Riministoria© Antonio Montanari

Sergio Zavoli, 1993

"Neppure Federico c'era". Basta questa frase per capire che il brano di Sergio Zavoli, pubblicato da "Epoca", era intonato alla chiave musicale della rimembranza. Se l'orecchio di chi legge non percepisce le sfumature di quello spartito, ogni critica va sopra le righe. Uso un'immagine musicale, perché Zavoli ha scritto il suo amarcord generazionale in un libro intitolato "Romanza". Nato il 21 settembre 1923, egli appartiene a quel coro di ragazzi venuti al mondo tra la fine della grande guerra ed i dintorni della marcia su Roma.

Il segreto di queste rivisitazioni del passato, come quella apparsa su "Epoca", è condensato in una pagina di "Romanza", dove verso la fine si legge: "…se il ricordo è in grado di condurre fino a noi cose vissute mille anni prima, non può affatto escludersi… che… possa fare anche il cammino opposto, inoltrandoci cioè nel futuro" (p. 253).

Zavoli è un grande cronista ed un ottimo narratore, appartiene alla generazione degli Orio Vergani, dei Giovanni Mosca e degli Indro Montanelli: in nessuna loro pagina, il bilancino da chimico riuscirebbe a pesare la verità di cronaca e l'invenzione letteraria. Montanelli, per giustificare le sue citazioni dei fulminanti "Controcorrente", usa ripetere che le frasi migliori dei grandi personaggi, sono quelle postume.

Zavoli è il creatore del "Processo alla tappa", grazie al quale oggi vivono di rendita generazioni biscardiane, in debito di ossigeno grammaticale e con frenesia da scoop. È stato ed è un maestro del nostro giornalismo radiotelevisivo. Ogni sua parola è come una tessera della storia collettiva di un'Italia che, uscita dalle macerie, si è ricostruita a forza di braccia e cambiali. Inevitabile il confronto con i distruttori attuali, esercitatisi in Tangentopoli. È ovvio che anche Zavoli faccia i suoi bilanci, e che dica la sua opinione.

Dimenticarsi della sua carriera, significa non capire le sue pagine. Ogni volta che scrive che le bandiere rosse, non quelle del sol dell'avvenire, ma del bagnino di salvataggio, non ci sono più in spiaggia, non possiamo suggerirgli una visita oculistica. L'invenzione letteraria non tien conto di altra realtà, al di fuori di quella che emerge poi dal testo scritto.

Quando Zavoli ha definito la tavola dei 150 anni una "stupefacente invenzione", per lui però "innaturale", ha soltanto confessato un suo pensiero. Vogliamo proibirglielo, in base al ferreo principio che "Tutto va ben, madame la marquise"?

Si può dare torto a Zavoli quando, alla luce della fantasia che rivive i sogni di un tempo, scrive che l'arrivo del Rex era "falso due volte"? Con lucidità, egli ci spiega: "non era quello illusorio e memorabile" del film di Fellini, "e neppure quello vero rimasto chissà dove".

In questa Rimini che invoca: chiamami città, avendo di sé la coscienza di esser radicata nella mentalità di un borgo, la pagina di Zavoli ha mobilitato il solito rito del commento che trasforma una riflessione personale in un atto da rinviare al tribunale del popolo. "Radames, discòlpati".

Antonio Montanari

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