Riministoria
© Antonio MontanariGino Montesanto, "Re di sabbia"
L'ho inseguito un'estate intera, con il telefono, al suo indirizzo romano. Ormai, lo consideravo irraggiungibile, e temevo che la sua fama di scrittore ne facesse un personaggio difficile da avvicinare. È bastato invece l'incontro improvviso, in redazione, per cancellare le mie paure. Il sorriso sincero, l'affabilità romagnola, aprono subito amichevolmente al discorso confidenziale, attorno al suo ultimo romanzo "Re di sabbia", edito da Rusconi.
Gino Montesanto, classe 1922, è originario di Venezia, come il padre che morì quando lui aveva soltanto cinque anni. La madre ritornò allora, con quel bambino da crescere, nella natìa Cesenatico: "La mia radice è qui", dice, anche dopo un'intera esistenza trascorsa a Roma, dove si è trasferito nel '47, e dove ha lavorato prima come giornalista letterario, e poi come redattore alla Rai nel settore delle sceneggiature.
Ha debuttato nel '51 con "Sta in noi la giustizia", a cui seguì nel '56 "Cielo chiuso": in queste opere, affronta il tema dei contrasti politici e delle lacerazioni prodotte nella coscienza di chi visse il periodo della guerra e della Resistenza. "La cupola" (1966) e "Prima parte" ('72) ripropongono i temi della società politica, raffigurata come il luogo del fallimento morale che segue alle illusioni generose della giovinezza.
"Re di sabbia", apparso qualche mese fa, racconta di una famiglia romagnola, i Mazzotti. Sullo sfondo, la vicenda collettiva a cavallo dell'ultima guerra, ricostruita con efficacia attraverso pochi accenni che bastano al lettore per collocare nel tempo i fatti: la caduta di Mussolini, Salò, la Resistenza ("I gruppi erano tutti formati da comunisti che promettevano la giustizia rivoluzionaria, cioè altro sangue e altri guai, un'altra dittatura", pag. 56), la ricostruzione, i sogni golpisti dei reduci repubblichini.
La storia dei Mazzotti, mi riassume Montesanto, "è emblematica del periodo che va dal dopoguerra al "boom", una storia dei nostri tempi nella corsa verso il benessere, con persone che, pur di arrivare, non guardano in faccia a nessuno".
Quando Augusto torna dalla prigionia, non riesce a capire come la moglie Letizia sia riuscita a creare tutto quel capitale. Lei gli espone la sua filosofia: "I debiti è meglio levarseli di torno se pensi di farne degli altri più grandi". E poi: "Non c'è altro che conti se non possedere di più per contare di più". I soldi però cambiano gli animi. Augusto sembra un estraneo nella sua famiglia, dove il figlio maggiore Sandro è "tipo con cui non si può parlare, perché o si fa come dice lui o non ti bada".
Sandro non è il figlio di Augusto, ma dello zio Claudio, un tipo strambo, senz'arte né parte, che ama la vita randagia. Il matrimonio veloce di Letizia con Augusto ha mascherato la verità, ma non cancellato i dubbi del marito. Soltanto il figlio sembra sapere.
Durante la guerra, Sandro è finito tra i "neri" di Salò, mentre suo fratello Leone si è nascosto tra i partigiani, ma per aver fatto saltare un ponte si è meritato anche una decorazione. Sandro e la madre si arrampicano sul capitale, senza paura di nulla. Dopo un'asta, lui deve scappare "per non prendere le botte". È il tempo in cui nascono come funghi gli alberghi, il cemento invade la nostra costa, tutta la Riviera è "un grande cantiere". L'estate porta il tutto esaurito di ospiti; d'autunno, la gente riprendere a costruire. Letizia vede che tutto cambia, ma non può dimenticare la riva selvaggia dove s'era appartata con Claudio.
Sandro diventa il protagonista indiscusso della ditta Mazzotti, si isola dalla madre, si intrufola in affari sempre più complessi ed oscuri, la famiglia gli pare una palla al piede. La madre "ormai è tagliata fuori, le notizie le sa quando sono già sulla bocca di tutti Durante la notte se avesse davanti a sé Sandro, sarebbe capace di strozzarlo". Mentre Sandro rischia la galera con affari sempre sull'orlo del codice penale, l'altro figlio Leone è uno che " paga tutte le tasse possibili".
Poi, c'è una figlia, Graziella, che "da un pò di tempo si comporta in modo strano". Va dalle suore, a badare ragazze "infelici" (l'aggettivo rende la romagnolità dello stile di Montesanto). Letizia si confida con Leone, a proposito di questa giovane: "Andava in chiesa, pregava per loro. Per farla breve, Graziella sembra che abbia intenzione di farsi suora. Da chi ha preso, domando io! Suore, preti, frati e compagnia bella hanno più cattiveria che bontà, pensano ai loro interessi".
All'orizzonte di Sandro, spuntano altre donne. La segretaria Maura tenta pure lei di salire sul carro della ricchezza, diventando l'amante del principale. Delusa, penserà anche di ucciderlo. Elena, in cambio di prestazioni amorose, riuscirà a far avere a Sandro, tramite il marito sottosegretario, certi fondi statali per grandi imprese edilizie. Infine, appare la contessa Mercuriali, con il suo villaggio sardo, che Sandro vorrebbe tutto per sé. E che alla fine lui perderà, dopo aver tentato di rovinare la contessa.
