Riministoria© Antonio Montanari

«La contrada dei Magnani» ovvero Via Garibaldi

«La contrada dei Magnani» è un'iniziativa editoriale singolare, come la strada a cui è dedicata, via Garibaldi a Rimini. Si tratta di un libro che 63 commercianti riuniti in un comitato “d'area” hanno fatto pubblicare per offrirlo in omaggio ai loro clienti natalizi. Ma il volume è anche un atto mecenatesco rivolto alla città. Ne parliamo non solo perché esso è stato curato per le «Edizioni Il Ponte», ma in quanto si tratta di un'impresa intelligente e nuova.
Già nella presentazione alla stampa, il prof. Giovanni Rimondini (uno degli autori dell'opera), ha ricordato come per scrivere queste pagine si sia messa in moto una ricerca che ha dato buoni esiti, ma che dovrà essere continuata per sviluppare gli spunti emersi dall'indagine sulle vicende di quest'antica via.
Via che il prefatore Sergio Zavoli definisce «la strada più singolare di Rimini», per vari motivi, tra cui vi è l'essere «il più vecchio, omogeneo e vitale insediamento di attività artigiane e commerciali che una piccola comunità urbana abbia spontaneamente espresso».
«Né signora né povera» la battezza Zavoli, «né ammiccante né schiva, e tuttavia con una fierezza civile, una solidarietà umana, un'identità sociale che non hanno riscontro, per omogeneità, in altri siti di Rimini».
Zavoli, con la grande felicità espressiva che tutti conosciamo, con quel suo stile intimistico sempre attento cogliere le sfumature sentimentali delle cose tra cui viviamo, apre degnamente queste pagine.
Gli altri autori formano un coro il cui maestro va citato per primo. Si tratta del prof. Piero Meldini (direttore della Civica Biblioteca Gambalunghiana di Rimini), che ha coordinato l'iniziativa, alla quale hanno partecipato, oltre al citato Rimondini, in ordine di sommario, il prof. Amedeo Montemaggi, Valter Valmaggi, Ugo Ciavatti, il prof. Otello Pasolini ed il dott. Giorgio Murra (per la parte dedicata alla Cassa San Gaudenzo). La parte tecnica è stata curata dal collega Matteo Tassinari de «Il Ponte», mentre Gianluigi Crescentini, segretario della Confcommercio di Rimini, ha seguito quella promozionale. Lo Studio grafico Hex di Rimini ha prodotto una graziosa carta dipinta, con i due fronti della strada.
Delucca, attraverso notizie di archivio che ha raccolto con un impegno certosino (attestato pure nella sua recente storia della casa rurale nel ’400, di ben 800 pagine, primo di tre volumi sull'argomento), illustra il volto urbanistico e sociale della via. Dalle sue annotazioni emergono la vita quotidiana e la vicenda economica di gente che non era tutta del posto. Numerosi sono infatti gli emigrati citati nei documenti notarili: all'altezza di contrada Sant'Agnese, ad esempio, abitano i figli di un ungherese, di uno slavo e di uno spagnolo.
I Magnani di cui si parla nel titolo del libro, erano lavoratori “di fino” del ferro e di metalli. Essi popolano la contrada, assieme a fabbri, chiodaroli, calderai, coltellai, spadai e balestrai.
«Una viva scena antica» ha intitolato Rimondini il suo capitolo dedicato all'arte della via: è un susseguirsi di notizie storiche che ci restituiscono in sintesi i fatti dei secoli passati.
L'unico lascito medievale sopravvissuto a tutto, alle distruzioni della guerra e degli uomini, è quella bottega a sinistra guardando verso il borgo Sant'Andrea (o Mazzini), con due parapetti laterali ed un piccolo ingresso centrale, già negozio di frutta e verdura ed edicola, ed attualmente chiusa.
A proposito di guerra: Amedeo Montemaggi ha steso il capitolo sul 1943-44, intitolato «Agonia e morte del rione Garibaldi». È la riproposta dei drammatici eventi che iniziano il 28 dicembre ’43 con le bombe che cadono nel rifugio di San Bernardino, e che fanno 56 vittime: doveva essere bombardata Bologna, ma il cattivo tempo esistente nel cielo emiliano, fece ripiegare gli aerei su Rimini. Nel rifugio Cecchi in via Montefeltro muoiono altre 29 persone. Le bombe continueranno a cadere e a distruggere la via per tutta la primavera del ’44.
Valter Valmaggi ha paragonato via Garibaldi ad un fiume in cui scendono tanti affluenti, che egli racconta con stile simpatico, da attento cronista del mondo a cui lui stesso appartiene, avendo abitato in via Garibaldi.
Ugo Ciavatti, ottuagenaria e vigile memoria del tempo che fu, elenca «I vecchi negozi», citando nomi cognomi e soprannomi, professioni e bizzarrie di circa un secolo.
Otello Pasolini appare sulla scena del libro a chiudere il discorso, con righe che racchiudono la storia spicciola, i ritratti della gente, nel saporoso involucro della pagina memorialistica, tutta intessuta di una elegante ed arguta sapienza letteraria.
La proustiana partenza che s'avverte nel titolo («Il tempo perduto»), introduce ad una «ricerca» che semina ed attribuisce ad ogni cantone di casa, ad ogni porta, ad ogni finestra quasi, i segni, le glorie, le miserie, i dolori e i piaceri della vita vissuta.
Sono ritratti che Otello Pasolini non aveva mai messo sulla carta, e che per l'occasione ha riportato alla luce, scavando dentro di sé, e credo con grande commozione, senz'altro con partecipazione. L'autore stesso si confessa nell'inizio del capitolo, scrivendo: «Pensavo ad un gioco piacevole quando mi proposi di rievocare gli anni e l'ambiente della mia adolescenza, ma presto mi accorsi quanto sia difficile rendere e partecipare le sottili emozioni che suscita la memoria, ma lasciano indifferente chi si trova estraneo».
Pasolini sa trasmettere al lettore quelle emozioni, e quindi siamo lieti di smentire quella sua affermazione pessimistica: davanti alla sua pagina, non si resta estranei, si viene coinvolti. E il merito non è dei fatti raccontati, ma dello scrittore.
«Nel Ceramico di Atene», scrive ancora Pasolini nella sua introduzione, «sotto gli eroi dorme un tesoro di vasi attici in frantumi, come uomini e cose nei giacimenti di memorie: se non si riportano alla luce in tempo restano cocci sepolti e si dissolvono». È un ammonimento per tutti, e la città dovrebbe mostrarsi grata agli autori e ai promotori dell'iniziativa, per aver raccolto questi sparsi frammenti del tempo che fu, in un lavoro organico, a cui ci auguriamo segua qualcosa di analogo anche per altre strade.

Antonio Montanari

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