Riministoria© Antonio Montanari
Gli ultimi anni della vita di Aurelio Bertòla

Gli ultimi anni della vita di Aurelio Bertòla sono talora liquidati con formule brevissime che non descrivono una situazione drammatica. Dove il discorso è più analitico, si dice che mancano documenti. Ciò è vero sino ad un certo punto. Ad esempio, presso la Biblioteca Gambalunghiana di Rimini, si trova un «Diario» inedito, relativo ai periodi dal 14 giugno 1793 al 28 gennaio '95, e dall'11 ottobre '96 al 15 gennaio '97. Si tratta di due fascicoli separati, di 18 e 8 fogli. Il secondo è quello più significativo per comprendere i momenti cruciali della vicenda di Bertòla, mentre sull'Italia si abbatte la ventata napoleonica.
Non è qui possibile spiegare in maniera completa la storia personale di Bertòla, in relazione al quadro politico. Mi soffermerò soltanto su alcuni aspetti, cominciando da ciò che non è scritto nel «Diario», sotto la data del 15 gennaio '97, domenica. Lo spazio bianco che segue a questa data, lo si spiega se ci si documenta con quanto lo stesso Bertòla comunica ad Ippolito Pindemonte il 24 ottobre '97: «Fuggendo una persecuzione del Governo romano verso la metà di Gennaio passai a Roma: arguite come io fossi sicuro della mia innocenza. Ivi mi fermai un mese: di là in Toscana; e divisi due mesi fra Siena e Firenze».
L'11 febbraio '97 ha spiegato al Mascheroni di essersene andato da Rimini per sottrarsi «all'imminente pericolo di essere arrestato e condotto in assai miser luogo, come uomo di opinioni infette e perverse». (Il 3 marzo un altro poeta, Vincenzo Monti, fugge da Roma verso Milano e Napoleone.)
Perché Bertòla scappa da Rimini? Il 23 giugno '96 a Bologna si è firmato l'armistizio tra Napoleone e la Santa Sede: il Papa ha ottenuto la restituzione delle Romagne. La Curia romana teme effervescenze giacobine nelle nostre terre. Bertòla in quei giorni è a Rimini. Tra fine ottobre ed inizio novembre '96, si trova malato a Bologna. Non ha potuto raggiungere Pavia, a causa dell'infermità. A Pavia ha la cattedra, su cui non siede più dal '93, sempre per le sue precarie condizioni di salute.
Il viaggio a Pavia, aveva uno scopo ben preciso, ottenere «il sussidio», come si legge nel «Diario» del 2 novembre. Pavia è sotto il dominio napoleonico: Bonaparte è entrato in Milano il 14 giugno '96. Bertòla è suddito del Papa: per sopravvivere però ha bisogno della pensione che può decretargli solo chi comanda in Lombardia da fine agosto, sotto il nome di «Amministrazione generale», primo nucleo della Repubblica Transpadana.
Nel «Diario» il 13 novembre '96 Bertòla annota: «Su le ragioni del mio partire; nessuno può accusarmi né qual cattolico né qual suddito, dunque son tranquillo. Non so quel che farò». Il 23, scrive: «Le mie circostanze mi richiamano a Rimini dove passerò il verno». Il 28 si rivolge (da Bologna, che è parte della Cispadana dal 16 ottobre), ad una sua grande benefattrice, Orintia Romagnoli in Sacrati, come si legge nel «Diario»: «Ma e della pensione a cui ho diritto ora ancor più di prima? Per pietà me la ottenga. Sono senza un soldo. […] quella piccola pensione mi basterà fino a miglior sorte».
Bertòla ritorna a Rimini all'inizio di dicembre. Il 28 Bertòla appunta nel «Diario»: «Forse a Roma donde mi si fa sperare soccorso». Il 31 Bertòla scrive al Cardinal Legato una lettera di cui ho trovato la copia: vi si proclama «suddito affezionato e fedele», ed esprime «una profonda riconoscenza». Forse per aver ricevuto un aiuto in denaro da quell'«umano e caldo protettore delle lettere».