Sull'orlo del fallimento, Sandro imbroglia anche i famigliari: prende i soldi a Leone, e scappa col portafoglio pieno, lasciando la madre ad affrontare una situazione insostenibile. Letizia è ormai sconfitta dagli eventi. Mentre questa famiglia si distrugge nella corsa verso la ricchezza, Graziella confida a Leone: "Non mi è mai piaciuta la vostra vita. A cominciare dalla mamma, da Sandro. Li ho sempre visti nervosi, agitati: solo per i soldi, per avere più roba. Tu non sei come loro, sei diverso, un pò ci badi alla tua famiglia, ai tuoi bambini". Graziella farà il noviziato. Leone le chiede: "E per tutta la vita in mezzo a quelli che stanno per morire?". La risposta della ragazza è disarmante: "Che male c'è".
È una risposta che alcuni critici non hanno capito, e che rimproverano a Montesanto. Le pagine su Graziella sono poche, leggere, con accenni volutamente brevi, non per ambiguità del discorso narrativo, ma per creare un contrasto tra le lunghe discussioni sulle preoccupazioni economiche dei Mazzotti, e questa innocenza che lancia la sua luce sul prossimo, mentre tutti, o quasi, pensano ai loro egoismi. Pagine che hanno scandalizzato, mi confida Montesanto, "quei conformisti di sinistra che controllano i giochi di squadra nel mondo della cultura, e che appena sentono odore di "cristianuzzi", ti emarginano".
E Cesenatico come ha accolto il romanzo? "L'ambiente è tendenzialmente laico e di sinistra. Ciononostante, ne sono state vendute cento copie. E ho ricevuto plausi anche da chi ha opinioni opposte alle mie".
Dal romanzo all'attualità: "La situazione civile dell'Italia, non è confortante", sostiene lo scrittore: "Questo appropiarsi degli spazi anche privati da parte dei partiti e della mercificazione, rende impossibile l'esistenza. Il nostro è un periodo estremamente negativo. Il benessere si è diffuso in modo indiscriminato. Quelli che erano poveri, adesso hanno tutto, ma non una cultura o una crescita intellettuale. Non sono maturati, restano allo stato di allora. Ma allora, avevano una capacità di aderire alle regole della società, oggi questo non succede più, si obbedisce soltanto ai propri interessi. Una volta, il povero aveva su di sé la cappa della società, che gli impediva di andare contro la società stessa. Oggi ognuno fa quello che gli è più comodo. Si vuole soprattutto aumentare il proprio benessere, senza badare a regole".
A proposito di regole. Questo aspetto non riguarda il problema del rapporto tra economia e morale, del quale (finalmente) si comincia a parlare? "Sì, ma se ne accorgono soltanto i teorici, non i capitani d'industria, e neanche i tenenti ".
Tutto ciò è inevitabile? "Non lo so se una società può progredire così, con la sopraffazione che è diventata quotidiana".
Il discorso di Montesanto è tinto di pessimismo, come la conclusione del romanzo. Solo Graziella sembra aver trovato il coraggio di dire la verità, con quel suo rimprovero: di roba, ne volevate sempre di più, e adesso "se la stanno portando via tutta". Quando pronuncia queste parole, la ragazza "si mette a ridere con innocenza". "Un'innocenza", commenta lo scrittore nel libro, "dove c'è anche il gusto di aver ragione". Ma sull'amara conclusione della vicenda del "Re di sabbia", lo spiraglio di speranza nasce proprio dalla contestazione di Graziella, che vede il prossimo non in funzione soltanto dell'interesse personale, egoistico, ma come proiezione di quel Cristo, a cui sembra voler dedicare la sua esistenza.
"Certo, con il passare degli anni sono diventato più pessimista", ha confidato Montesanto a "Famiglia Cristiana": "mi sembra che oggi predomini la cultura, anzi la non cultura della violenza. Parliamo tanto di pace, ma abbiamo fatto la guerra. Finché non ci sarà un'educazione alla pace non potremo mai aspirare ad una società più giusta, razionale, religiosa".
Valerio Volpini, sulla stessa rivista, ha espresso un giudizio su questo romanzo, che sembra perfetto: "La straordinaria discrezione di Montesanto non gli impedisce di affondare la sua analisi anche nei rovesci più tristi e amari dell'uomo. Talvolta per questa severità calvinistica è stato anche frainteso, ma questo è un prezzo che uno scrittore serio deve saper pagare". E Cesare Cavalleri, su "Studi Cattolici" ha precisato: "Anche se le situazioni esposte nel romanzo sono spesso scabrose, non manca mai l'implicita presa di distanza morale dell'autore, che non indulge in descrizioni". Montesanto, come ha detto a "F.C.", sa soprattutto come la vita sia sempre "una lotta tra bene e male, e quasi sempre il male è più appariscente, fa parlare di sé e quindi sembra prevalere". Anche se poi, dal disordine spunta, imprevedibile ma necessaria, una speranza come quella rappresentata dai pensieri di Graziella: e per tutta la vita in mezzo a quelli che stanno per morire? "Che male c'è".
Antonio Montanari
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