In concomitanza con la mostra antologica "L' ordine rovesciato delle cose" inaugurata a Villa Croce e dedicata alla figura di Claudio Costa, il giovane artista genovese Cesare Viel ha reso omaggio all'amico scomparso con una performance intitolata "La fine di Zenone", ispirata all'"Opera al nero" di Margherita Yourcenar.

Evento svolto nello spazio paradigmatico di Genova-Quarto nell'ex ospedale psichiatrico, luogo dove Costa aveva ritagliato uno spazio lavorativo in un ampio padiglione dismesso coincidente con la sede dell'Istituto delle Materie e Forme Inconsapevoli.

Qui, fino alla sua morte, sono nate innumerevoli opere d'arte di grandi dimensioni mai realizzate prima, sovente arricchite di simbologie archetipali  tratte da esperienze vissute in continui viaggi africani.

Questa parte di vita, dall' '85 al '95, fondamentale e certamente la più vivace nello sviluppo artistico-formativo di Claudio, non è documentata nell'antologica di Villa Croce risultando in questo senso incompleta e insufficiente per comprendere appieno il cammino dell'artista, pur nell'alta resa del periodo artistico contemplato dalla curatrice. A questo proposito è in preparazione il libro "Claudio Costa a Quarto" che testimonierà quest'arco di vita  con saggi scritti da Antonio Slavich e dalla sottoscritta.

La pratica della performance, molto in uso alla fine degli anni '6O e negli anni '7O appare oggi ridotta: ha perso quegli effetti plateali caratterizzati da spirito neoavanguardistico di contestazione che aveva pretese di rovesciare il mondo e si basava quasi esclusivamente sull'uso esplicativo del corpo come efficace mezzo di denuncia, di rivolta e di disagio.

Attualmente nella civiltà contemporanea fondata sul villaggio globale l'economia è paradigma di "misura"  mentre il reddito stabilisce il valore della persona: da qui la fuga nel privato per sopperire all'esigenza  di ricostruire una totalità dell'essere.

La performance di Cesare Viel, bravo artista citato da Gillo Dorfles come uno dei più promettenti performer del nuovo millennio (e salito alla cronaca per aver dedicato a Cesare Pavese, a Torino, la performance che gli è stata negata dai familiari) non contiene germi di aggressività, spirito contestatario o enfatiche teatralizzazioni ma nasce piuttosto dalla soggettività , dall' intima condivisione di una realtà ri-vissuta tra artista e presenti., pur veicolata attraverso la sottile vena della finzione.

Una condivisione di stati d'animo, di emozioni che partono dall'autore e arrivano al fruitore per tornare , caricati di proiezioni,  al mittente. Quest' operazione riesce a cogliere il momento, il "carpe diem", l'attimo fuggente nei pochi minuti in cui Cesare leggendo un brano del romanzo storico dà corpo all'evento. La realtà d'un suicidio annunciato, quello di Zenone che preferisce morire di propria mano piuttosto che subire la pena capitale inflittagli dall'Inquisizione, si coglie nel tremore misurato della voce, nei gesti calibratissimi ed essenziali dell'artista, nei pochi oggetti disposti nello spazio-cella densi d' implicazioni simboliche.

Un tavolo, una sedia, una brocca d'acqua, una coperta, una lampada e un cutter sono i riferimenti poveri di una scena sommessa, lontana dagli incantamenti della tecnologia e dal frastuono metropolitano per privilegiare emozioni da consumare in questo luogo denso di rimandi evocativi.

 

                        Miriam Cristaldi