà, che arrossisco di dover forse far uso per mia difesa di cosa, che insidia la mia modestia".

Per "cautela", Amaduzzi non ha affidato "la stampa a verun Legatore di libri", e l’ha cucita lui medesimo "alla meglio" [FPS, 15 aprile 1778, 8.257].

Roma, secondo Amaduzzi è una città che "vaneggia dietro le larve della Religione, mentre abbandona all’indifferenza il sostanziale della medesima" [69]. A questa realtà inquietante, Amaduzzi cerca sempre di contrapporre una "fredda, e tranquilla Filosofia". Turbata talora soltanto da quelle amiche che "ci lasciano […] o sottratte da noi per divisione accidentale, o perdute per volubile infedeltà, poiché esse oltre lo spirito interessano anche i nostri sensi, che sono di più difficile contentatura" [FPS, 11 giugno 1779, 8.261].

Amaduzzi aveva confessato l’estate precedente a Bertòla [FPS, 25 agosto 1778, 8.314]: "Io non rampogno, ma compatisco gli amanti. Dopo, che io ho conosciuto il dolce, e l’amaro de’ due stati di servitù, e di libertà, non ho più avuto il coraggio di ritornare al primo. Ma io non debbo pretendere, che tutti s’uniformino a me, ben persuaso, che diversi sono i bisogni, come sono diversi i temperamenti. Io mi restringerò ad augurarvi quel maggior bene, che in mezzo al male si può godere, cioè il piacere della costanza, e della fedeltà, i bei frutti d’una facil pace, e la lontananza dalla struggitrice gelosia".

In calce alla lettera d’elogio per la prima Notte [FPS, 11 gennaio 1775, 8.246], Amaduzzi aveva scritto a Bertòla: "L’incostanza, ed il capriccio delle Donne m’ha fatto ritirare assai per tempo dalla coltivazione di quelle genialità, che sembrano una necessità di gioventù; ma io non ho potuto trattare, che femmine illetterate, ed incolte, cosicché forse avrei differito il mio ritiro, se avessi potuto meritarmi la corrispondenza di qualche virtuosa Donna, che colla coltura dello spirito si fosse sbarazzata dalle imperfezioni del sesso, e che avesse saputo farsi conciliare la catena con la quiete dell’animo, che è il mio principal oggetto".

Con un elegante e cortese gioco di specchi, Amaduzzi nelle sue epistole passa da queste osservazioni autobiografiche ad annotazioni su Bertòla, attorno alle quali si riflettono pure quelle espresse a proposito di altre figure, delineando così un preciso ritratto del poeta riminese. Con le sue parole, Amaduzzi ci aiuta a comprendere gli sviluppi della produzione letteraria e dell’esperienza umana di Bertòla, dopo il successo delle Notti Clementine: "Nella Contessa Mei, che io dovea assistere ne’ giorni scorsi, trovava una vostra immagine; un’amabile volubilità, una dolce malinconia, una naturale pieghevolezza a tutte le cose, un temperamento tranquillo, una presentanea bizzarria, un grazioso regresso al buon sentiero, ed un’incolpabile aberrazione erano le belle fasi della sua indole, e della sua conversazione. Ond’io era ad un tempo amante, e monitore secondo le variazioni, e i bisogni, ed era tutto ciò col più tranquillo, e col più placido interessamento del mondo" [FPS, 12 settembre 1780, 8.342]; "Voi sareste lei stessa, se la natura non avesse equivocato di applicare una marca maschile ad una macchina decisa per essere di sesso femminile" [FPS, 19 settembre 1780, 8.343].

(Amaduzzi sembra qui ricalcare un pensiero di Pindemonte, contenuto in una lettera [3 luglio 1779] inviata allo stesso Amaduzzi: "Toltane la forza dell’ingegno, che rade volte ritrovasi nelle donne, egli ha tutto il resto affatto di donna; cioè incostanza di volontà, gracile temperamento, cuor tenero, animo d’ogni più lieve pericolo timoroso, e che so io": cfr. E. M. Luzzitelli, Ippolito Pindemonte e la fratellanza con Aurelio De’ Giorgi Bertòla, Foggia, 1987, p. 78.)

