Riministoria © Antonio Montanari / Archivio

Lezioni di giornalismo

La "cucina" ovvero il lavoro redazionale.

La definizione della redazione come "cucina del giornale", è dello scrittore Dino Buzzati. E' un'immagine simbolica che riassume il processo dell'intera elaborazione e realizzazione del prodotto giornalistico.

Per comprendere il senso della metafora della "cucina", con i suoi impliciti richiami organizzativi, occorre considerare l'importanza del luogo che essa richiama. Ogni buon pranzo presuppone non solo un cuoco esperto che sappia scegliere gli ingredienti e trasformarli in un "piatto" gustoso, ma anche necessita di addetti che presentino al cliente, con precisione e correttezza professionale, la ricetta eseguita.

La cucina è un servizio complesso, il cui valore è misurabile dal grado di funzionamento delle sue singole componenti.

Allo stesso modo, un giornale ben fatto richiede un accurato lavoro redazionale che coinvolge varie persone, e comporta l'organizzazione di vari aspetti. Il tutto va poi finalizzato al lettore, a cui è destinato il prodotto compiuto.

Accanto al "cuoco", cioè al redattore-capo, ci sono i suoi "aiutanti": cronisti, fotografi, grafici, disegnatori, ecc. Costoro lavorano sulla notizia che può assumere varie forme: dalle poche righe di cronaca all'articolo che sviluppa un argomento, fino alla pagina speciale monografica.

Qualunque forma assuma, occorre ricordarsi sempre che, come dice una vecchia regola del giornalismo, "la notizia è sacra, il commento è libero". Regola che ha le sue radici nella cultura illuministica la quale, rivendicando la libertà di stampa come una delle basi della moderna società civile, la considerava strumento di quel "tribunale… dell'opinione pubblica" che "è più forte dei magistrati e delle leggi, de' ministri e de' re" (G. Filangieri).

Come le idee e le proposte della redazione diventano pagine di testo? Tra il momento iniziale ("Vogliamo parlare del fatto ‘AZ’"), e quello conclusivo con la trattazione del fatto ‘AZ’, la "cucina" vive diverse fasi. Anzitutto, c'è la ricerca e la preparazione del materiale.

Immaginiamo che il nostro episodio ‘AZ’ abbia dei precedenti. Occorrerà consultare l'archivio. Una buona cucina è impensabile senza una dispensa ben fornita. Ogni redazione deve avere la sua raccolta di fonti, oltre alla collezione del proprio giornale.

Ci sono due tipi d'archivio:

quello tradizionale, con i "bustoni" che contengono tutti i ritagli sull'argomento; e

quello elettronico che usa memorie su disco.

Attraverso la consultazione dell'archivio, il redattore acquisisce tutte le informazioni utili a ricostruire l'episodio ‘AZ’ nei suoi antefatti.

Come si crea un archivio? Oggi, per tutti i computer, anche per i più piccoli, esistono programmi di archiviazione che permettono una facile creazione ed un veloce aggiornamento di una banca-dati.

La ricerca delle informazioni è delegata alla macchina, che lavora però sull'immagazzinamento operato da noi: quindi, nella creazione dell'archivio elettronico occorre fare molta attenzione, perché ogni disguido significa perdita di informazioni, in modo molto più specifico rispetto alla carta.

L'archivio si crea secondo due linee guida:

a) persone e personaggio (per la cronaca, è [?, sarebbe…] indispensabile elencare tutti i nomi che appaiono sul giornale);

b) fatti, argomenti (es.: razzismo, incidenti stradali, aids, droga, ecc.).

L'archivio ci fornisce, dunque, tutti i precedenti del fatto ‘AZ’. Il redattore preparerà il suo "pezzo" e lo sottoporrà al capo-cronista o al capo-redattore. Costoro dovranno verificare quanto segue: il servizio preparato corrisponde alla richiesta fatta al cronista? Esso spiega gli aspetti finora sconosciuti di ‘AZ’? E' aggiornato agli ultimi sviluppi? La lunghezza del "pezzo" è proporzionata alla sua importanza? Il suo linguaggio è comprensibile? (Ricordiamo la teoria americana del "lattaio" come lettore-medio a cui rivolgersi). Necessita dell'appoggio di un'intervista?

