Il linguaggio artistico di Claudio Costa si basa sulla riformulazione di un modello  ottenuto rovesciando l'ordine di  precedenti codici linguistici.

Così se Duchamp "estranea" l'oggetto Costa opera un "paesamento" che ne esalta la funzione caricandolo, in seguito,  di significati simbolici; col suo "Work in regress" si contrappone al "Work in progress" di Joyce e ancora, i suoi studi antropologici partono dalla terra , da un affondamento degli oggetti contadini in una "mota alluvionale" mentre Beuys parla di fondazione per la "rinascita dell'agricoltura" attraverso un lavoro col miele trasportato verso l'alto; inoltre rovescia l'atteggiamento dei paleontologi che ricostruiscono partendo dall'antico per giungere al presente; Costa invece ri-costruisce andando a ritroso partendo dal contemporaneo (vedi ad es. l'opera "Il museo dell'uomo" del '72, '73)

Anche la fase alchemica abbracciata dall'artista apertamente rivelata, contrasta con l'atteggiamento del vero alchimista che non può riferire la personale adesione a tale pratica.

In questo senso e a maggior ragione appare appropriato il titolo della mostra antologica "L'ordine rovesciato delle cose" , presentata a Villa Croce ( fino al 3O aprile) dalla curatrice Sandra Solimano e dedicata all' artista genovese Claudio Costa, nato a Tirana (in Albania) nel '42 e scomparso  improvvisamente, ancor giovane, nel luglio del '95.

La mostra è corredata di catalogo a colori e b. n. con testi critici di Becker, Cortenova, Del Guercio, Pedrini, delle edizioni Skira, Milano..

La panoramica che inizia con opere del '69, esposte per la prima volta alla galleria "La Bertesca" (emblematico spazio che ha dato i natali all'Arte Povera due anni prima), fino agli inizi degli anni '9O con i lavori creati per "Il concerto Barulé" (un paesino della campagna ligure), permette di capire la grandezza di questo artista genovese conosciuto e apprezzato in Italia e all'estero che si è sempre dissociato dalle logiche di mercato e che, con la vita, ha pagato le conseguenze.

Di carattere libero e indipendente - Costa aveva partecipato al maggio parigino del '68 da cui aveva assorbito lo spirito di contestazione - ha potuto esprimersi in grande autonomia svincolandosi da etichette e da correnti precise, pur attingendo a modelli culturali come quelli dell'Arte Povera, del Concettuale e di certi atteggiamenti Fluxus, propri di quegli anni, ma sempre sui generis, mai da epigono.

In virtù di ciò si è straordinariamente allargato, con un ventaglio enorme di possibilità, a differenti processi culturali appropriandosene: dall'antropologia  alla paleontologia, dallo strutturalismo all' alchimia, dalla filosofia Zen alla cultura preistorica fino a quella industriale;

Ha lavorato in grandi spazi , come quello psichiatrico di Genova-Quarto fondando nell' '88  l'Istituto per le Materie e Forme Inconsapevoli e nel '92 il Museo omonimo (che attende una ridefinizione strutturale) con gli psichiatri Slavich, Macioni e la sottoscritta; spazi che generano opere di grandi dimensioni.

Rigore assoluto, radicalità nelle scelte, antiesteticità (quasi un pugno allo stomaco) sono le caratteristiche costanti che semantizzano l'opera di Claudio Costa, ma tutto appare così incredibilmente armonizzato nei toni severi delle ocre, delle terre, del fango da risultare fortemente "estetico", pittorico, armonioso.

In tal senso valga per tutte l'opera in mostra "Antropologia riseppellita",  realizzata con casse esposte nell'importante rassegna di Documenta 6 a Kassel (in Germania) nel '77.

In questi enormi contenitori giacciono oggetti contadini, cocci, foglie, rami, interamente ricoperti di fango alluvionale come se la "mota" potesse accomunare in un unico tempo eterno cose del passato e del presente; rimangono in vista solamente oggetti ricostruiti in terracotta, e reperti pseudo scientifici allineati secondo una ritualità d' antropologo. Infatti ha fatto parte con i Beker, i Poirier, Boltanski, Simonds e Graves del gruppo Antroplogia o Mitologie Individuali, nato nei primi anni '7O e teorizzato da Gunter Metken.

Altra sezione molto significativa  della mostra è quella con i lavori facenti parte dell'indagine sulla cultura materiale di Monteghirfo "del '76, '77: il particolare del collage di una finestra contadina, composta di vetri "appannati" attraverso cui è possibile abbracciare un paesaggio boschivo attuato concettualmente con fotografie reiterate , si carica di qualità simboliche non prive di alta poesia.

Il  recupero di una cultura materiale contadina in estinzione, abbandonata alla deriva, fa recitare a Costa nel '79 le seguenti parole: "Il tempo renderà più chiari questi lavori , se avrò ragione a proseguire su una strada che oggi pochi conoscono perché è stata in parte dimenticata, ma che forse sarà riaperta a molti.".

 

                                    Miriam Cristaldi