A metà gennaio '97, come si è visto, Bertòla scappa a Roma, di qui passa in Toscana, per poi ritornare in aprile a Rimini, dove trascorrerà l'ultimo anno della sua esistenza lavorando al «Giornale patriottico». Nella citata lettera a Pindemonte del 24 ottobre '97, scrive : «Non deve essere in voi maggior meraviglia in risapere ch'io non sia morto…». Nel marzo del '98 è a Milano. Poi ritorna nel suo «casino» a San Lorenzo a Monte, a Rimini: qui il 17 giugno conferma il testamento fatto in Milano. Quando si aggrava, Bertòla è portato in casa dei parenti Martinelli (in via Serpieri), ove il 22 consegna un nuovo testamento al parroco di Santa Maria in Trivio (Chiesa di San Francesco), padre Francesco Maria Veroli. Lì muore il 30 giugno.
Nel registro dei defunti, padre Veroli lo chiama «Civis Ariminensis». Soltanto il notaio lo definisce anche «Sacerdote».

2.
Il 24 ottobre 1793 Aurelio Bertòla annota nel suo «Diario» rimasto finora inedito: «avuti dalla Sacrati per cambiale, scudi 50». Il 7 novembre: «epilogo dellaffare per cui la pregai». Il 28 dello stesso mese, riassumendo una lettera inviata sempre alla Sacrati: «attese le difficoltà, non faccio altro impegno». Il 5 dicembre, nuova epistola alla medesima persona: «non scordi il mio affare».
Il 6 marzo 94, ancora in riferimento alla corrispondenza con Orintia Romagnoli in Sacrati, poetessa cesenate, Bertòla scrive: «Ricevuto il denaro […] per la compra […] cercherò denaro a interesse […]: ho veduto il luogo che è bello: vi son debiti del venditore […]». Tre giorni dopo (9 marzo), a proposito di unaltra missiva diretta alla Sacrati, leggiamo nel «Diario»: «le ho già scritto che bisogna nellaffare andare con pie di piombo. Che le manderò la pianta del casino […]».
Il «casino» della cui «compra» Bertòla parla in questa lettera, è una proprietà a San Lorenzo a Monte (Rimini). Il testo del 9 marzo contiene altri accenni al «casino» che il poeta a lungo sognò come il proprio buen retiro. La grafia minuscola di Bertòla rende talora difficile se non impossibile decifrare tutte le parole del passo (come accade assai sovente con i suoi autografi). Sembra quasi che il nostro poeta voglia difendersi dalla curiosità dei posteri, rendendo dura lopera di scavo nelle sue pagine, e quindi nei suoi segreti. Accostando le parti meno ostili alla decifrazione, si ricava che: il «casino» non era abitabile, ma tale lo avrebbe reso Bertòla; la posizione su cui sorgeva era «ridente»; «il primo daprile» Bertòla sarebbe andato «in una casetta del fattor di Martinelli, vicina», per cui aggiungeva contento: «sarò in città e in villa». Le difficoltà di salute infatti lo ostacolavano nei movimenti.
Da altre fonti sappiamo che il 22 febbraio dello stesso 94 Bertòla ha stipulato un contratto biennale daffitto con Giovanni Pagliarani per una villa mobiliata (in località Crocifisso, a piedi del Covignano), con due camere, una saletta e un pezzo di terra: è la «casetta» di cui parla nel «Diario».
Nella pagine successive del «Diario», Bertòla registra minuziosamente ogni spesa per il «casino»: lonorario al perito, la mancia per trasportarvi uno specchio, lacquisto di trecento mattoni, carbone, due capponi, «canapé a letto», canne, sabbione, ecc. Il 29 e 30 aprile è citata la spesa di 70 scudi per «soffitto a S. Lorenzo». Il contadino che lavora per Bertòla si chiama Battistini.
La ristrutturazione delledificio dissangua Bertòla. In maggio scadono cambiali in scudi romani. Le preoccupazioni economiche si assommano a quelle per la salute che costituisce loggetto principale di molte lettere. Ancora una volta, la Sacrati viene in suo soccorso: a luglio gli manda 700 scudi. Per tutto agosto proseguono i lavori nel «casino». E così le spese.
È unestate che vede il contrasto fra lentusiasmo per il nido che Bertòla va allestendosi, ed il peggiorare della sua situazione fisica. «Fiacchezza» ha annotato il 1° luglio, ricordando anche «febbre». Il 18-19 agosto, si legge: «tosse, dolore, tristo avvenire […] essendo in peggior stato di salute». Bertòla ha soltanto 41 anni. L11 novembre scrive alla Sacrati: «che mi mandi le lenzuola».
