Riministoria© Antonio Montanari

Paola Sobrero, La festa rubata

Gli anni di fine Ottocento furono caratterizzati in Italia dalla politica di Francesco Crispi che governò dall'87 al '96, con l'intervallo del '91-'93, quando capi dell'esecutivo furono il conservatore Di Rudinì e il liberale Giolitti ('92-'93). Sono momenti cruciali delle vicende nazionali, in un Paese diviso (come raccontò magistralmente Benedetto Croce), tra reazionari "per paura", socialisti esasperati e ribelli, e liberali che condannavano i socialisti ma riprovavano pure i metodi reazionari.

Già nell'82 c'erano state lotte contadine in Valpadana, represse dall'esercito, in seguito alla crisi agraria (provocata dalle importazioni americane), crisi che ebbe come conseguenza un aumento dell'emigrazione.

Per contrastare i movimenti operai, si era diffusa in Italia l'idea che occorresse un governo "forte", alla tedesca. A Crispi, spiega Croce, si chiedeva l'"energia… di una sorte di dittatore" che compisse il miracolo di un nuovo ordine sociale, rispettando il contesto politico esistente.

Alla vita riminese di quegli anni, dedica la sua attenzione Paola Sobrero nel volume "La festa rubata", edito da Sapignoli (lire 25 mila), a cura di Cgil, Cisl ed Uil, e dell'Istituto storico della Resistenza della nostra città. Il libro, che tratta delle celebrazioni del Primo maggio nelle nostre terre, è interessante e ben documentato: esso si articola in varie parti. Si ricostruisce anzitutto, dall'antichità al Rinascimento, la mitologia del maggio visto come simbolo della rinascita della natura e della vita. I Celti (nostri lontani progenitori, a cui è dedicata in questi mesi un'eccezionale mostra a Venezia), col primo giorno di quel mese celebravano l'inizio della stagione dei pascoli, con feste in cui si mangiavano gli agnolotti, che essi chiamavano ajeult.

A quel mese, inteso come simbolo della natura che rifiorisce, è legato nel 1700 l'albero di maggio, che dopo l'89 diventa l'albero della libertà : il quale, a Rimini, fa la sua prima apparizione nel febbraio 1797, "fra il tripudio popolare e patriottico". Passa alla storia, per le sue esuberanti manifestazioni di gioia, un sarto concittadino, Terenzio Fontana.

Finita la rivoluzione, l'albero della libertà diventa segno di ribellione, e come tale sarà usato in eventi successivi (ad esempio, nella Repubblica romana) e poi per la festa del Primo maggio: al proposito, si ricorda l'episodio di Spadarolo, con l'uso sulle fronde di bandiere rossa e nera.

Qui, le annotazioni della Sobrero toccano anche le usanze dei Calendimaggio riminesi, soppressi attorno al 1840 dall'autorità vescovile che disapprovava i canti e i balli delle "marinaresche verginelle": le ragazze venivano definite "marinaresche" perché la festa si svolgeva sul litorale.

Poi si esaminano le premesse storiche del Primo maggio operaio che nasce nel 1889, per decisione della II Internazionale, allo scopo di ricordare gli eventi luttuosi di Chicago di tre anni prima, "lo sciopero e i disordini che, nell'ambito della lotta per le otto ore di lavoro, si erano conclusi con il martirio dei sindacalisti e militanti impegnati in quella rivendicazione".

Infine, c'è la storia della Rimini della seconda metà dell'Ottocento, che eredita gli spiriti giacobini, mentre sorgono le prime Società di mutuo soccorso. Il Primo maggio 1885 nasce quella dei marinai, e si stabilisce che la festa di questi lavoratori debba tenersi annualmente la prima domenica del mese di maggio.

Ogni gruppo politico battezza la sua bandiera: rossa per i repubblicani, nera per gli anarchici, verde per i socialisti anarchici di Amilcare Cipriani. Diversi i colori, diversi gli spiriti, unico lo scopo (cambiare la società ingiusta), anche se su tutti gli estremisti pesa quella contraddittorietà tutta riminese, che nasceva dalla mancanza di una forte base operaia e dalla presenta di una notevole componente borghese.
L'analisi della Sobrero parte da fonti storiche e giornalistiche. Tra le prime, ci sono anche i processi a cui molti riminesi furono sottoposti nel '98, quando in seguito alle proteste del pane, al grido di "Abbasso gli affamatori", gli operai manifestarono e ci fu uno scontro con la truppa che fu costretta ad abbassare le armi, come raccontò "Il Marecchia", portavoce della Sinistra riminese.

Tra i giornali del tempo, viene citata pure "L'Ausa", periodico cattolico, che non brilla certo per progressismo nei suoi resoconti sul Primo maggio del 1886 e del 1923. Ma crediamo che il problema del rapporto tra cattolici e mondo del lavoro non possa essere spiegato in queste sole citazioni: infatti, la stessa autrice esamina (in breve) gli effetti locali della "Rerum novarum". Resta tuttavia il dubbio se un'analisi meno pregiudiziale (in un'opera edita a cura anche della Cisl), non potesse offrire un'immagine più completa sulla realtà cattolica nei nostri Comuni. Sulla quale, per chi volesse saperne di più, rimandiamo alle pagine di un altro testo, "La Rerum Novarum in Romagna" di Giuseppe Mosconi (Europrom, 20 mila), dove un capitolo tratta appunto della ""Rivoluzione" riminese".

Antonio Montanari

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