Riministoria© Antonio Montanari

La tragedia italiana sul fronte russo

"La tragedia italiana sul fronte russo - Immagini di un sofferto sacrificio, documenti e testimonianze": con questo titolo, l'editore Bruno Ghigi di Rimini sta per lanciare una novità editoriale che non mancherà di suscitare interesse e commozione in tutt'Italia. L'argomento è la tragica ritirata di Russia, di cui si compiranno 50 anni nel 1992.

Per l'occasione, anche con il ricavato del libro, Ghigi vorrebbe realizzare un suo sogno, trasformare in parchi di betulle le fosse comuni, in cui i soldati italiani sono affratellati nella morte a militari di altri Paesi. Il progetto è pronto, così pure l'autorizzazione da parte delle autorità russe. La notizia gliel'ha portata direttamente da Rossosc (nella provincia di Voronesh), il prof. Alim Morozov che Ghigi ha ospitato l'altra settimana a Rimini.

Morozov, insegnante di Storia in pensione, sei anni fa ha realizzato a Rossosc un Museo sulla guerra, presentato in Italia nel 1988 da un documentario televisivo dello scrittore Mario Rigoni Stern che, nelle sue pagine, ha raccontato con grande dignità quei terribili giorni di dolore e morte. Dopo, dall'Italia hanno cominciato ad andare a Rossosc, come ad un luogo della memoria, i parenti delle vittime, per trovare il conforto di una preghiera recitata sopra una terra che forse conserva anche i resti dei propri cari. Dal 1988 ad oggi, il Museo è stato visitato da 33 gruppi di nostri connazionali, di cui hanno fatto parte pure i reduci dalla Russia.

Furono ben 70 mila i soldati che, dopo la ritirata, finirono nelle fosse comuni. Altri cinquemila, deceduti prima di quella terribile pagina bellica, sono invece sepolti nei nostri Cimiteri militari ufficiali.

Il Museo di Rossosc, ci spiega Irina, la figlia ventenne di Morozov, raccoglie materiale che suo padre ha cominciato a conservare fin da bambino. Alin Morozov, classe 1932, aveva dieci anni al tempo della spedizione italiana in Russia. In casa sua, c'era la mensa dei sergenti degli alpini. A Rossosc, la sua città, si trovava il Quartier generale del Comando alpino. Documenti, foto, carte e mappe sono finite nel suo Museo per illustrare il dramma spaventoso del secondo conflitto mondiale.

"Quanti soldati sono morti nella sua zona?", gli chiedo. "Molti", risponde sospirando ed abbassando gli occhi con tristezza.

Il prof. Morozov ha aiutato Ghigi a trovare immagini inedite. Alla sezione "Kinefotodokumenta" dell'Archivio di Stato, ha rintracciato un film sulla ritirata di Russia, da cui ha fatto riprodurre alcuni fotogrammi che ha portato a Rimini per il libro di Ghigi. Rappresentano un fiume di soldati, laceri, il volto segnato dalla disperazione, nei piedi fagotti per proteggersi (spesso inutilmente) dal congelamento.

Morozov racconta il dolore dei congiunti degli alpini italiani che vanno a visitare i luoghi della ritirata. Sono stati proprio loro a volere un monumento che ricordasse i propri morti, in quelle terre.

Due bambini russi, nel 1989, scavando nella terra, hanno rivenuto una decina di scheletri, con elmetti italiani e due piastrine appartenute ai soldati Sciutto e Maestro, ai quali accanto al monumento (inaugurato un anno fa), sono state dedicate lapidi con i loro nomi.

"I russi hanno dato sepoltura ai soldati italiani morti nella ritirata", dice Morozov: "A causa del freddo, i morti di gennaio sono stati messi nelle fosse comuni in ritardo, soltanto a marzo-aprile".

Gli italiani che oggi si recano a Rossosc, portano bandiere e ricordi per quel Museo che si sta arricchendo di nuovi cimeli, e che ha reso noto nel nostro Paese il prof. Morozov. In questo suo viaggio in Italia, egli viene accolto come un messaggero di pace e di fratellanza tra i popoli.

Ad Agordo, gli è stato attribuito l'"Agordino d'oro" per il suo "amore verso l'Italia", come dice la motivazione del premio. Prima di Rimini, è andato anche a Rovereto, Trento, Belluno, Vicenza, Verona, Alba e Roma. Sul petto, con soddisfazione, porta lo stemma d'oro degli Alpini italiani, il cappello con la tradizionale penna. Il giornale "L'Adige" di Trento ha pubblicato già quattro puntate delle sue memorie, altre quattro sono invece ancora in cantiere.

Sua figlia Irina lo aiuta a tradurre in italiano, durante la nostra conversazione, i suoi pensieri. Lei frequenta la facoltà di Biologia. "Ho cominciato a studiare la vostra lingua in Italia, il 12 settembre…", spiega quasi a voler giustificare le incertezze che supera sfogliando un dizionarietto tascabile.

Al nostro incontro con il prof. Morozov partecipa anche Aurelio Gudi, un riminese classe 1922, un anno di fronte sovietico e tre anni e mezzo di prigionia, che parla ancora correttamente la lingua russa.

A Ghigi chiedo com'è nata la conoscenza con Morozov. "Ci siamo incontrati l'anno scorso in Russia, ho visto le foto del suo Museo, lui mi ha mandato le copie per il mio libro. E siamo diventati amici. Sapendo che veniva in Italia, l'ho invitato a Rimini, anche per ringraziarlo dell'interessamento al mio progetto di creare parchi con betulle sulle fosse comuni dei nostri soldati. Adesso, occorrono i fondi. Da parte mia, devolvo allo scopo l'incasso del libro".

Gudi interviene descrivendo luoghi, citando nomi di località. Tra lui e Morozov s'intreccia una commovente conversazione che non vorrei interrompere. Ma, prima di chiudere l'incontro, desidero spostare il discorso sull'attualità: come si vede in Russia il futuro dell'Europa? Il prof. Morozov riflette, poi dice: "Difficile a spiegare, difficile trovare parole".

Irina ora non cerca di tradurre il pensiero del padre. Confida le sue preoccupazioni per il momento attuale della sua patria: "Adesso in Russia, situazione economica difficile. Per l'inverno, poco cibo. Pochi prodotti agricoli. In villaggi, pochi lavoratori di agricoltura, e vecchi. Gente viene in città, lavorano in città perché scarsa produzione in villaggi".

Sorride, quasi a scusarsi del suo italiano. Ma si è fatta capire bene. Con suo padre, abbiamo parlato di una dramma storico di mezzo secolo fa. Nelle parole di Irina, c'è invece la preoccupazione per il futuro.

Auguri, Irina, a te e ai ventenni come te, che il vostro sorriso non debba mai spegnersi.

Antonio Montanari

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