"Dio è un cerchio il cui centro è ovunque e la cui circonferenza è in nessun luogo", afferma l'alchimista medievale Ermete Trismegisto, senza contare che l'immagine del cerchio è simbolicamente associabile alla figura numinosa del sole (potere maschile) , così come a quella dell'anima e del circolare infinito, entrambi equiparabili al "principio femminile materno". In pratica, questa forma geometrica rappresenta le espressioni di tutte le possibilità dell'esistenza, nella simultaneità e nella perfezione originaria.

Di fatto, nella mostra personale "Quinto al sole" di Giannella Darbo (centro Culturale Satura, piazza Stella 5, fino al 18 ottobre) l'immagine sferica è presente in quasi tutti i lavori come elemento inscindibile dell'operare, quasi a sottolinearne l'unità celeste nel suo roteare al di fuori del tempo e dello spazio in una corsa senza fine.

Inoltre, quest' artista genovese, a livello ideologico e pratico, cerca di recuperare quell'arcaica componente manuale-artigianale del fare, specifica del lavoro umano, oggi così totalmente disancorata dalle prassi quotidiane di un'epoca post-industriale integralmente affidata alle tecnologie avanzate.

E allora, nella creazione dell'opera, vengono rimessi in circolazione, forniti di senso nuovo, elementi in disuso tratti da reperti di un mondo artigianale in estinzione, abbinati a polveri dorate, a sabbiette sottili, a gemme luminescenti, oppure a fogli traslucidi ologrammati (posti  retrostanti a fori di superfici metalliche) nell'atto di apparire alla percezione visiva come splendidi brillanti incastonati nel rame o nell'ottone.

Il passaggio dalla natura all'artefatto è tipico dello schema mentale umano e fa parte di un'inquietudine risultante da un problematico rapporto col reale: rapporto che Giannella Darbo risolve con un corpo a corpo con la superficie metallica per piegarla (nel duro lavoro a sbalzo) a metafore nuove, di nuove identità, rivolte all'universo del mito.

Così, i "soli" irradianti d'ottone patinato ("caldo") si contorniano allora da vitree galassie fumé ("freddo") mentre il fulgido ''albero della vita" dialoga con legni combusti e fuligginosi carboni - installati a terra - come a voler suggerire  il "pulvis es et pulverem reverteris".

Che è poi l'eterno ciclo: dalla vita nasce la morte e dalla morte la vita...