Margherita Levo è un'artista che preferisce creare spazi e itinerari visivi nuovi da attraversare per gestire  condizioni percettive che alludano ad  ambienti assoluti, piuttosto che programmare di riempirli con oggetti: tale processo mette in scena nuove rappresentazioni  in cui la realtà assume differenti codici di lettura, uscendo dai campi dell'immanenza e della finitezza per entrare in quello del possibile, del virtuale e del simbolico.

Molti suoi lavori sembrano indagare il conflitto esistente nei rapporti tra interiorità ed esteriorità, tra materialità e trascendenza, tra sanità e malattia, tra vita e morte dove ciascun osservatore può intervenire con una personale soluzione.

In questa mostra intitolata "Traduzioni", realizzata con Sandro Pastorino al circolo culturale Leonardi   V _ Idea (piazza Campetto 8, fino al 20 marzo), curata da Marisa Vescovo, entrambi gli artisti lavorano nel principio della riduzione oggettuale per favorire campi allargati di indagine in cui l'ambiente sfonda nella dimensione di algida epifania che svela e ri-vela spazi percettivi ridefiniti . In questo senso si scoprono suggerimenti per chi  vuole partecipare alla rivelazione dell'opera.

Il lavoro di Margherita Levo intitolato "La stanza dei bottoni", risulta particolarmente significativo nella realizzazione di quel "particolare" in cui uno spazio illusorio viene "incorniciato"  da lesene di stucco, capaci di aprire uno scorcio di spazio attraverso effetti ottico-percettivi: infatti il pavimento "virtuale" di tale sito è ricavato da uno specchio triangolare riflettente il pavimento "reale" della galleria.

Nell'alzato di questo ambiente un grande bottone (ricostruito con materiale radiografico), banale oggetto d'uso quotidiano, campeggia isolato sulla parete bianca, richiamandone altri sparsi nell'area circostante. Nasce così una fulgida metafora della "porta-bottone" -a forma di cerchio come simbolo della sfera celeste -  quale soggetto/oggetto capace di schiudere o bloccare   accessi  che possono condurre all'"interiorità" dell'essere umano" per procedere, in un secondo momento, in un percorribile processo d' illuminazione.

Attraverso varie tecniche di distorsione, Sandro Pastorino interviene su forme primarie ed oggetti industriali contraddicendoli nella loro stessa costituzione per far sì che il frammento smentisca l'intero, la precarietà le certezze, allo stesso modo come il particolare si oppone all'universale.

Nel disordine del cosmo, l'artista cerca un ordine, ma la ragione è continuamente perforata dall'accidente della casualità così come l'immanente evoca il trascendente e il profano ciò che è sacro.

Nel grande lavoro a parete intitolato "Quadrato bianco", dagli evidenti richiami all'azzeramento formale compiuto da Malevic, Pastorino usa l'oggetto industriale dei bastoni da tenda, dipinti di bianco, posti parallelamente in orizzontale , entro cui si dispongono verticalmente altri bastoncini più piccoli , in modo   da comporre visivamente la forma del quadrato. Nella purezza delle forme, nella geometria delle soluzioni , nei giochi ottici prodotti dall'intersezione delle ombre, si possono riscontrare chiari riferimenti a Malevich, a Mondrian e alle ricerche visive optical, ma queste ascendenze vanno a braccetto con il pensiero duchampiano in cui l'oggetto tolto dal contesto assume altre connotazioni: come nella rarefatta e selettiva operazione compiuta dall'artista genovese in questo spazio espositivo.