Le parole con cui si conclude il primo fascicolo del «Diario» (nel gennaio 95), sono rivolte ancora alla Sacrati: Bertòla le ha inviato un anello; lei ha equivocato sul dono; lui si giustifica, proclamando la propria innocenza e deprecando che «ella già diffidi di me da non qualche tempo». La Sacrati, allora trentenne, temeva di essere corteggiata da quellinguaribile Don Giovanni? Bertòla le spiega: «per lannello non ebbi altra intenzione che il pegno», forse per quei 300 scudi di luglio.
Sotto il 25-28 gennaio, Bertòla riassume unaltra lettera inviata allamica cesenate: e qui la grafia protegge con un velo quasi compassionevole il segreto di una pagina che è facile immaginare inquieta come il suo spirito. (Nel 1786 la Sacrati ha scritto ad Amaduzzi che linstabile Bertòla mancava di riconoscenza e «pulitezza», cioè cortesia.)
Al pari delle citazioni qui riportate dal «Diario», è inedito anche questo passaggio del testamento bertoliano del 22 giugno 98: «Avendo io ricevuti molti considerabili benefizi e segnatam[ente] un ajuto in denaro per laquisto di un Podere, e Casino nella Par[rocchi]a di S. Lorenzo a Monte dalla Cittadina Orintia Sacrati nata Romagnoli di Cesena, lascio alla med[esim]a a titolo di Legato detto Podere, e Casino, compresovi un Campo da me ultimamente aquistato dalla famiglia Lettimi» [Atti Nicola Masi 1798, cc. 357v-358r, Arch. Stato Forlì-sez. Rimini].


3.
Il 10 agosto 1793, nel «Diario» di Aurelio Bertòla (rimasto finora inedito, e di cui abbiamo qui parlato nei nn. di maggio e giugno), troviamo riassunta la lettera inviata dal poeta riminese ad Orintia Romagnoli in Sacrati: «da Verona le scriverò a lungo sul libro che dedicherò a lei, e per cui voglio il suo ritratto». Sotto l8 settembre, si legge: «Sacrati: mandi il disegno, ma presto». Poi, al 9 marzo 94: «pel ritratto aspetti». Il primo maggio invia ad Orintia «versi pel suo ritratto».
Il libro di cui parla Bertòla è ledizione (che uscirà nel 95 a Rimini «per lAlbertini»), del «Viaggio sul Reno e ne suoi contorni», con la prefazione dedicata appunto «Alla nobil donna la Signora Marchesa Orintia Sacrati nata Marchesa Romagnoli».
Il viaggio in Svizzera e in Germania, progettato già nel 1783, si è svolto dal 19 luglio al 15 novembre 1787. Una prima stesura (parziale) del «Viaggio» fu pubblicata nel 1790 sulla «Biblioteca fisica dEuropa». Nel passo ricordato del «Diario» sotto la data dell8 settembre 1793, si legge che Bertòla ne richiede alla Sacrati cento copie, a otto scudi luna. Il titolo completo del lavoro era: «Viaggio sul Reno fatto nel settembre del 1787». [Una copia dellestratto è conservata alla Gambalunghiana, v. «11. Misc. Rim. CX., op. 10».]
Ledizione albertiniana del 95 appare senza il ritratto della Sacrati, del quale Bertòla parla nei passi appena citati del «Diario». La prefazione dedicata alla Sacrati inizia: «Queste Lettere, Signora Marchesa, a Voi dirette alquanti anni addietro, doveano assai prima dora tornarvi sottocchio messe alla stampa. Ma molti ostacoli, il più fastidioso e ostinato de quali fu la mia salute, non vollero che io soddisfacessi al mio desiderio».
Nel «Diario», per lautunno 93, ci sono molte annotazioni sulle condizioni fisiche del poeta riminese, sempre in riferimento a lettere inviate alla Sacrati. Il 26 ottobre, Bertòla le scrive da Verona: «salute sfasciata: aria di Venezia che sola mi conviene». Il 7 novembre: «malato in Verona». Il 23 novembre, a Pindemonte: «riavutomi andrò a Rimini a passar linverno». (Pindemonte gli risponderà: «non dubito che passando linverno a Rimini, ed avendo diligentissima cura della vostra salute, voi non possiate ristabilirvi anche in breve tempo».)
