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La famiglia Albini



Un piccolo quaderno di ricette, con l'intestazione semplice e solenne de «Il Codice di Cuccina» [sic], scovato per caso a Saludecio nel cinquecentesco palazzo della famiglia Albini, è diventato un volumetto, interessante sotto diversi aspetti ben illustrati nell'introduzione di Luisa Bartolotti (editore Panozzo).

Anonimo, e databile nel secolo scorso, il ricettario s'ispira però più alla cucina settecentesca, per l'abbondante uso di spezie e zucchero, ch'esso propone. La Bartolotti ricostruisce, partendo dalla gastronomia, costumanze e vicende sociali, nonché riferimenti di carattere storico che fanno di questo «Codice» una lettura utile non solo per chi dimostra abilità tra i fornelli, ma pure per quanti amano decifrare il passato attraverso quei segni minimi a cui gli storici oggi dedicano sempre più attenzione.

Come avverte la Bartolotti [p. 16], attraverso il ricettario «ci si accosta ad un mondo appartato, con individuali caratteristiche, ad uno dei molteplici aspetti della realtà italiana dell'Ottocento colto dal punto di vista della cucina».

Forse il testo è attribuibile, dice la Bartolotti, a Basilio Albini (1774-1851), nonno di Guglielmo (1884-1938) che nel 1934 scrisse il volumetto «Gli Albini di Saludecio», che lo stesso Panozzo presenta in edizione anastatica (lire 20.000).

Guglielmo Albini è bisavolo materno di Massimo Panozzo, l'editore, il quale con questo testo intende «riproporre non la storia di una famiglia, ma la storia di un paese».

All'opera è aggiunta una memoria di Guglielmo Albini intitolata «La campagna del 1866 narrata da un Garibaldino». Il tema politico è presente in tutta la vicenda degli Albini di Saludecio. Guglielmo, zio omonimo dell'autore, è a Parigi nell'estate turbolenta del 1830, e si trova a Bologna per i fatti del '31, incaricato di «percorrere le principali città di Romagna» per incontrare i capi dei patrioti.

In quel '31, la madre dell'autore a Saludecio fu «l'Alfiere che portava la Bandiera tricolore», mentre lo zio proclamava «finito per sempre il Governo Temporale dei Papi». A Rimini invece si combatte alle Celle.

Quando muore Gregorio XVI (1846), l'autore scrive che il pontefice non fu compianto. L'elezione di Pio IX si accompagna all'amnistia per i delitti politici. «Nonno Basilio», deputato alla Camera Consultiva nel '48, presiede la prima seduta. Il fratello dell'autore, Achille, s'arruola nel Corpo Volontari.

Quando nel '49 è proclamata la Repubblica Romana, anche a Saludecio s'innalza l'Albero della Libertà, a cui vengono fatti accostare i bambini per un bacio alla pianta-simbolo. Dopo la battaglia di Novara, gli Austriaci marciano verso Bologna. Tra i volontari che li affrontano, c'è Achille che poi, vista la mala parata, ritorna a casa, dopo che uno zio padre barnabita, per errate informazioni che davano il ragazzo per ucciso, aveva già celebrato per lui una messa funebre.

Achille, laureatosi in legge a Bologna nel '52, si trasferisce a Roma, ove sposa una cugina. Nel '57 ritorna a Saludecio, propagandando una società segreta a cui s'iscrive anche l'autore di queste pagine, alla sola età di anni tredici. Poi, Achille passa tra i liberali, mentre lo zio Bernardo è volontario nel '59-60.

Il volume presenta molte curiosità. Non possiamo che citarne due, per motivi di spazio: alcune interessanti pagine su Rimini (Verdi e l'«Aroldo», 1857; descrizione della città nel '58); e cenni sulla società del secolo scorso in un paese di periferia, come il «sontuoso pranzo di quaranta e più portate» di Nonno Basilio (il presunto autore del «Codice»), del parroco e del priore dei Gerolomini che ricambiava il Venerdì Santo con un «menu» tutto di magro.

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