STORIA DI UN BRACCIO


Fu ritrovato immerso nel fango, in una fredda mattina di marzo.
Il Podestà era giunto ansimante ed alla prima occhiata, imprecando, aveva esclamato rivolto al segretario:
- Si chiami con urgenza Sua Eminenza Eccellentissima! Lo si distolga dalle sue funzioni fosse pure all 'Adorazione eucaristica, o ad amministrare i 'Estrema Unzione a quel diavol d 'un Rettore... od anche a sorseggiar vinsanto in compagnia del Granduca! Ovunque sia, deve arrivare qui al più presto e... non fatene parola con alcuno...via, via!-
Il Vescovo non tardò. Avvicinandosi, terreo, tolse la papalina, slacciò la mantella poi, aiutato dal prevosto, si piegò a terra allungando le dita bianche e ingioiellate: -Domine Iddio! Omnia ad maiorem Dei gloriam! Soli Deo, Trino atque Uno qui universi bonum omniumque Principium, et honor et gloria! Deo gratias, ci siamo! Ci siamo! -
Una mano, livida, con profonda escoriazione proprio al centro del palmo, fuoriusciva dalla melma. Spiccava il colore rosso scuro del sangue che raggrumandosi usciva dalla ferita prodotta dalla ferramenta. Le unghie parevano grigie, al di sotto della mota. Il Vescovo provò a raggiungerla, ma il fossato era profondo e scivoloso, ed il broccato della veste alquanto prezioso... -Estraetela, presto... ma con delicatezza! -, esortò goffo imbottito nella sua rotondità, palesando i calzari. -Fate pianio, per ani or di Dio!-, miagolò, coprendosi il volto, trepidante.
Un giovane seminarista, al sèguito, ubbidì e sporgendosi riuscì ad afferrare la mano esanime e rigida: dall'acqua melmosa affiorò dapprima il gomito e via via, coperto da alghe e altri immondi elementi, l'intero arto. Coperto di tumefazioni e graffi sanguinanti, il braccio venne adagiato sull'erba e, con una pezza candida di lino ricamata, mondato dalle lordure. -Sia lodato Domine Iddio. L'abbiamo trovato! E' un giorno di grande festa per tutti, che il popolo intero ricorderà ad saecula saeculorum! Grande festa!-, ripeté il Vescovo con un tremito nella voce e la pancia borbogliante di lamento acquatico.

Tutto era principiato a gennaio proprio qualche ora prima della Solenne Processione e la notizia lo aveva colto di sorpresa durante la recita delle Lodi: furto, sacrilego furto!
Possibile? Il braccio sinistro del Crocifisso della Cappella di Cristo Re in Duomo era scomparso, svitato dal corpo.
Con le ginocchia piegate, tese nell'ormai inutile sforzo di sostenere il corpo e resistere alla morte, l'efebico corpo maschile di impeccabile ed armoniosa anatomia, costituiva un raro esempio di arte lignea del secolo quindicesimo, di autore ignoto toscano. Il volto esprimeva dignità e silenziosa mestizia: gli occhi infossati, aperti e fissi, la bocca semiaperta, il volto sofferente, e una grossa vena gonfia di sangue, evidenziata sul ventre, che sembrava pulsare, vera, ne caratterizzavano la fattura. Aveva la particolarità di poter essere smembrato e passare dalla condizione di appeso alla croce con le braccia spalancate, a quella di cadavere adagiato nel sepolcro, avvolto dal sudario, in attesa della resurrezione.
Tutto questo mediante la semplice operazione di svitamento e rotazione attorno a perni di ferro inseriti nascostamente nel legno. Gli stessi chiodi potevano essere tolti dalle mani e dai piedi ed all'occorrenza tamponate le forature con perni lignei, a somiglianza della carne sanguinolenta. Da secoli il corpo del Divin Salvatore veniva dunque periodicamente manipolato, staccandolo dalla croce e riportato, dopo la processione per le strade della cittadina e del contado, al giaciglio di morte, nella Cappella del Santo Sepolcro. Tre giorni, per poi ricomparire crocifisso nella Cappella del Cristo Re. Così da sempre, a memoria d'uomo, con enorme afflusso di fedeli devoti ed oranti.

