L’intonaco dei volti

Appare con la presunzione di chi ha visto tutto, con l’ancora allacciata al collo e le tasche delle braghe sfondate dagli ormeggi nelle baie di Francia. Lacerba, i fumi delle due guerre, i passaggi sfuggiti e segreti alla esistenza. Rimango a curiosare nella sua faccia da straniero un po’ stupita, attorno alla barba da marinaio che ha il sapore del sale iodato, di un porto sepolto dove forse era coricato.
Vieni ti dico, e tu ti muovi appena nello spazio che ci separa da ottantatre anni : la differenza marcata dalle grinze, l’opinione che ho della tua storia . Vieni seguendo la via Emilia, nelle campagne assalite da mosche e zanzare, da squadrate nebbie abrasive a celare, nei cicli di magra, una smisurata provincia di piccoli borghesi; non abbastanza ricchi per disimparare il mestiere che il letame lascia incastrato sotto la suola delle scarpe. Il lavoro dei campi è concime e sfama la gola contro ogni disgrazia. Se credi che l’intimità tra due parti non sia una perversione o un atto immorale, lascia che annusi le tue parole, non quelle scritte, le parole che hai sulle nocche delle dita o sulla punta della lingua che non osi pronunciare . Questa occasione di comunione ci permetterà di cantare per restare vicini. Chiederci se gli occhi di Cucchi giocano alla voglia veloce di strofinare i grumi delle facciate, o se stesi al sole, s’impigriscono di monotonia, bloccati, avvolti nel cemento. Ciechi. Ho bisogno di te per non restare cieco, ho bisogno della tua capacità di segare le immagini e vedere come molti stanno nell’infelicità, un po’ storti e un po’ indigenti.
Ricordi i tuoi fiumi, questi sono i malati negativi della mia terra. Osservali bene perché scompaiono presto. Si annullano all’esigenza naturale di scaricare dal troppo fastidio la vista di chi li guarda . Sono abitanti di aree cortilizie imbellettate di fiori, pendolari di case di cura tra S.Polo e Colorno. Sono ambulanti, sono come oggetti ingombranti per i quali è negato alcun risultato di esistere. Individuati per caso, dimessi dai sonniferi mentre salutano i parenti o gli amici accorsi nei giorni di festa. Fermi nelle sbarre dei cancelli con le dita decrepite, laccate d’ocra dal tabacco. Ho bisogno di convincerti che sono stati fatti di fretta, con l’ordine e la dose degli antidepressivi . E il lamento (tu conosci bene cos’è il lamento), l’andare su e giù per i cortili con un pannolone attaccato al sedere, o legati alla sedia a rotelle a urlare contro l’invisibile. I parkinsoniani , gli epilettici con i caschi in testa, mio care vate, gli sbandati di mente: ecco tutti i miei pazienti. Queste persone facili da poter raccogliere nell’immondizia della coerenza, le ho sommate nelle tue quattr’ossa come fanno gli stregoni. Sono loro la risposta ai tuoi fiumi, l’apparenza all’offesa. Sono loro che muoiono, io li ho lo sai, ad ogni primo volo del calabrone senza essere più capaci di riconquistare una bella stagione.
Sono loro a sparire e qualcuno è già caduto dal giornale, qualcuno che non ho ricordato abbastanza, occupato a scambiare la mia con la tua allegria