Del 28 novembre è unaltra lettera di Bertòla alla Sacrati: «pericolo di mal sottile, e passerò il verno, come potrò muovermi a Pisa o in patria». Il 9 dicembre Bertòla lascia Verona e torna a Rimini, ove giunge il giorno dopo. Per le feste di Natale, sotto le date 24-26 dicembre, scrive ad Elisabetta Contarini in Mosconi (presso cui aveva soggiornato a Verona, e che era stata sua amante, concependo da lui la figlia Lauretta nata nell86): «non va così bene».
Pindemonte da Venezia (28 dicembre), gli raccomanda: «Abbiatevi cura, e tra gli altri rimedi ricordatevi lallegria».
Il 29-30 dicembre il «Diario» registra una lettera di Bertòla ad Albetta Vendramin (altra sua vecchia fiamma): «non scrivo di proprio pugno, perché il dolor fisso sinasprisce alla più piccola azione». Le comunica che conta di andare a Venezia, salute permettendo: «se non dovrò restar qui», e precisa: «non curo di esser stimato pazzo […] per venire a Rimini senza necessità».
In altre epistole di questo periodo, Bertòla racconta a vari corrispondenti che «il latte non passa». Nel gennaio 94 «il dolor fisso persiste», per cui dovrà muoversi soltanto in primavera. Allinizio di febbraio Bertòla scrive a Pindemonte: «meglio di salute». Il 16 marzo, nulla di meglio: «male, dolor che persiste». L11 ottobre comunica alla Sacrati: «avrei bisogno di partire […] ma la salute non potrà permettermelo». In novembre e dicembre, il «Diario» registra salassi e applicazioni di mignatte, spese per il chirurgo e per il medico.
Nella prefazione del «Viaggio sul Reno e ne suoi contorni» dedicata alla Sacrati (con la data «Di Covignano 13. Aprile 1795»), la tristezza dellanimo di Bertòla è espressa da questo passo: «Io non so se la condizione a che le infermità mhan ridotto, consentirà chio più scriva», «questo libro è lultimo lavoro della mia penna».
Dello stesso 1795 (17 novembre), è una lettera di Bertòla alla contessa Soardi: «i fantasmi della bellezza semplice e ingenua da me raccolti, anni addietro, e che tuttora mi vanno oscillando per lanima, basterebbero a farmi comporre lintera giornata».
A proposito di «fantasmi». Nella «Lettera I.» del «Viaggio sul Reno», rivolgendosi sempre alla Sacrati, Bertòla aveva ricordato: «Io potrei quasi dire di avere con voi fatto il mio viaggio […]. Guardando, e notando io vi bramava sempre meco; e talvolta mi vi figurava al mio fianco; e così parevami di godere anche più, dividendo quei nobili e puri piaceri con unanima sì pronta sì gentile sì esercitata nel contemplare ogni specie di bello come la vostra».

A proposito del «casino» di San Lorenzo a Monte acquistato proprio due secoli fa da Aurelio Bertòla (vedi «Riminilibri», giugno '94), presentiamo altre notizie inedite, tratte da documenti notarili conservati alla sezione di Rimini dell'Archivio di Stato (ASR).
Con atto del 25 novembre 1790 del notaio Gaetano Urbani, Caterina Mengozzi (vedova del Governatore di Rimini Marco Sualli, figlia del fu Carlo di Rimini, e madre di Francesca, Teresa, Laura ed Antonia Sualli, abitante a Roma), per necessità finanziarie vende una «Possessione» ereditata dal marito, «di terra arativa, pergolariata, frascata, olivata, vignata, moretata, fruttiferata, caneverata con casa sopra ad uso del colono, e Casino ad uso de Padroni di cinque Camere compresa la Cucina, ed altresì un oratorio pubblico unito alla d[etta] Casa posta nel Bargellato di questa città, in contrada S. Lorenzo in Monte, Cappella S. Lorenzo». Della vendita fa parte pure la piccola vigna posta in San Martino in XX, affittata a Vincenzo Tonini. Nel documento si parla anche di «poche mobilia esistenti in d[etto] Casino», segnato al n. 330 del Catasto Calindri di San Lorenzo.