-Possibile?- aveva dunque imprecato il Vescovo, - Chi può essere i 'autore di tale atroce misfatto, chi il responsabile di tanto esecrabile eccesso? E' il demonio che arma la mano di questi sciagurati e che confonde le loro menti, figli d'una demoniaca protervia, infami scellerati! "Lontan da città, lontan da sanità" avverte il proverbio: avran trovato rifugio nel contado montagnoso e silvestre a loro opportunissimo. Ah, stirpe di crini mali! La strada barocciabile da Pontassieve voluta dal Granduca e' stata certo il bieco teatro di vana fuga in terra romagnola, o forse la feccia se la ride dal Ponte sul Sestaione, al Passo della Tambura... ma la bestia che con empietà inaudita, e con laide mani, quale ricettatore per la sacra refurtiva, ha minato la serena vita della nostra cittadina, dovrà trovarsi con rapidità rinchiuso nelle prigioni ducali, quanto é vero Iddio!-
Aveva poi continuato in un lacrimevole e compassionevole lamento fino a giungere pesantemente a biasimare di sua bocca la grande infamità, la nefanda insensibilità di intridere il sacro nell'immondo. Fu costi al cospetto di una marmorea Madonna che un brontolare di budella venne soddisfatto con cosciotto di castrato e arrosto lardellato. Fu presto interrotto dai suoi consiglieri che presero a manifestargli i loro intendimenti sulle azioni da intraprendere. Forte era l'esigenza di non esporsi inutilmente alla contestazione, al dileggio, all'inevitabile scandalo. Occorreva prendere tempo, il braccio poteva essere recuperato: palesare l'atroce gesto avrebbe potuto confondere e turbare profondamente la città devota, in particolare modo alla Sacra Croce. Prendere tempo, fu la decisione.

La Processione si preannunciava come sempre imponente. Vi era convenuta la migliore nobiltà del circondario, persino dalla lontana Sassorosso, assita sugli scranni della cattedrale, come grani di rosario: la folla nella piazza era immensa. Spirava un freddo acuto che sapeva d'aceto ed all'uscita del Crocefisso, il popolo meravigliato era rimasto come immobile, chi nelle strade, chi ai poggioli: un drappo rossoporpora avvolgeva parte del corpo del Redentore, cingendogli morbidamente i fianchi e via via su a coprirne la parte sinistra. Qui un elegante cordone dorato con nappe lo tratteneva al traverso della Santa Croce. Mai a memoria d'uomo era stata addobbata in tal guisa: tutti a chiedersi perché e percome, quando, proprio a ridosso del Palazzo del Vescovo, dalla croce ondeggiante al passo dei fedeli, il laccio si era sciolto, la nuvola rossa era scivolata a terra, ammutolendo la folla. La processione si era arrestata, e gli sguardi increduli andavano ora al Cristo, mutilo del braccio, ora al Vescovo, prostrato. Pareva l'effetto di così gran prodigio, che qualcuno aveva gridato al miracolo. Nel silenzio si era cominciato a sentire gemiti, pianti e urli nell'aria: qualcun altro aveva gridato al prodigio foriero di sventura.
Sua Eminenza aveva alzato lo sguardo, e poi le braccia, esclamando:
- … Oremus! Il caso risulta come inaudito e tremendo, spaventevole, orrendo, è vero, ma non tutto è perduto. Dominus mortificat et vivificat, ad inferos ducit et reducit! Domineddio ha voluto inviare un segno: fermiamoci in preghiera, espiamo le nostre colpe, liberandoci dal peccato! Timete et orate quia nescitis horam! Preghiamo! Preghiamo! - La fibbia dorata delle pianelle brillò ai raggi del pallido sole.
Orrore e spavento avevano impregnato la città intera: ovunque esclamazioni, singulti, pianti, grida. La punizione divina aveva provocato nel popolo atterrito dolorose confusioni alle quali si era tentato di reagire con penitenze austere, vigilie, digiuni e processioni.
Propitius esto! Parce nobis, Iesu. Propitius esto! Exaudi nos, Iesu. A peccato sacrilegi! Libera nos, Iesu.
In Duomo, ripieno di genti grondanti di lagrime, e poi orazioni, confessioni, comunioni e processioni, pratiche devote da svolgere in pubblico come in privato, implorando l'intervento della Beata Vergine per la scoperta dei sacrileghi: occhi levati verso l'edicola sacra ad impetrare soccorso.
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, parce nobis, Domine. Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, exaudi nos, Dominee. Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis, Domine.
Oremus.
Dal lacrimevole lamento, il Vescovo era divenuto sempre più deciso a scovare il colpevole e si univa al coro di implorazioni che risuonavano strazianti nei vicoli, nelle piazze, davanti alla chiesa, sotto i patiboli.
Per tutta la giornata aveva imperversato uno stranissimo temporale, una burrasca d'acqua con tanta profusione di fulmini che aveva fatto presagire l'approssimarsi di eventi ancor più funesti. Qualcuno avverti che a Resceto il fiato prigioniero nel ventre della terra si era liberato, con un tremito lungo come un credo. Altri giurarono che il Ponte sul Sestaione era crollato per il giustissimo sdegno di Dio, e la rovina era durata per lo spazio di un miserere.
Durante la notte si era poi svolta l'Orazione pubblica delle Quarant'ore nella Chiesa di San Venceslao, ove era concorso quasi tutto il popolo della città con bellissimo ordine. E fu proprio in quell'occasione che venne notata l'assenza del fabbro: strano, si bisbigliava, e se fosse... L'indomani fu letta nella piazza e distribuita a stampa l'accorata "Instruzzione di Monsignor illustrissimo et reverendissimo Cardinale *****, per tutti quelli che avranno licenza di pregare e penitenziare nelle ville, in città et altri luoghi del Feudo della Lunigiana, di Varano, Apella e Taponecco, di Sua Signoria illustrissima". Il Podestà e il Vescovo non vollero essere da meno e meditarono Avvisi e Grida: cominciarono col sottoporre ad interrogatorio il giovane fabbro. Accusato da un uomo dabbene che riteneva di averlo visto muovere in maniera sospetta nei pressi della Cappella di Cristo Re, fu dichiarato colpevole. Il suo destino di morte era stato anticipato dalla pubblica distruzione del corpo, affinché tutti potessero vederlo arruotato, rotte le ossa delle braccia: la bontà divina, stanca di tollerare la contumacia e perfidia di un'anima così empia e scellerata aveva abbandonato il reo di così
esecrando errore al proprio misero viaggio, si disse. Dopo una settimana del corpo se ne era persa traccia.

