Pittograffiti

 

 

Gli anni '8O hanno visto sulla scena dell'arte mondiale l'esplosione incontrollata, primitiva, epidermica e liberatoria del Graffitismo americano , là , in quelle grandi metropoli in seno ai ghetti disagiati dove si è sviluppata una sub-umanità ai margini dell'opulenza economica.

Una cultura, quella, multietnica già fissata nel piombo della storia, preceduta e preannunciata da una  caratteristica tradizione popolar-musicale come quella del blues , degli spiritual e del jazz , dai ritmi sincopati, veloci e ossessivi che hanno musicato le sofferenze e le peripezie delle grandi migrazioni del passato. Appartengono a tale concezione artistica le figure paradigmatiche, tra le più significative, di  Jean Michel Basquiat, Keith Haring e Kenny Scharf.

Quest' arte non ha precedenti se non ci rivolgiamo ai graffiti dell'uomo preistorico o a certi alfabeti di società primitive ed è esplicativa di una rinnovata espressione esclusivamente americana, basata su segni grafici tracciati velocemente sui muri metropolitani, sovente eseguiti con bombolette spray da artisti del Bronx, uno dei quartieri neri più degradati di New York che fa a pugni con la competente iperproduttività della società americana.

Di fatto, quando un'ipersocietà come la nostra assume i caratteri della  complessità, attraverso specifiche differenziazioni di classi governate  dalle specializzazioni delle competenze (spinte da interessi economici), s'incuneano nelle pieghe e nei grovigli delle comunicazioni quelle frange di libertà creativa che l'individuo, oggi sempre più consapevole, può codificare coi linguaggi dell'arte.

L'artisticità di Lorenzo Penco, figlio di questo tempo,  si nutre e prende avvio proprio da questi affabulanti , primitivi, alfabeti quali evocazioni d' una primordiale sapienza perduta, stratificata nella memoria, che sa cogliere gli aspetti caotici , istantanei, di una cultura non da biblioteca ma spontanea e incolta, viscerale e biologica, come  può esserlo anche certa iconografia australiana , da millenni sempre uguale a se stessa poiché ancorata alle origini dell'uomo.

Un bagaglio, questo, che trova arricchimento anche nella cultura mass-mediale espressa quotidianamente dai software  televisivi dove forme semplificate di graffiti, fumetti e disegni infantili vengono rielaborate e digitalizzate in raffinate immagini sintetiche.

Le ibridazioni, quindi, di un linguaggio non più selettivo ma  prospero nella sua complessità a testimonianza di una cultura multietnica si possono anche leggere nei PITTOGRAFFITI creati da Lorenzo Penco.

Pittograffiti  dunque, da intendere come una sorta di scrittura dipinta  atta a evidenziare l'alfabeto-mondo , un codice basato sulle simbiosi linguistiche, sulla riduzione della parola a segno, sullo slittamento e interazioni di ipersignificati, sulla prensione dell'universo organizzato in essenziali processi visivo-percettivi e ancora, sull'associazione mentale di ideogrammi  capaci di sovrapporre alla texture  grafica coinvolgimenti sonori di carattere musicale.

In questo contesto l'artista sceglie di scrivere-dipingere  su sottomultipli delle pareti metropolitane, cioè piccoli riquadri in cemento: qui la pasta ancora molle del cemento fresco diventa sindone dell'immagine mentale, pagina scritta  con l'inchiostro-parola, papiro segnato da arcaici simbolismi, pietra rupestre incisa, firmamento punteggiato da costellazioni zodiacali...

Il processo operativo in questo caso segue i ritmi cadenzati dell'homo faber : l'artista recupera la manualità nella meticolosa  preparazione dell'amalgama di cemento cui segue, in un secondo momento, l'azione lucida e tagliente dell'incisione, fresca ferita nel micro spazio d'una tenera carnalità.

In seguito, polveri aniliniche scendono a pioggia fissandosi sulla materia umida in colorati aloni puntiformi; altre volte gli affondi delle incisioni si fanno alveoli-contenitori di sottili fasce tubolari dipinte cosicché il segno-segnale balza tridimensionale alla percezione.

Un segno questo, che assurge alla coscienza come richiamo archetipale, come immagine-simbolo  capace di mettere in correlazione l'inconscio con il reale, il celeste con il terrestre.

Pittografie, allora, in grado di contenere entrambi gli elementi del trascendente e dell'immanente funzionando come collante così da pervenire ad una sorta di congiunzione degli opposti.

Se il termine di verità è oggi riferibile a tutto ciò che è visibile ed è fortemente abbassato a livello della realtà sensibile ( e le aspirazioni si collegano alla materia o al sentire emozionale), il risultato di questa concezione ha causato nell'uomo contemporaneo lo svuotamento della tradizione e la successiva "perdita del senso".

In virtù di ciò l'espressione tecnologica-performativa ha  delegittimato il sapere narrativo con l'inevitabile perdita dei significati.

A fronte di questa condizione, l'artista Lorenzo Penco cerca invece di attivare l'aspetto discorsivo del linguaggio recuperando immagini simboliche anche dalle esperienze di antiche culture o ancora dai simboli alchemici della gaia scienza , con modalità riferibili ad arcaiche riduzioni grafiche per veicolare massimi significati con gesti minimi.

Le icone-segnali divengono così immagini numinose  individuabili nel regno dei simboli quali evocatrici di verità ed espressioni estetiche sedimentate nell'opera, con evidenti richiami a caratteri antropologico-naturali.

I colori delle icone-quadro, esposte serialmente come piccole tessere di un grande mosaico, sono vivaci e intensi come appare oggi l'universo tecnologico che ci circonda: il verde-vescica si accosta all'arancio-albicocca, e il rosso-carne dialoga col blu-cobalto mentre altre combinazioni creano coppie cromatiche fondate sui contrasti dei complementari o sulle opposizioni di caldo-freddo.

Se il muro e la strada sono "lavagne" su cui scrivono i graffitisti contemporanei, le tessere musive di Penco possono essere ooncepite come pagine digitali su cui vi trascrive la storia più bella del mondo ( il proprio vissuto in cui ognuno può ritrovarsi) raccontandocela in varie puntate.

Un'altra forma di racconto presente nell'esposizione consiste nella sostituzione del supporto: il cemento cede agli aerei fogli di legno ove il mordente brunisce  la materia. Nascono pittograffiti dai delicati e raffinati giochi tonali di chiaro e scuro mentre il tessuto grafico assume precise definizioni formali attraverso netti profili divisori.

Finissimi tratteggi o delicati pointillisme , segnati col bianco acrilico, vanno a sottolineare le fibre naturali nella fisicità della materia vegetale  creando felici quanto armoniche trame pittoriche.

Quasi ad evocare ritmati spartiti musicali avvolti nelle impalpabili stratificazioni del tempo...

Certo, dalle grotte preistoriche ai geroglifici egiziani, dai simboli greci a quelli rinascimentali, dall'espressionismo tedesco o graffitismo metropolitano ad oggi, l'uomo, da sempre,  ha cercato di lasciare tracce del suo passaggio, di mostrarsi agli altri con testimonianze  frettolose, non importa se depositate sulle rocce, sui muri, sui marmi o sulle vaste superfici di cunicoli metropolitani o ancora, su pagine di cemento o di legno.

Fondamentalmente quello che conta è raccontare i propri sentimenti, i propri umori, la propria esperienza nel viscerale bisogno di comunicare, di condividere con gli altri le emozioni o le delusioni, in taluni casi anche solo come osservatori, ma sempre con l'estremo bisogno di affermare la propria identità, in breve, di rivendicare il fatto miracoloso di "esserci".