Riministoria© Antonio Montanari

Romano Garofalo

Un fumetto riminese alla ribalta del 44° Salone internazionale dell'umorismo di Bordighera: la scorsa estate, la "Palma d'oro" della sezione Humour Comic, è stata assegnata a "Il Grande Alfonso", opera di Romano Garofalo e Marzio Lucchesi, autori rispettivamente dei testi e dei disegni pubblicati da Glénat.

Per questa edizione del Salone, tra gli altri premiati della sezione letteraria, c'è anche il nome illustre di Giulio Andreotti, un politico che "fa ridere", nel senso che con la sua ironia, cerca di far spettacolo, però al di fuori delle sedi istituzionali, beninteso. Quindi umorista, sì, ma non di professione, come lo è invece il nostro Garofalo, arzillo cinquantenne mio ex compagno di scuola alle medie.

Invecchiando, egli sa mantenere intatto il suo stupore giovanile, grazie al quale riesce a creare personaggi come questo Alfonso che ha ormai quindici anni ma non li dimostra, perché ha saputo rinnovarsi. Infatti, il personaggio è nato all'anagrafe del fumetto come Mostralfonso. Crescendo, deve aver visto che in fin dei conti gli uomini, in certe occasioni, sono più mostruosi di lui, ed è rimasto semplicemente quell'Alfonso che ora sbuca anche dalle pagine del "Corriere dei Piccoli".

In un (vecchio) libro del 1979, Alfonso veniva presentato come "uno yeti che un bel giorno abbandona le montagne innevate e giunge alla civiltà", e che poi viene adottato "da una vecchietta che inizia ad insegnarli i principi elementari della convivenza civile", anche con l'aiuto di alcuni "professori" che "nella striscia appaiono come i più tipici rappresentanti del "potere"".

L'"assunto principale", spiegava Garofalo, è che "qualsiasi società si fonda sulla omogeneità del gruppo e rifiuta i corpi estranei" come Alfonso. (Da Mostralfonso ad Alfonso: è cambiata la società, o si integrato lo yeti?).

Garofalo si racconta così: è un laureato in lettere che, mentre frequentava la Statale di Milano negli anni '60, ricevette la proposta da un editore della stessa città, di creare un nuovo giornale a fumetti. Nacque "Jonny Logan", un mensile che ebbe successo e che approdò con i suoi personaggi anche al celebre "Supergulp" della Rai. Dopo aver prodotto "Medium", un giallo parapsicologico, e il "Calabrone", un mensile di satira politica, nel 1980 Garofalo si mise in proprio, ideando vari personaggi a fumetti, la cui realizzazione grafica affidò ai "migliori disegnatori italiani ed europei".

Con Alfonso, ha varcato i confini italici, arrivando sui quotidiani di mezzo mondo, Giappone e Sud America compresi. Nel Paese del Sol Levante, addirittura, è diventato una linea di prodotti, dalle magliette agli orologi. Quattro anni fa, Alfonso è finito alla tivù, in "Slurp" sul circuito Odeon.

Se Gustave Flaubert poteva dire "Madame Bovary c'est moi", forse la stessa cosa può dire Garofalo di Alfonso, al quale con la sua capigliatura rassomiglia vagamente. Ma sentiamo come Garofalo si confessava (in terza persona, come Giulio Cesare), nel libro del '79: "Era nato per fare il miliardario, ma poi, per un'ingiustizia della vita, ha finito per fare i fumetti, che non è poi la stessa cosa, come tutti sanno. È un tipo terra-terra, di quelli per intenderci che non hanno una "sofferta, travagliata, lacerante vita interiore" e non se ne vergogna nemmeno. Spera che qualche miliardario appassionato di fumetti, prenda il suo posto e gli ceda il proprio".

Lucchesi, nello stesso libro, si presentava come "un bravo ragazzo, gran lavoratore, ottimo marito, affettuoso", prima di avere "la disavventura di incontrare Romano Garofalo".

Per sapere la verità su questi due autori ormai famosi, bisognerebbe interrogare il buon yeti. Ma immaginiamo che, con tali creatori e con quella terribile vecchietta che lo ha guidato alla scoperta del mondo, il nostro yeti abbia una salutare diffidenza verso i cronisti…

Antonio Montanari

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