Il compratore, «Lorenzo Leurini di Rimino» paga 1.500 scudi, cento in più di quanto stabilito dalla perizia. Leurini s'impegna altresì a soddisfare i censi del venditore. Figlio del mercante Domenico e di Cristina Arienti, Leurini è sposato con Colomba Mengarelli.
Il 20 marzo 1794 Lorenzo Leurini vende per 1.682 scudi e 85 bajocchi, ad Ottavio Brilli (figlio di Adamo da San Giovanni in Marignano) tale proprietà «a favore della Persona da nominarsi» dal compratore. Ottavio Brilli, come mi spiega Luigi Vendramin dell'ASR, è fratello del notaio che stipula l'atto, Amadio Vincenzo.
Che tale «Persona da nominarsi» sia da identificarsi nel Bertòla, lo si ricava da altro documento del 26 giugno 1795 (notaio Gio. Battista Martelli). In esso infatti si fa il nome del «Sig.r don Aurelio del fu Sig.r Cap.o Antonio Bertoli Nobile Riminese attualmente uno de Professori dell'Università di Pavia», come di colui che aveva comprato «possessione e Casino vendutagli dal Sig. Leurini». Con tale documento del '95, in cui la proprietà è localizzata con l'aggiunta: «Fondo Calastra», la vedova Sualli concede a Bertòla una «dilazione di anni quattro» per il pagamento degli scudi 375 previsti dall'atto del 25 novembre '90: gli impegni di Leurini verso la vedova Sualli ricadevano su Bertòla che di soldi, però, non ne aveva granché.
Ne «Libbro Volture dal 1774 al 1779, Intitolato Catasto de Nobili» (ASR), al nome «Bertolli nob.le Sig. Abb.e Aurelio», la compera del «Casino» fu registrato come avvenuta per atto del Notaio Martelli del 12 giugno 1795, e non con quello del notaio Brilli del 20 marzo '94.
Poco prima dell'atto del 1794, il 6 dello stesso marzo, in riferimento alla corrispondenza con Orintia Romagnoli in Sacrati, poetessa cesenate, Bertòla aveva annotato nel suo «Diario» inedito: «Ricevuto il denaro […] per la compra […] cercherò denaro a interesse […]: ho veduto il luogo che è bello: vi son debiti del venditore […]». Alla data del 9 marzo, a proposito di unaltra missiva diretta alla Sacrati, leggiamo: «le ho già scritto che bisogna nellaffare andare con pie di piombo. Che le manderò la pianta del casino […]».
Un allegato all'atto del 20 marzo '94, contiene l'«Inventario degli Arredi sacri e mobili esistenti nel Casino e Casa Colonica del Sig. Lorenzo Leurini».
Tra gli «Arredi sacri», conservati nell' oratorio pubblico che faceva parte della proprietà, troviamo: «Un quadro dell'Altare rappresentante la B. V. intitolata delle grazie con sua cornice, e cimasa dorata. Una croce di legno col Cristo. […] Un reliquiario di rame inargentato. Quattordici quadretti della Via Crucis in scielti rami con cornice marmorina verniciata a lustro, con suoi filetti, e Croce d'oro a velatura».
L'elenco dei mobili dell'abitazione è molto più esteso: si va da «quattro banche da letto» a «un comodo per la notte d'abeto con suo vaso», ai servizi di sei chicchere da Cioccolato e da Caffè, «con suoi piattini, e zuccariera» e quattro «Cucchiaini da Caffè». Non mancano le immagini religiose: la B. V. de' Monti, un Ecce Omo, il Salvatore, San Carlo, San Vincenzo e «4 diversi Santi». I soggetti profani di altri quadri, riguardano «ville, pascoli, e marine», oppure «battaglie». Ci sono pure due scaldini e «un scaldaletto padella, teglia, tutto di rame».
Ciò che accadde dopo la morte di Bertòla alla proprietà di San Lorenzo a Monte, è un'altra pagina di piccola storia che merita di essere raccontata. Essa fu messa all'asta dal tribunale, su istanza di Orintia Romagnoli, quale creditrice nei confronti dell'Eredità Bertòla. Orintia non si considerò ricompensata da lettere e dediche del riminese: voleva recuperare gli scudi che gli aveva prestato. Le carte non furono più poetiche, ma legali. Ne riparleremo.


Antonio Montanari

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