Alfonso Gaeta  e Maura Canepa

 

Il levantino  Alfonso Gaeta, personalità schiva e difficilmente inquadrabile in codici linguistici - lontanamente accostabile ad esperienze di suggestione informale - punta tutto sul materiale del legno; in particolare insistendo sull’ essenzialità e naturalezza del risultato estetico.

Minore (anzi nullo) è l’intervento manuale, maggiore è l’effetto di rustica naturalezza. Evitando perciò qualunque azione dello scalpello ed affidandosi esclusivamente al taglio della sega elettrica con cui ridurre il legno in sottili e lunghi listelli o in grandi forme sferiche.

Per poi incollare i frammenti lignei l’uno sull’altro e dare avvio a sculture personalissime.

Ovviamente seguendo i ritmi delle nervature, delle strozzature dei nodi, rispettando l’ ordine delle cromie (dalle più chiare alle più scure) – attraverso un complesso gioco di simmetrie e di combinazioni a carattere speculare.

L’artista riesce così a sagomare strutture fortemente immaginative: una voluminosa sfera d’ulivo, trafitta da fori naturali o da profonde cavità connaturate al legno, può apparire come un possibile mappamondo, una specie di libera geografia, ma potrebbe anche suggerire la pericolosa idea  di un ordigno atomico pronto a esplodere (Giò Pomodoro insegna). Allo stesso tempo prendono corpo forme totemiche (in eucalipto, ulivo o paduk africano) che s’innalzano sinuose seguendo ritmi spiraliformi, in successione dinamica. Così come per l’Albero della vita, titolo della mostra al centro culturale Satura, piazza Stella 1, fino al 20 maggio.

Anche la pittura di Maura Canepa (stesso spazio espositivo) è frutto d’una complessa e delicata elaborazione.

Prende infatti corpo un linguaggio espressivo che si alterna dall’astrazione geometrica, peraltro in forme semplici e libere, ad un informale dai richiami naturalistici, seppure la materia tenda sempre più a dissolversi nello spazio a causa della potente luce che la trapassa.

Secondo un felice abbraccio tra opposte polarità che l’autrice realizza in doppia espressione oscillando tra differenze linguistiche.

Infatti la sua pittura  emozionale riesce a richiamare in vita il senso della rugosità della terra, lo spessore di muscosità erbose, l’accesa visionarietà della fiamma attraverso impasti grumosi e materici o luminescenti ectoplasmi.

Ma al contempo si delinea una seconda visione, separata dalla prima, che struttura una rete di segni capace di inglobare lo spazio in libere geometrie, frutto di una necessità logica che evoca condizioni più mentali.

 

                                                        Miriam Cristaldi