è recentemente inaugurata al museo di Villa Croce (fino al 21 marzo),  la mostra antologica di Stefano D'Amico - siciliano di nascita (Milazzo 1925) e ligure d'adozione -  corredata  di catalogo con testi critici di Cecilia Chilosi e Guido Giubbini.

Questo artista così solare, in cui hanno  sicuramente inciso le caratteristiche umorali della sua terra d'origine, è al contempo schivo e silenzioso alla maniera dei liguri, oscillante, nel suo operare, tra luminose "narrazioni" cromatiche e asciutte astrazioni di carattere costruttivista; alterna l'uso di materiali caldi e duttili come la ceramica con quelli freddi e seriali, propri dei metalli industriali.

L'artista, seppure valido scultore di ampi bassorilievi e di anamorfosi a tutto tondo, indugia insistentemente, e con grande sensibilità, sull'aspetto pittorico, ora reso con squillanti colori smaltati  in cui campiture celesti interagiscono con accenti verde-marino, ora espresso con superfici terrose giocate sulle raffinate gradazioni dei grigi, in alcuni casi arricchite da velature azzurrine.

Il cammino compiuto dall'artista risulta rigoroso e coerente , nonostante le svolte significative del percorso, operate in sintonia con lo "spirito del tempo" e con la dinamica del proprio vissuto . Afferma lo stesso D'Amico in catalogo: "Devo premettere, ma non certo in senso giustificativo, che non è stato solo il gusto del progettare, dell'organizzare, del costruire metodologicamente che mi ha indotto  ad affrontare temi così lontani dal mio vecchio linguaggio espressivo... ma dal mio bisogno di verificare in chiave analitica... le operazioni che normalmente conducevo sotto spinte emozionali."

Con le prime ceramiche degli anni '5O, D'Amico , che allora frequentava l'ambiente artistico di Albisola accanto a Fontana, Scanavino, Cherchi, Corneille, delinea una felice figurazione rappresentata da cavalli, cavalieri, tori e santoni con evidenti richiami a Picasso nelle stilizzazioni e a Fontana nel modellato di alcune ceramiche, rese frastagliate e fluide come nei " Cavalieri in torneo"  o nel "Re sole" del'6O.

Infatti, dopo un soggiorno a Roma dove frequenta la scuola di Mafai, nel '53 l'artista è a Genova : qui incontra Luzzati che lo introduce nel gruppo albisolese. A metà degli anni '6o, D'Amico cambia linguaggio: la sua nuova fase operativa subisce un raffreddamento sul versante emozionale per favorire esiti razionali di geometrie astratte: ne sono esempi i "Progetti di villaggi mediterranei " e i "Giochi numerati", delicate strutture formali in altorilievo animate da abili giochi di ombre e luci , in cui la terracotta vibra di luminose gradazioni pittoriche.

In seguito l'autore si dirige verso opere cinetiche, neo-costruttiviste, in metallo dipinto, di grandi dimensioni, per acquisire un fecondo apprendimento dei meccanismi fenomeno-percettivi allora presenti nelle ricerche linguistiche avanzate, attraverso elementi lamellari modulari di tipo industriale, come si può osservare  nel lavoro "Orizzontale fluido" del '73.

Nella seconda metà degli anni '7O, l'artista si allontana da queste esperienze rigorose per abbandonarsi a una creativa e fantasiosa astrazione lirica che effettua con la ceramica, bronzo, marmo, concludendo il suo lavoro con giganteschi piatti ornamentali, dipinti a smalto, raffiguranti elementi floreali , a volte stilizzati in volute appuntite: modulo questo, che è spesso presente, per frammenti, nella vasta produzione della terracotta e del disegno.                                                       Miriam Cristaldi