Riministoria© Antonio Montanari
Vita da discoteca (1992)
«È bene, giungendo al mare, stabilirsi sin dall'inizio un regolare ritmo di vita. Ciò permetterà di dedicare alle varie cure le ore più adatte del giorno, alternandole saggiamente e nella misura voluta con le ore di svago, di riposo, di sonno. Quest'ultimo soprattutto è facilmente frodato mentre ha diritti specialissimi durante le cure al mare. Gli adulti non dovrebbero dormire mai meno di otto ore…». Così suggeriva nel 1950 il dott. Guido Nanni, ufficiale sanitario al Comune di Rimini, in una «Guida alle cure marine» edita, a cura dell'Azienda di Soggiorno, dal Centro di studi talassoterapici, del cui comitato di consulenza scientifica facevano parte luminari della Medicina come Antonio Gasbarrini e Gaetano Salvioli.
I consigli sanitari lasciavano intravedere abitudini diffuse, con quell'accenno al sonno «facilmente frodato». Se Rimini voleva dire sole e spiaggia, i suoi ospiti non potevano però dimenticare la notte della Riviera che esercitava, anche allora, il suo fascino sull'ospite.
1956, un depliant dell'Azienda di Soggiorno, riassume la mondanità notturna del tempo nella foto austera di Brunella Tocci (oggi giornalista della Rai), con lungo abito bianco, incoronata miss nel classico dancing che allora andava di moda. Il testo ha un accenno discreto a tutto ciò che non è semplicemente bagno di mare e passeggiata sulla spiaggia: «In ogni tratto della Riviera di Rimini, è fervida la gioia di vivere».
A metà degli anni '60, l'Ente provinciale per il turismo racconta la nostra spiaggia con la foto di una bionda turista nordica che, in costume “due pezzi”, prende il sole in una Rimini che «non ha paragoni e non è seconda a nessuno. È un mito, non una città. Qui, in tema di vacanze, accade oggi quello che, domani, troveremo altrove». È forse molto più osée la canzonetta che, in quei tempi, le gemelle Kessler, in pesanti calzamaglie nere, cantano dai teleschermi della Rai: «La notte è piccola per noi, troppo piccolina».
Anni '70, dal vecchio dancing si passa alla discoteca. Si licenziano gli orchestrali del “lissio” e del ballo del mattone, e si introducono congegni “americani”, magari costruiti in Italia. Negli Usa, all'inizio di quel decennio, nasce la parola discoteca non per indicare una raccolta di dischi (sul modello di biblioteca), ma un luogo dove si va a ballare. E dove un nuovo e strambo personaggio il di-gei (o disc-jockey) debutta, preannunziando quella rivoluzione strisciante delle notti giovani, che si consuma poi nei primi anni '80. Non più balli tranquilli e languidi, ma decibel che assordano e ballerini trasformati in atleti che si dimenano come in preda alla follia. La Riviera si adegua. I “creativi” inventano il mito della notte romagnola che non finisce più.
Niente di nuovo sotto il sole, anzi sotto la luna, commentano i vitelloni di felliniana memoria, quelli del ballo tradizionale, quei giovani del dopoguerra, i quali ricordano le loro notti brave concluse all'insegna del giro in spiaggia a vedere l'alba, con gli occhi socchiusi da tanta voglia di sonno. Il ritorno a casa avveniva su vecchi “catenacci”, bici o moto: le auto, negli anni '50, erano una rarità, e chi ne possedeva una doveva trasformarla in una specie di minibus, con dieci, dodici amici a bordo. Quindi, niente follia del correre a tutto gas, ma semmai un procedere lento, all'insegna del ricordo della notte appena passata.
Dalla sera al mattino, una notte tutta per voi, sembra essere lo slogan pubblicitario di «Rimini & Co.», a cura della neonata Apt, sul finire degli anni '80, quando a guidare l'ente è Piero Leoni. «La città della notte» s'intitola infatti un capitolo che fino al 1991 è stato proposto ai turisti: «I re della notte sono i giovani, ragazzi e ragazze che ballano la musica da discoteca, delle hit parade internazionali o dei revival degli anni '60 e '70. In tutti gli animatissimi locali notturni si incontra un pubblico variopinto di età, razze, culture diverse. (…) Questo trascorrere naturale del giorno nelle ore notturne che si estendono fino all'alba successiva senza che il movimento si fermi, ha anche effetti positivi sulla sicurezza delle notti della costa riminese e di tutte le altre località. Strade sempre frequentate, locali aperti tutta la notte, shopping fino a tarda sera ed anche questo ritrovarsi tra gente di ogni razza nel comune desiderio di star bene insieme divertendosi, allontanano quelle forme di piccola e grande criminalità presenti negli spazi notturni delle aree metropolitane». Il sottotitolo dichiara: «Momenti magici senza spiacevoli avventure». I bikini cedono il passo, nelle foto, al topless.