Quella mattina dunque il braccio fu ritrovato, a tre mesi dalla processione interrotta, a due lune dalla decollazione del fabbro, a un tiro di schioppo dalla Cappella.
Alla folla accorsa e inginocchiata sulla riva del fossato, il Vescovo si rivolse con parole di gioia e speranza: - Tutto quello che agli occhi nostri talvolta si mostra con apparenza di male, non sempre si risolve in male, ma talora la mano onnipotente di Dio fa che dal medesimo ne nasca il bene. Nella notte Ci è apparso un Angelo (li Dio. L 'aria di colpo si è rasserenata e nel cielo è comparsa una sfolgorante croce che risplendeva come raggi del sole, sulla cui sommità erano chiaramente v'isibili una corona di spine ed una sferza; ai piedi della croce una figura inginocchiata e orante, di faccia veneranda, mostrava il volto assorto in penitenza: il Vostro Vescovo. La voce dell'Angelo si è rivolta alla Nostra persona, rassicurando: la città ha espiato. Andate dunque nelle vostre case e continuate a pregare. Domani la Processione straordinaria con il Cristo Re attraverserà tutta la città, Deo gratias! -
Il vero sogno del vescovo fu però di tutt'altro tenore: nel tepore attorcigliato delle coperte, il dubbio si insinuò nella sua mente e lo atterri fino alle prime ore del mattino quando con gran segretezza in Duomo alla presenza degli alti prelati della città, il braccio venne avvitato. Ci si avvide con sgomento che era un braccio destro: prova e riprova, per ultimo si avvicinò il vescovo, spazientito e sudante. E provò, e riprovò. Ma era un braccio identico all'altro, già avvitato: una copia perfetta.
Il caso sovrastava la fama degli accadimenti già conosciuti.
Poteva essere che esistessero arti di ricambio nascosti da secoli? O chi mai avrebbe avuto interesse a fare una copia? La città avrebbe sopportato un'altra delusione? Che il settimo calice dell'ira divina venisse versato per scuotere la terra, partendo proprio da qui?
Il braccio sinistro restava avvolto nel mistero, il Vescovo nelle coltri della preghiera.

La processione si svolse con enorme afflusso di popolo, festante. Vi erano persone dalle regioni più lontane, persino da San Pellegrino in Alpe: le alture erano rappresentate dai gonfaloni di Gallicano, Cardoso, Piaggiane e Ghivizzano, Tereglio, Pracchia ed una nutrita delegazione di femmine da Cantagallo.
Christe, audi nos! Christe, exaudi nos! Iesu, Sacerdos et victima, miserere nobis ! Fili, Redemptor mundi, Deus, miserere nobis!
All'uscita del Crocefisso dal Duomo, la folla rimase attonita: il drappo cingeva ancora una volta i fianchi del Redentore, annodata all'estremità del traverso della Croce. Ma a seguire, adagiato su morbido cuscino rosso, il Braccio affiorava dal baluginante Sacro Astuccio, tesoro d'arte orafa: la tensione si allentò e il popolo esultante acclamò al Vescovo, santo! Sanctus! Sanctus! Lode et gloria in excelsis Deo!