Il 28 giugno 1776 [FAF] Amaduzzi aveva rimproverato Bertòla di lasciarsi "sedurre da ogni cosa": "Abbi piuttosto l’ambizione di passare per Filosofo, e di passare per uomo di senno. Tu non otterrai mai questo, se non procurerai di vincere, e di cambiare la tua natura col proposito e colla riflessione. […] Non ti avesse mai Metastasio lusingato, che le cose delicate sono quelle, che ti possono guidare ad una eccellenza di poesia! Queste anzi ti renderanno leggiero, molle, effeminato, e volubile. Non ti dipartire dal tuo Young, piangi con lui le tue peccata, piangi la corrutela del mondo, piangi quanto di male affligge la povera nostra specie, e così ti avezzerai a fare da Filosofo sul serio, nel grande, e nel solido. Il patetico medesimo piace alle belle, ed ha una possente forza sui cuori sensibili" [70].

Il 27 settembre 1779 Bertòla ha scritto ad Amaduzzi: "Oggi sono in uno stato, che mi nuoce esser poeta".

Il perché glielo spiega il 4 dicembre successivo: titolare della cattedra "di Geografia e Storia alla nuova Reale Accademia di Portici", Bertòla sente che lo pregiudica "presso alcuni […] la fama o buona o cattiva di poeta" [71]. Nel 1776 a Siena, ha pubblicato Versi e Prose, il libretto erotico che gli dà fama duratura in quel mondo letterario sul quale si era affacciato con i versi in onore di papa Ganganelli. Con le Notti Clementine, Bertòla era stato (come dichiara lui stesso), "fra i cantor d’Italia il primo" ad esser guidato "dalla debol lampada notturna" [72]. Poi, Versi e Prose hanno segnato una svolta, non solo di gusto poetico ma anche di rapporto con la cultura del suo tempo. L’insegnamento a Portici richiedeva ben altra fama che non la gloria delle seduzioni arcadiche o libertine.

Proprio per acquistar una reputazione più seria, Bertòla all’aspetto lirico in lui dominante (e corrispondente al trionfo di quella sensibilità che, sulla scia di Amaduzzi, potremmo definire femminea), cerca di sostituire il lato razionale della sua personalità, allo scopo di far risultare vincitori lo studio, l’analisi dotta e la "marca maschile". Bertòla è forse anche consapevole che la nuova cultura richiede dagli intellettuali un diverso impegno, al di là del solito produrre versi malinconici, encomiastici od erotici. Lo stesso Amaduzzi, discutendo di ben altri temi, e precisamente degli atteggiamenti del "puro Antiquario", gli aveva fatto notare [FPS, 24 dicembre 1776, 8.290] come fosse difficile che tali atteggiamenti stessero "perfettamente a livello collo spirito illuminato del secolo" [73].

Il giovane Bertòla mai cesserà di scrivere poesie, così come non smetterà di vivere avventure sentimentali, nelle quali dimostra una passionalità istintiva da lui assecondata razionalmente, confidando nella Natura come unica maestra [74]. Però cercherà la fama in campi differenti dal mondo dei versi, e lontani dalle galanterie dei salotti alla moda. Anche lui s’indirizzerà allo "spirito illuminato del secolo", ad esempio con la Filosofia della Storia (1787), opera che Amaduzzi, pur definendola "pregevolissima", considererà difficile per lo stile "cinquecentistico", nuovo nella penna di Bertòla, e "faticoso ad esser compreso di primo lancio da chi la legga per solo diletto" [75].

Le Notti costituiscono un’esperienza che Bertòla non avrebbe più ripetuta. Ad un certo punto, anzi, egli stesso sembra ripudiare i Canti Clementini, scrivendo ad Amaduzzi: "Voglio solamente lagnarmi con voi che abbiate messo a mia gloria le Notti, e le versioni dal Tedesco, quelle troppo giovanili, queste lavorate in fretta e per impegno, e le peggiori veramente fra tutte le cose mie" [76].

Amaduzzi lo ammonisce: "Non vorrei sentire, che voi poco amiate le vostre Notti, quando queste sono di un dettato epico, e sublime, ed aprirono il teatro primo della vostra gloria. Se non credete a voi stesso, credetelo alle versioni Francese ed Alemanna [77], che se ne fecero. Io le pregierò sempre grandemente, perché furono il primo veicolo alla nostra amicizia, perché hanno un merito intrinseco di valor poetico, e perché concorrono pure ad eternare la memoria del gran Clemente XIV" [78].

 

 

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