Nella redazione, comincia così un lavoro di "lima" che è stato spiegato in maniera efficace da Leo Longanesi, uno che di giornali se ne intendeva, se è vero che nel 1937 con "Omnibus" ha inventato il settimanale italiano a rotocalco, con un modello che regge tuttora nei suoi eredi, "Oggi" e "Gente".

Scriveva Longanesi, a proposito del lavoro editoriale, che esso consiste nel togliere "tutte le frasi stupide, tutti i "discorsi a pera", tutte le sciocchezze" di un articolo.

Aggiungiamo a queste parole quelle che un illustre letterato come Manara Valgimigli confidava a Francesco Fuschini: "Ogni parola in più, un lettore in meno".

La revisione di un testo è fondamentale nella nostra "cucina": non sempre la penna scorre alla giusta velocità, non tutti gli autori hanno la sufficiente umiltà per non credersi dei Manzoni o degli scrittori ermetici [poi, "sempre meglio ermetici che emetici", Isotto degli Etti]. Ci sono anche le questioni grammaticali e lessicali, per le quali se non bastano né la cultura personale né la memoria collettiva della "cucina", esistono sempre dizionari e testi da tenere a portata di mano.

A proposito di questo aspetto, ricordiamo i manuali di giornalismo, molto utili per risolvere i dubbi, oltre che per imparare ad usare correttamente "ingredienti" e strumenti redazionali (v. ad esempio "Medium e messaggio" di Sergio Lepri, ed. Gutemberg 2000). Molto utile ci sembra anche il "Manuale di stile" di R. Lesina, ed. Zanichelli, che insegna non solo la trattazione di un testo dal punto di vista tecnico e la sua specificità letteraria, ma anche "comportamenti" quali la correzione di bozze.

Questa fase di revisione si conclude con l'approvazione e l'invio al reparto di composizione, se l'autore stesso del "pezzo" non lo ha direttamente battuto su di un computer.

In una redazione, pervengono quotidianamente decine di comunicati-stampa: spesso, sono scritti in un linguaggio difficile; talora, la notizia è soltanto nelle ultime righe, quelle che interessano veramente.

Questi testi richiedono sovente una revisione totale: tecnicamente, si parla di "passare" un comunicato o un testo d'agenzia. Si tratta di ridurlo alle esigenze e alle caratteristiche del giornale, dicendo tutto in poche righe.

E' un lavoro che richiede umiltà e pazienza, come ricordava Luigi Einaudi che alla "Stampa" di Torino debuttò come redattore notturno addetto alla Stefani, l'Ansa del tempo.

Spesso un comunicato-stampa può contenere notizie che, se opportunamente valutate e presentate, possono diventare lo spunto per un servizio più ampio e consistente.

Il cronista deve aver "fiuto" nello scovare la notizia nascosta, non nel senso di inventarla come fa certo giornalismo scandalistico, ma in quello della ricerca di informazioni da valorizzare.

Un esempio reale: giunge un comunicato ufficiale di San Marino, in cui si dice che è diminuito il numero degli incidenti stradali. Il cronista elabora il testo, ripete nella notizia quel dato. La notizia dev'essere cestinata. Perché?

Nel comunicato si continuava dichiarando: il numero dei morti è stato maggiore che in passato. Il testo da pubblicare fu poi questo: "Più morti sulle strade a San Marino, anche se diminuisce il numero degli incidenti". Il che significava che aumentava la gravità del problema della circolazione viaria.