Si crede che il “modello Rimini”, come dichiara nell'estate '91 il sindaco Moretti, sia fatto di libertà, ma non di trasgressione. L'otto agosto dello stesso anno, in una lite tra ragazzi per futili motivi (si parla di una discussione sul calcio), fuori di una discoteca, viene ucciso nei pressi di piazza Tripoli, Luca Scio, 16 anni, milanese, una “testa rapata”. Sul luogo del delitto i suoi amici scrivono: «Qui è morto un eroe».
Il “modello Rimini”, che era stato propagandato come simbolo del divertimento e della voglia di vivere, diventa il negativo di se stesso. Mario Deaglio, sulla «Stampa» lo prende come esempio per indicare la «cupa china di violenza» su cui gli italiani stanno scivolando, anziché «sentirsi liberi, contenti e appagati». Scrive allora un editoriale del «Ponte»: «È certo che molti ragazzi italiani vengono in Riviera come in una terra dove tutto è promesso e permesso. C'è quasi la corsa verso l'evasione dalle città grandi o piccole. Ieri, bastava una giornata al mare, per fuggire dalla monotonia del ritmo quotidiano. Oggi, vengono proposti sui mass-media altri modelli, e la parola “trasgressione” si è venuta riempiendo di mille significati. Ci sono dentro i bomboloni all'alba, ma anche i francobolli drogati all'lsd» (25.8.1991).
Il depliant '91 dell'Apt parla della notte come «protagonista di uno spettacolo ricco di sorprese e colpi di scena», cita la presenza delle discoteche con i loro «frenetici ritmi», a cui si contrappongono le «tranquille alternative» di altri modi di passare lietamente la vacanza. Quando però, in un'interessante mostra fotografica all'Apt, si presenta il materiale da cui è nato l'opuscolo turistico, si torna a battere sul mito di una «notte tentacolare, ammaliatrice, misteriosa».
Negli ultimi anni, la notte in discoteca è diventata, oltre che questo mito che si è poi diffuso a macchia d'olio in tutt'Italia, anche un importante affare che ha condizionato il costume nazionale. Nel 1988, sul «Ponte», la prima puntata di un'inchiesta intitolata «Rimini come», affrontava proprio il tema della costa divenuta un immenso “villaggio-discoteca” senza più una propria identità: «Quello che succede qui, oramai avviene a Milano, sulla costa ligure, nei villaggi turistici delle coste meridionali. E si verifica anche il contrario; quanto càpita fuori di casa, dev'essere subito importato: nascono gli slogan, ovvero i nuovi imperativi categorici di fine secolo». I comportamenti diventano così sempre più massificati, «con guizzi di fantasia che trovano conforto nella chimica di basso profilo, ed allora s'importano pasticche che piano piano si diffondono e cominciano a circolare in un giro che s'allarga da Rimini fino a Cortina… Bomboloni ed afrodisiaci, ecco la nuova miscela dei gusti standardizzati» dal culto della discoteca.
La settimana scorsa, una ragazza con cappello a cilindro e tuta nera aderente, commentava amaramente la drammatica vicenda di Riccione, dove nel parcheggio di una discoteca, Maurizio Mazzocchetti, 24 anni, di Pescara, ha perso la vita all'alba di domenica 26 aprile, per un'aggressione da parte di altri giovani, ed aggiungeva il suo credo in quella vita di musica a tutto decibel: «Darei mia madre per venire sempre a ballare qui».
Piero Leoni, ora presidente dell'agenzia turistica regionale, si ribella alle immagini aberranti del divertimentificio regolato sulla trasgressione e sull'esibizionismo. Il suo sogno di «momenti magici senza spiacevoli avventure», non si è avverato.
Tutti ora vogliono cambiare pagina. Un uomo di scuola come il preside di Morciano Giuseppe Prosperi ha scritto al suo sindaco che in quello che sta accadendo ci sono anche «responsabilità delle istituzioni» che hanno trasformato le nostre città rivierasche in «sinonimo di divertimento e trasgressione». Dice Prosperi che «fra molti giovani sta emergendo una concezione della vita come divertimento continuo e guadagno facile, rifiuto della fatica e della cultura».
Ma la discoteca è la causa o l'effetto? Ci sembra che responsabilità esistano per gli operatori economici locali, i quali hanno fatto di tutto per creare questi templi rumorosi e folli che, come carta moschicida, attaccano a loro stessi tanti altri problemi (dalla droga all'alcol, alle stragi sulle strade nelle notti dei fine-settimana). Però, ci sembra pure che la discoteca sia soprattutto il sintomo di una crisi di valori della società; cioè, il luogo dove si trova riparo non avendo nulla di meglio verso cui orientarsi. Quel tizio che scrisse che «la vita non è già destinata ad essere un peso per molti, e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego», cioè un impegno, è da parecchio tempo che lo vogliono radiare dai programmi scolastici della nuova scuola superiore. Si chiama Alessandro Manzoni. Uno che di notti che fanno pensare, se ne intendeva.

Antonio Montanari

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