Alla relazione sui fatti prodigiosi inviata a Roma, seguì l'arrivo del Delegato Pontificio, giunto in città a verificare gli eventi, che così scrisse:
"Occorre avvertire che la storia sortisce l' 'effetto di provocare non poco timore e compassione: il Vescovo testimonia che in quel nefasto giorno, all'aurora diede un tuono tanto grande, coni un lampeggiare che parve si aprisse il cielo a ricevimento della Santissima Croce. L 'aria era divenuta tutta di color sangue sotto lo sguardo atterrito di coloro che stavano ammirarvi e con gran meraviglia, riguardando quello che avesse a succedere.
Narrano le cronache locali che per la qual cosa, più che dianzi intimoriti, quei popoli chiedevano piangendo misericordia de' loro commessi errori e riguardando in aria continuamente porgevano prieghi e voti a quella Santissima Croce temendo che loro avvenisse qualche grandissimo male, peroché tal ora il giusto Iddio ci suol visitare con qualche segno per darci avviso a lasciare il peccato e ricordarsi di Lui, che vedendoci poi ostinati ci manda altri flagelli come di guerra, peste, carestia e cose simili. Considerata la meravigliosità dell 'evento, il Vescovo ha disposto che il Sacro Braccio, artefice di tali prodigi, sia custodito in teca separata e in luogo segreto ed inaccessibile, a perenne testimonianza dell 'espiazione avvenuta dei peccati della città: le processioni a venire prevederanno l'apertura del corteo con la Santa Croce, ed a conchiuderlo il Sacro Braccio, che pare, ed il Vescovo sta raccogliendo le numerose testimonianze già dotato di poteri guaritori..
E' vicenda alla quale si può credere, non credere, fingere di credere, ma alla cui gravità é difficile non partecipare. Ci si può ergere contro le opinioni e la credulità, stimandole chiacchiere di gente rozza e materiale, ma si dimentica che tali notizie cavate son da alcune lettere di persone degne di fede. Io medesimo son mosso a pubblicare il presente successo seppur così succintamente non per pascere l''udito dei curiosi, ma per far conoscere ai più il modo meraviglioso che il giustissimo Iddio nostro Signore suoi tenere nel castigare questi e graziare quelli, nello stupire e meravigliare. Nella gamma infinita delle realtà che si distendono tra terra e cielo, il ventaglio delle meraviglie cosmiche, lo spettro molteplice dei sentimenti dell''uomo, sta immutabile ed intonso l' 'inesauribile mistero di Dio. Ma a preservanza di tale mistero, mi permetto di sottoporre in ultima analisi al Santo Padre la necessità di prelevare Croce e Braccio portandoli in sede più opportuna, per le approfondite analisi ed accertamenti del caso. Il trasferimento a Roma è auspicabile e doveroso: il rischio è che si possano creare nel popolo tali e tante malsane aspettative, foriere di malcontento, che possano minare la vita della comunità in valle d 'Arno: già il Granducato è dotato di santuari assiduamente frequentati da devoti, ed i miracoli abbondano. Come abbondan scherzi e lazzi, connaturati al toscan carattere, difficile da sradicare:già si parla del Sacro Pettine della Madonna, o del Pregevol Fango con il quale fu formato Adamo, e cosi innumerevoli altre presunte Reliquie. Noi stessi restiamo senza proferir parola di fronte al curioso e bizzarro Teschio rattrappito del San Giovanni Battista, di quando era fanciullo! E' nostra intenzione, dunque, attivare già da domani le autorità locali, sulle modalità di trasferimento".
A seguire, la descrizione del Crocifisso:
"Chiosiamo la relazione con poche righe sul Cristo in croce privo del Sacro Braccio. Se di arte toscana trattasi, certo non ha qui dato il meglio: oseremmo piuttosto attribuirlo a scuola emiliana, o addirittura ad area francese. Alloggiato stabilmente nel Duomo cittadino, non costituisce d 'arte pregevol opera, quale sarebbe in verità confacente alla Cappella che lo ospita: ha il corpo arcuato, senza armonia. Il fiotto di sangue dal costato imbratta gran parte del ventre, il capo si erge con piglio ed un sol occhio è serrato quasi a strizzar d'ammiccamento. Il legno del volto poi, ha fatto difetto, contraendolo in un sorta di smorfia: o meglio manifestando sconveniente ghigno di beffa. Non sappiamo scegliere se fermarci a guardarlo oppure tirare diritto: dietro al blando sorriso originario, sembra ora affiorare il ghigno irridente del giullare".

Per Christum Ad Iocandum Promptum.
Amen.