Sullo stesso argomento, poi, possono arrivare fonti diverse, spesso in polemica tra loro: in questo caso, la redazione dovrà informare correttamente il lettore anche delle opinioni che non condivide, cucendo le stesse fonti tra loro, e facendole precedere da un breve "cappello" che illustri l'argomento. Il commento-interpretazione può essere inserito all'inizio o alla fine delle citazioni, con una sottolineatura nel titolo.

La redazione deve seguire attentamente la vita della città. Gli articoli dei propri cronisti e i comunicati che pervengono, sono soltanto due dei canali a nostra disposizione. C'è poi la lettura della stampa locale e di quella nazionale che riferisce di fatti locali; ci sono le rassegne-stampa, i notiziari d'agenzia, ecc.

C'è, infine, quel difficile lavoro che è la ricerca della notizia, attraverso proprie fonti o raccogliendo informazioni direttamente. In quest'ultimo caso, esiste il rischio, se ci si qualifica cronisti, di trovarsi difronte a due reazioni: c'è chi teme di parlare ("Non so niente"), e c'è chi ha il gusto del protagonismo ("Scriva il mio nome…").

Per cui, in certe situazioni, è meglio mescolarsi tra la gente, senza esibire gli strumenti canonici del cronista.

Davanti ad ogni riga o ad ogni piccolo fatto, il "fiuto" della redazione può far capire se c'è lo spunto per qualcosa che gli altri cronisti non hanno osservato od esaminato, rispetto al nostro punto di vista.

Con un'altra immagine, diversa da quella della "cucina", si potrebbe paragonare il capo redattore ad un direttore d'orchestra che legge la partitura, segue i singoli strumentisti e cura l'effetto d'assieme.

Il prodotto giornalistico che deriva dal lavoro comune, dev'essere armonico nella sua globalità ed efficace nelle singole parti.

Il lavoro del cronista in redazione, tanto è più prezioso quanto è più silenzioso ed umile, con una precisione maniacale a tutti i particolari, soprattutto nella stampa locale, dove tutto può essere sotto gli occhi di tutti.

Non si può considerare banale una notizia di poche righe, soltanto perché è breve: se scritta male o presentata incompleta, nuoce all'immagine del giornale, la cui "gloria" non dipende soltanto dalle cosiddette "articolesse" o dai grandi servizi.

Il lettore esige un notiziario completo ed accurato; è sempre pronto a segnalare il "granchio", l'inesattezza, cose non impossibili, che càpitano a tutti, forse inevitabili: ma occorre lavorare sempre con l'intenzione che non accadano, anche se, come ha scritto Enzo Biagi a proposito dei refusi tipografici, c'è sempre un diavoletto che si aggira tra redazioni e tipografie.

Il segreto di una buona "cucina" redazionale sta forse nel saper amalgamare i diversi aspetti della realtà, travasandoli nell'equilibrio che dà ad ogni fatto il giusto peso, per ottenere un'armonia tra le singole parti di un numero del giornale, ed una proporzione anche tra i vari numeri.

Non esistono regole fisse, anche perché cambierebbero di continuo, così come cambia la sensibilità del lettore. E' una questione di sensibilità giornalistica, il "fiuto" di cui s'è detto prima, di cultura, ma soprattutto di fiducia in questo lavoro che richiede tempo, fatica e pazienza, per poche righe che sfuggono soltanto ad un lettore superficiale. Ma non tutti i lettori sono superficiali.

L'articolo, prima di finire in composizione, oppure se è stato battuto su computer, prima di passare nel reparto stampa; deve ricevere gli "ordini" tecnici, su come realizzare quel testo in tipografia.

Il giornale è fatto di colonne: la larghezza di una colonna si chiama giustezza. Ogni riga tipografica è costituita da caratteri di diversa forma e grandezza (rispettivamente si parla delle font e dei corpi).

(Queste pagine hanno un carattere Times con font 1, cioè normale nel testo, e font 3, cioè grassetto nei titoletti. Il testo è in corpo 10, mentre sono in corpo 14 i titoletti. La giustezza è di 6, 5 cm).

