1.3OO - 3.OOO: un abbraccio millenario tra Storia e Futuro

 

 

La cripta romanica che accoglie e circonda un pozzo naturale - vivificato dall'acqua sorgiva -  si trasforma, per l'occasione, da indotto culturale fornito di fascino e attrazione, a ideale scenario per la realizzazione di simboli che sanno suscitare immagini virtuali dal profondo delle cose.

Ciò avviene nel caratteristico spazio del Circolo Culturale Satura, nel centro storico di Genova: qui nasce una correlazione di rapporti unici tra l'artista Waifro Spaggiari, che ha potuto acquisire un'esperienza psicogenealogica, e la struttura  stessa del luogo espositivo.

Luogo identificabile nella cripta come simbolo archetipale della "Grande Madre" per la speciale forma a "cavità " o a "grembo ", ricca di stimoli evocativi suggeriti dall'opera stessa (un' avveniristica città in plexiglas), ma anche dal contesto per cui essa vive.

Lo spazio espositivo, databile attorno al 1.3OO, si trova perciò a compararsi con la futuribile metropoli  del 3.ooo.

In questo ideale confronto tra millenni  nascono ossimorici rapporti:  l'oscurità dello spazio sembra misurarsi con la luce dell'etere, la pesantezza della materia con la leggerezza del vuoto, l'opacità ogivale con la trasparenza vettoriale, il calore del ventre col ghiaccio acrilico e la morbidità carnale col soffio della mente.

Infatti la fisicità delle possenti volte murarie,  in cotto, dialogano con la levità del plexiglas, una sostanza plastico-trasparente usata dall'artista per simulare il cristallo e al contempo per sovraccaricarla di caratteristiche, proprie di tale materia silicea, come l'essere infrangibile ed eterna.

Ed ecco allora che dal pavimento della cripta, anch'esso di antico mattone, paiono svettare scintillanti torri e vitrei grattacieli nelle silhouette di luminosi pilastri, di algidi steli o di flessuosi cilindri per dirigersi idealmente verso spazi siderali, sedimentati nella memoria del futuro ( pre-memoria), così a pre-figurare città d'aria o acropoli sintetiche.

Già dai primi anni '7O, Waifro Spaggiari lavora con le materie plastiche per comporre raffinate costruzioni geometriche interagenti con immagini mediali, giungendo in seguito, negli anni '9O, alla definizione di rigorose architetture palladiane e  all'attuale, felice lavoro delle "metropolii " (qui esposto in versione di grande formato) , installato nello spazio espositivo facendo uso di un'interattiva comunicazione linguistica, fatta di rimandi, echi, previsioni, memorie.

E proprio questi lucenti "pilastri" sintetici, accostati tra loro in diverse altezze e fogge, sembrano librarsi aerei nella forte compressione della volta muraria, attraverso sfondamenti illusori attivati dall'evocante suggestione di possibili zampilli.

Zampilli ibernati  in ipotetiche glaciazioni, fuori dal tempo e dallo spazio.

Un tempo, quello dell'opera, di qualità astratta, prefigurato nell'immaginario come configurazione di "ordine superiore" ove  la materia naturalistica, squadrata in solida geometria, tende a vivere una dimensione  di assoluta perfezione.

Il materiale plastico, composto dall'acido acrilico polimerizzato  in quarzi  parallelepipedi o corpi cilindrici trasparenti, corrisponde a una materia con struttura formale simile a quella dell'acqua: alla percezione visiva appaiono bollicine d'ossigeno e  zigrinature tipiche di quell' elemento.

E come blocchi virtuali di ghiaccio, inglobati in sintetiche architetture cristalline, gli svettanti grattacieli sembrano proiettarsi in dimensioni immateriali di astratta purezza, andando a configurare fantastiche metropoli di luce.

Succede allora che la città virtuale si coniughi con la naturalità della sostanza evocata (acqua come metafora di una spiritualità gorgogliante) e che la materialità del mattone di cui è composto lo spazio espositivo, richiami l'iconografia archetipale della caverna.

In questo caso assistiamo a un felice abbraccio tra materialità terrestre e spazialità celeste, tra pesantezza della storia e levità del mito, tra fisicità del corpo e immaterialità dell'essere, tra spessori del passato e liquidità future attraversando le pareti di un purissimo, ideale, universo sintetico.

Un'altra installazione, in un secondo ambiente, è composta da quarzi plastici collocati a soffitto: essi scendono dalla volta  quasi a simulare il fantastico gioco di stalattiti e stalagmiti, proprie delle grotte millenarie.

L'opera di Waifro Spaggiari non sarà quindi solo concetto o solo forma, ma l'uno fuso con l'altra in un connubio osmotico, dove la forma rimanda al concetto e il concetto s'interroga attraverso una sua forma relativa: il suo medium si sottrae alla soggettività lasciando fluire la virtualità in quello che diventa corpo formante del lavoro.

In questo senso l'opera può collocarsi nell'ambito di una oggettualità carica di rimandi simbolici , quale possibile "museo in vitro " di una probabile antropologia del futuro.

Se Arman usava il plexiglas come cassa trasparente atta a catalogare e a  conservare gli oggetti spaccati dalla furia distruttrice, Spaggiari ci avverte che questo materiale chimico-industriale sa contenere echi della natura e al contempo può assumere connotazioni creative riferibili alla sfera astratta dell'immaginazione.

Attraverso un cordiale invito ad "uscire dal mondo "  egli configura spazi siderali dove ciò che è deve ancora accadere, e ciò che è stato può ri-vivere negli accadimenti del futuro.