La redazione, nel momento in cui passa il dattiloscritto alla composizione, deve prevedere già in quale parte del giornale potrà essere inserito quel testo: si fanno delle ipotesi tecniche sulle singole pagine, che poi verranno realizzate nella parte finale con il menabò.

Il menabò è il progetto grafico, il modello per l'impaginazione del giornale. Quando si passa al menabò, è il momento in cui ogni articolo deve trovare la sua giusta collocazione.

Ogni pagina di giornale è costituita da queste parti:

- a sinistra, articolo di fondo o di apertura;

- a destra, articolo di spalla;

- al centro, o in fondo, taglio (alto o basso).

La posizione dell'articolo viene stabilita in base alla sua importanza, secondo le intenzioni della redazione. Determinata l'area su cui collocare il pezzo, se lo spazio supera la lunghezza del testo, si allarga quest'ultimo con dei sottotitoli. In caso opposto, si deve "restringere" l'articolo, togliendo quelle righe in più che vanno individuate in brani che, se eliminati, non compromettono la comprensibilità del discorso.

Si compila poi il titolo nelle sue tre parti:

- occhiello

- titolo vero e proprio

- sommario.

Si sceglie il materiale illustrativo, e si redigono le relative didascalie.

Terminata la pagina, si dovrà verificare ad esempio che una stessa parola non ritorni in due o più titoli: l'occhiata d'assieme alla pagina, non è più come l'analisi dei singoli pezzi o delle varie parti che la compongono.

E' un giudizio che potremmo definire giornalistico, ma l'aggettivo non rende complessivamente l'idea. In esso, infatti, confluisce anche una valutazione che è estetica, ma il "bello giornalistico" è una qualità che, a sua volta, ìmplica un giudizio di merito.

La "bella" pagina è quella efficace, che mette in risalto non l'argomento, una firma, un aspetto del giornale; ma quella che evidenzia tutto il lavoro redazionale, che confeziona il prodotto non per esibizionismo o narcisismo, ma credendo nel valore delle idee che il giornale vuole esprimere. Per cui, diciamo "bella" pagina per vezzo di cronisti, ma sappiamo che quell'espressione sarebbe più giusta se si mutasse in un giudizio di "buona" pagina, cioè efficace, ma forse questo sarebbe un peccato d'orgoglio, che è meglio evitare.

(1991)

***

Antonio Montanari, anni 48, pubblicista, ha la malattia del giornalismo da più di trent'anni.

E' stato corrispondente da Rimini di quotidiani nazionali, ed ha collaborato, oltre che a periodici locali, anche alla nota rivista bolognese "Il Mulino" e alla "Fiera letteraria" di Roma. Ha debuttato sul "Resto del Carlino" nel 1960.

Alla fine dei "favolosi" anni '60, è stato redattore capo di un decadale riminese, "IL CORSO", diretto da Gianni Bezzi (attualmente inviato speciale al "Corriere dello Sport" di Roma). Ne "IL CORSO" ha curato, tra le altre cose, una pagina culturale intitolata "Libri Uomini Idee".

Per il settimanale "IL PONTE", al quale collabora da nove anni, dopo una lunga gavetta ha svolto la funzione di capocronaca, ed attualmente è responsabile del settore storico-culturale.

Due anni fa, per i tipi del "PONTE", ha pubblicato il volume "Rimini ieri 1943-1946", al quale hanno fatto seguito 19 pagine speciali apparse nell'ultimo anno e mezzo sullo stesso "PONTE", dedicate ai "Giorni dell'ira", un'accurata ricostruzione storica della vita a Rimini e San Marino tra settembre 1943 e settembre 1944, con documenti inediti.

Per "IL PONTE" ha "inventato" la rubrica LA SETTIMANA, che ha curato per 200 e passa edizioni (equivalenti a cinque anni di lavoro).

Su "La Gazzetta di Rimini", tiene una rubrica di recensioni librarie.

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